PERCHE' UNIRSI |
Unirsi per fermare la strage stradale e dare giustizia ai superstiti aggiornato al 5 novembre 2002 |
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Sommario | La situazione Le cifre Il dolore L'ira Le cause I silenzi I rimedi L'associazione Questo documento Le prospettive La prevenzione Il traffico Le strade I veicoli Costruzione Limitatore di velocità Protezione attiva e passiva di serie Gli utenti Campagne informative Educazione stradale Abilitazione alla guida Responsabilità personale non assicurabile Disincentivazione assicurativa Discoteche Potenziamento attività di controllo Controllo a distanza La giustizia Le sanzioni Aumento delle pene Effettività delle pene e sanzioni alternative Prevedibilità dell'evento Eccesso di velocità Guida in stato di ebrezza Nuove ipotesi di reato I processi Accelerazione dei processi penali e civili Giudizio abbreviato e patteggiamento I risarcimenti Punto unico nazionale del danno biologico Danno da morte Provvidenze per vittime incolpevoli e bisognose |
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le cifre |
Ogni
anno, secondo stime dell’Istituto superiore di Sanità, le
strade italiane “producono” da
8 a 9 mila morti (da 22 a 24 al giorno, almeno 6 volte più dei caduti sul
lavoro, 45 volte più che nelle stragi di Bologna e Ustica messe insieme,
più del doppio rispetto all’attentato alle torri gemelle dell’11
settembre 2001), più di 20
mila disabili gravi, cioè con invalidità oltre il 33%,
300 mila feriti (quasi 35 ogni ora).
Per chi ha fino a 40 anni la
strada è la prima causa di
morte.
Ogni dodici mesi vi cadono oltre
100 bambini, circa 2000
ragazzi da 12 a 24 anni e 2200
donne di tutte le età. Alla
richiesta dell’Unione europea di ridurre del 4% all’anno il numero dei
morti sulle strade l’Italia ha risposto con un aumento del 4,7% dei morti e di oltre il 5% di incidenti e feriti
(dati ISTAT 2000). Alle
vittime vanno aggiunte le diecine di migliaia di loro familiari -
centinaia di migliaia in cinque anni, milioni nell’arco di una
generazione - coinvolte nel nostro Paese dalla strage stradale.
Infine il costo socio-economico dell’incidentalità stradale supera
in Italia i 30 miliardi di euro ogni anno
(stima del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) costituendo
il 2% del PIL. In Europa la strada miete 45
mila vite ogni anno, nel
mondo da 700mila a un milione; la perdita - in anni di vita -
prevista per il 2020 a scala mondiale secondo il trend attuale sarà
(stima Istituto superiore di Sanità) superiore a quella provocata da
qualsiasi tipo di malattia, tumori e cardiopatie compresi.
La morte stradale ha infine
caratteristiche che la differenziano da ogni altro evento letale
considerabile a larga scala: costituisce infatti la prima causa di decesso
per trauma; colpisce d’improvviso;
le sue vittime sono indifferenziate per sesso, per età, per lavoro
e per reddito; può essere fermata con misure già individuate e
immediatamente realizzabili. In questo mese, qualunque esso sia, 700 persone
moriranno sulle strade
italiane -
e non bastano gli
scongiuri per non entrare nel numero. |
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il dolore |
Morte
e sofferenza non possono però essere ridotte a numeri di statistica, per
quanto impressionanti siano.
La strage è un insieme di casi
in ognuno dei quali il dramma si consuma in termini diversi ma sempre con un impatto devastante.
Per capirla è necessario
guardare dentro ogni singolo evento, affrontarne la brutalità cieca,
tentare di capire il dolore.
Perché il sinistro mortale –
come l’invalidità gravissima - spezza di colpo affetti profondi sui
quali si fondano non solo le famiglie ma la società intera; annulla
brutalmente attese, promesse, speranze di vita; sconvolge l’equilibrio
psichico e spesso quello economico dei superstiti; apre la via ad
una sofferenza senza fine.
Noi le abbiamo sentite, quelle parole terribili dopo lo
squillo nella notte: “è la stradale, ci dispiace, suo figlio
… “.
Vogliamo non le sentano altri. |
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l ira |
Eppure
il peggio viene “dopo”.
Viene quando ci si accorge che l’intera
società non ha voglia né tempo di occuparsi di morti e di invalidi, di
giustizia e di cure, di memoria e di solidarietà.
“Tanto
nessuno può ridarvelo”
è la frase brutale che accompagna il calvario dei superstiti negli anni
dei tribunali e dei risarcimenti.
Il peggio viene quando al bisogno di
assistenza e conforto per una vita di invalido si risponde, nel migliore
dei casi, con una manciata di milioni.
Viene quando si vede che tutto, mentre i
colpiti consumano la strada per il cimitero o per la clinica, continua
come prima, che sulla strada si continua a morire, che su ogni morte si
richiude il gorgo dell’indifferenza, infine che tutti – istituzioni e
gente comune – fingono che non sia successo nulla e non sia possibile
far nulla. E’ allora che nasce, dal dolore, l’ira: dignitosa o scomposta, di lagrime o di invettiva, costruttiva o devastante, cresce nel tempo una rabbia profonda e sacrosanta contro questa società che ci ha tolto una persona viva per negarci poi anche il rispetto e la dignità del dolore. ritorna al sommario |
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le cause |
Alle
radici della strage non c’è il destino.
C’è invece la costruzione di
veicoli di uso privato che per caratteristiche di velocità e di carico,
spesso per debolezze costruttive, per il numero in continua crescita (40
milioni di veicoli in Italia, di cui 700mila TIR) e per l’abuso che ne
viene consentito, rendono sempre più probabile il verificarsi di
incidenti.
Ci sono gli interessi delle industrie
motoristiche e del loro indotto ma anche delle industrie del
cemento, del petrolio, dell’alcool, delle discoteche.
C’è un intero mondo di tecnici -
meccanici, carrozzieri, assicuratori, periti, avvocati, operatori di
trapianti (la strada fornisce a questi ultimi più del 50% dei
“pezzi”) - che prospera o comunque lavora a partire dalla strage,
spartendosi buona parte di quei 30 miliardi di euro che ne costituiscono
il costo sociale.
C’è ancora, d’altra parte,
che la guida di qualsiasi veicolo a motore viene vissuta come affermazione
di potenza nei confronti di chiunque altro sia sulla strada e quindi come
conflitto che comporta “naturalmente” dei perdenti, appunto i morti e
i feriti di ogni giorno e di ogni ora.
C’è che tutti – e i morti
di ieri non meno di quelli di domani – sono perfettamente convinti che
la strage non li riguardi.
Ma c’è
soprattutto la scelta, presa anzitutto dalle istituzioni e
a lungo in esse perseguita, di non cambiare nessun elemento di
questo quadro, da una
parte per non offendere il profitto che viene dalla costruzione e
dall’uso dei veicoli, dall’altra per non perdere le simpatie e quindi
il voto di chi li guida.
Una scelta miope, se non cieca,
perché lo
Stato abdica così al suo primo dovere, quello di tutelare la vita e la
salute dei propri cittadini;
e perché fermare la strage costerebbe al Paese assai meno di
quanto gli costa subirla.
Le cause ultime individuate poi
dagli addetti ai lavori (il traffico,
le strade, i veicoli, gli utenti) sono senz’altro reali.
Ma il motivo primo è in una
volontà politica che, al di là delle dichiarazioni ufficiali, troppo spesso è obiettivamente
a favore della strage. |
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i silenzi |
E il motivo è ancora nei silenzi, o nelle prese di posizione
deboli e incerte, di chi per
primo dovrebbe tutelare noi e i nostri cari.
Molti funzionari e interi
settori delle pubblica amministrazione adempiono il loro dovere di
prevenzione e molti sacerdoti si attivano in parole
ed opere contro la
morte sulla strada; ma né da un pastore
attento alla difesa della vita quale è Giovanni Paolo II né soprattutto
– e malgrado le nostre richieste - dal Presidente della Repubblica
Ciampi abbiamo ascoltato finora una condanna chiara e decisa di chi causa
o permette la strage, un preciso incitamento a combatterla,
l’affermazione della priorità di questo impegno.
Se poi il Ministero della
pubblica istruzione viola il dettato dell’art. 230 del Codice della
strada, che gli impone di provvedere all’insegnamento dell’educazione
stradale in tutte le scuole di ogni ordine e grado, la Magistratura
continua – salvo lodevoli eccezioni -
nella linea di sostanziale
assoluzione dei colpevoli e disprezzo per le vittime.
Se la radiotelevisione di
Stato, anche qui salvo rare eccezioni, non adempie all’obbligo, pure
impostole dalla legge, di informare e “formare” i cittadini su un
problema così grave, preoccupandosi soltanto di esibire il sangue e il
dolore per incrementare l’audience, il Ministero dell’Interno rifiuta
non solo l’adeguamento ma lo stesso completamento dell’organico della
Polizia stradale (cresciuto del 40% circa dai primi anni ‘60 contro un
aumento del parco veicolare, nello stesso periodo, superiore al 400%).
La responsabilità della strage è di chi ha guidato o guida il
paese, di chi forma la sua cultura, di chi ne determina le priorità,
prima e molto più che dei ragazzi
del sabato sera. |
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i rimedi |
Una
cosa è certa: gli addetti ai lavori - cioè i tecnici dei trasporti, i
politici e i governanti interessati a questo settore -
sanno bene con quali strumenti, con quale spesa e in quanto tempo
la strage può essere fermata.
La seconda amplissima “Relazione
al Parlamento sullo stato della sicurezza stradale” del Ministero dei
Lavori pubblici, stesa in vista del Piano nazionale per la sicurezza
stradale, previsto dalla legge 144 del 1999 ma ancora di là da venire, e
con essa il lavoro del Consiglio Nazionale delle Ricerche, “Un approccio
integrato per il miglioramento della sicurezza stradale”, elaborato con
il Dipartimento di ingegneria del traffico dell’Università di Napoli,
non lasciano dubbi sulla gravità della situazione in Italia, sulla scelta
delle strategie di lungo termine, sull’adottabilità di provvedimenti
immediati.
Se
dunque, come si è detto ed è chiaro, ciò
che manca è solo e soprattutto la volontà politica, è
necessario pretenderla e imporla.
Perché è della vita che si tratta. |
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l Associazione |
L’Associazione è sorta perché
nessuno
meglio dei familiari di chi ha perso la vita sulla strada può
testimoniare quanto siano gravi e irrimediabili il lutto e la perdita,
per la famiglia e per quella famiglia allargata che è la società.
E
a questa capacità, a questo diritto primario di testimonianza,
corrisponde il dovere di far si che la stessa tragica
sorte non tocchi altri innocenti,
un dovere che introduce ad una più alta dimensione morale :
utilizzare la Loro morte per dare vita ad altri.
L’Associazione (sorta come
“Comitato” il 23.5.98, Onlus dall’8.4.2000 come “Associazione
familiari e vittime della
strada”, ma sempre e soltanto sostenuta dal lavoro appassionato di
“volontari”), ha cercato
subito una dimensione nazionale e si è sviluppata intorno ad una
“proposta di modifiche legislative” ripresa da 6 progetti di legge
nella passata legislatura e trasformata oggi
in due
disegni di legge, ancora a firma dell’on. Filippo Misuraca, all’esame
della Camera, il
n. 1885 del 30.10.2001 sulla giustizia, fermo dinanzi
all’omonima Commissione, ed il n. 2690 del 24.4.2002 sulla
sicurezza in discussione alla Commissione trasporti -
ha svolto e svolge attività di contatto e collaborazione con
interlocutori parlamentari e ministeriali come con altre strutture
interessate ai problemi della incidentalità stradale -
organizza convegni - lancia
iniziative (tra le tante, distribuzione nelle scuole di un
“questionario per la vita e la giustizia sulle
strade”, esposti alle Procure contro i responsabili istituzionali della
strage stradale, impegno prioritario e vincente per l’approvazione della
legge-delega 85/2001 di
modifica al Codice della strada, ecc.)
estese a tutto il Paese.
Ha deciso sin dall’inizio di
decentrarsi ed è presente
oggi in 62 province italiane (il numero è in continuo
aumento) con propri rappresentanti che attuano sul territorio e nei
confronti degli Enti locali gli obiettivi comuni, spesso con iniziative
proprie che arricchiscono notevolmente la forza della intera struttura.
Ciò senza dimenticare
l’organizzazione interna, sostenuta da un notiziario
periodico, e soprattutto l’assistenza reciproca tra persone che
hanno perso quanto avevano di più caro e spesso in condizioni
esistenziali e sociali di
particolare difficoltà: e ciò anche tramite una rete di legali convenzionati, 22
ad oggi in tutto il Paese..
Nel sito
internet dell’Associazione (www.vittimestrada.org)
una scheda informativa periodicamente aggiornata riassume storia ed
iniziative della struttura nei poco più di 4 anni dalla sua nascita.
Il riferimento costante ai motivi di fondo – tornare
dal dolore, e senza dimenticarlo, ad una dimensione di
solidarietà
e di vita – è stato ed è il cemento che unisce in un unico
progetto persone di fede, scelte politiche, esperienze e culture diverse,
da Selva Gardena a Mussomeli, da Cuneo a Gravina di Puglia. |
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Questo
documento indica gli interventi - sulle cause immediate della strage e
sulle sue conseguenze - che l’Associazione ritiene necessari, che sono
possibili in concreto, che vanno quindi proposti o riproposti alle
istituzioni ed ai cittadini. Alcune
indicazioni sono nostre, altre sono riprese dagli studi e dai progetti variamente
predisposti in Italia e in Europa; le
riuniamo in un solo opuscolo di facile lettura per due motivi:
- per fermare realmente la
strage stradale e dare un minimo di giustizia a chi ne è stato colpito,
tutte queste proposte dovrebbero trovare attuazione contemporanea, perché
interventi parziali rischiano non solo di restare inattuati ma di
risultare alla fine controproducenti;
- è necessario e giusto che
questi problemi non restino nell’ambito ristretto dei
tecnici e politici addetti ai lavori ma che su di essi cresca
la conoscenza dei cittadini : 9000 morti all’anno non sono un
prezzo accettabile, e neppure necessario, per
un Paese come il
nostro.
E’
dunque qui raccolto l’intero
orizzonte di lavoro dell’Associazione; è per questo che il
documento resta aperto ad ogni critica e ad ogni suggerimento e viene,
come necessario trattandosi di un testo operativo, periodicamente
aggiornato.
Questa terza edizione
(l’aggiornamento precedente è dell’ottobre 2001) tiene conto della legge delega n. 85 del 22.3. 2001
che modifica il Codice della strada per diversi aspetti (patente a punti,
patentino per i ciclomotori, mezzi di protezione di serie, ecc.) e che è
stata solo parzialmente attuata dal Governo col decreto
legislativo n. 9 del 15.1.2002
che istituisce patente a punti e patentino ma solo a partire dal
1.1.2003 (e sembra vi sia il rischio di
decisioni ulteriormente riduttive) ed aggiungendo, al di fuori della delega, la possibilità di aumentare la
velocità a 150 km/h nei tratti autostradali a 3 corsie, decisione
assurdamente negativa visto che la velocità è universalmente ritenuta
la prima causa di morte stradale. Tiene
ancora conto della legge
n. 168 del 1°.8.2002 che convertendo
il decreto legge n. 121 del 20.6.2002, impone tra l’altro l’uso
degli anabbaglianti in autostrada anche di giorno e dovrebbe permettere la
rilevazione a distanza e senza contestazione immediata delle infrazioni
alle norme su velocità e sorpasso (e l’Associazione sollecita in questi
giorni Ministeri e Prefetture a predisporre l’attuazione di tale
importante primo passo verso il controllo a distanza generalizzato che
invoca da tempo). Tiene
conto infine delle proposte del disegno di legge governativo C –
2851 che prevede tra l’altro il famigerato e incostituzionale
“sconto” ai camionisti sulle infrazioni per la patente a punti e che
è in discussione dinanzi alla Commissione Trasporti insieme con il citato
disegno di legge 2690 della nostra Associazione. Sembra
nel complesso che, sia pure con ritardi, contraddizioni e incertezze,
qualcosa si stia finalmente muovendo, quanto alla prevenzione, sul piano
parlamentare.
Molto è però ancora da fare a livello legislativo e soprattutto
di attuazione governativa; e molto altro di quanto è indispensabile a
salvarci la vita e a ridarci fiducia nella giustizia è ancora da
discutere, prima di venire acquisito e deciso :
e si tratta appunto delle richieste che cerchiamo di illustrare nei
paragrafi seguenti. |
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Le nostre richieste riguardano la
prevenzione solo in ordine alle cause
immediate della strage stradale (traffico, strade, veicoli, utenti)
perché la causa remota, la mancanza
di volontà politica, è il motivo stesso della esistenza e
dell’impegno dell’Associazione; e riguardano la prevenzione solo nei
suoi aspetti generali in quanto non sarebbe possibile
approfondire qui i risvolti tecnici di ogni situazione di rischio.
Va sottolineato peraltro che
quasi tutte le indicazioni appresso esposte sono riportate, con altre più
specifiche, nel nostro
disegno di legge C-2690 del 24.4.2002,
il cui testo compare in appendice a questo opuscolo. |
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il traffico |
Le fonti concordano nel rilevare che in
Italia il trasporto su strada è dominante rispetto ad ogni altra
modalità di trasferimento di persone e merci, che l’Italia è al primo
posto in Europa nel rapporto veicoli / abitanti (36 milioni di veicoli
circolanti oggi – di cui 700mila TIR - contro i 9 milioni circa di fine
anni ’60), che per le forti differenze tra veicolo e veicolo, come nel
comportamento dei conducenti, quel tipo di trasporto è
fortemente pericoloso (produce
infatti il 98% degli incidenti e quasi il 100% dei feriti e dei
morti dell’intera attività di trasporto nel Paese).
L’intervento deve allora
essere rivolto ai seguenti obiettivi generali:
- passaggio
dal trasporto individuale (le autovetture costituiscono in Italia
l’81% dell’intero parco veicolare, contro l’11% del trasporto su
veicoli industriali e bus, il 7% delle due ruote e l’1% del trasporto in
bici) al
trasporto collettivo,
- passaggio
dal trasporto su gomma (ne è previsto invece un aumento
dell’80% dal 2000 al 2010, ciò che renderà intransitabili molte strade
e comunque i valichi alpini) a quelli su rotaia e su acqua,
- armonizzazione
del traffico veicolare uniformando per quanto possibile le qualità
dinamiche dei veicoli e le capacità dei conducenti.
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le strade |
Nella costruzione e nella manutenzione vanno adottati
tracciati che escludano variazioni improvvise del livello stradale,
accorgimenti per ridurre la velocità negli incroci (ad esempio rotatorie)
e per la protezione dagli ostacoli fissi se non eliminabili
(alberi, pali,
spallette ecc.), pavimentazioni ad
elevata aderenza, barriere efficienti
e bande sonore laterali contro l’uscita
di carreggiata,
cavalcavia di
inversione marcia in luogo dei varchi autostradali o loro chiusura
con guard-rail scorrevoli, dispositivi rallentatori di velocità nei
centri abitati, sovrappassi pedonali, controlli visivi collegati ai
semafori e nei punti particolarmente pericolosi. Vanno soprattutto individuati e messi in sicurezza i tratti ad elevato rischio di tutte le strade e
autostrade del Paese. Va rivista la segnaletica perché risulti
perfettamente visibile e immediatamente comprensibile, perché non ponga
limiti di velocità troppo bassi - in concreto non rispettabili e quindi
controproducenti, perché riporti sempre
l’indicazione di fine divieto.
Vanno tolti dalle strade urbane ed extraurbane i cartelli
pubblicitari abusivi e comunque quelli che possono
distrarre i conducenti. All’interno del limite massimo di velocità su autostrada vanno posti, per vetture e autocarri meno sicuri, limiti inferiori individuati in base alle probabilità di salvezza di conducenti e trasportati e a mezzo di prove obbligatorie di frenata e di impatto attuate da struttura pubblica. |
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i veicoli |
Costruzione L’accertamento delle caratteristiche
costruttive ai fini della sicurezza, già previsto, va approfondito in
ordine alla validità statica e dinamica delle singole parti e
dell’insieme di ogni veicolo. Va migliorata
la resistenza all’urto delle carrozzerie in termini sia di assorbimento
che di protezione.
I risultati delle prove di
impatto frontale e laterale vanno pubblicizzati in Italia (dove sono
invece generalmente sconosciuti agli acquirenti di autovetture) come già
accade altrove in Europa.
Vanno rivisti gli standard di costruzione e manutenzione delle
barre anti-intrusione negli autocarri.
Va aumentata la profondità
minima degli intagli dei battistrada.
Limitatore di velocità La commercializzazione di veicoli in grado di
superare, a volte del doppio, i limiti massimi di velocità fissati dal
Codice della strada è un chiaro
invito a violare la legge.
I produttori e gli
importatori di veicoli a motore di qualsiasi genere e tipo destinati al
trasporto di persone o cose e
in grado di superare il limite massimo di velocità fissato dal Codice,
devono corredarli di un meccanismo approvato dal Ministero dei trasporti
che ne limiti la velocità a non più di
20 chilometri / ora oltre quel limite.
I proprietari di auto non già
dotate di tale meccanismo devono applicarlo a spese dei venditori o/e del
Ministero dei trasporti.
Contro i trasgressori vanno
poste sanzioni adeguate e comprendenti comunque il sequestro dei veicoli
privi del meccanismo o con meccanismo non efficiente.
Protezione attiva e passiva di serie Ogni nuovo veicolo prodotto o importato in Italia
va corredato (oltre che di air-bag, sistema di frenaggio ABS, avvisatore
per cinture ecc. come previsto dalla legge-delega 85 / 2001) di
interruttore anti-incendio, poggiatesta anche posteriori, estintore,
tachigrafo, strisce catarifrangenti sulla carrozzeria. |
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gli utenti |
Campagne informative Campagne
di largo
respiro (non solo
brevi spot) e di lunga durata vanno attuate non solo attraverso la RAI ma
tramite tutti i mezzi di comunicazione di massa comunque beneficiati dallo
Stato.
Le campagne devono riguardare
tutti gli aspetti della incidentalità stradale e quindi
cifre e cause della strage, la situazione negli altri Paesi, i
problemi generali del traffico, le strade (difetti costruttivi e di
*manutenzione, insidie, tratti della morte), i veicoli
(caratteristiche costruttive, rapporto peso / velocità, collaudi,
strumenti di sicurezza, prestazioni, prezzi), gli utenti (requisiti per
ottenere e ri-ottenere la patente di guida, comportamento su strada,
affaticamento, uso di droghe), la scuola e l’educazione stradale, il
rapporto famiglia / minori, l’assicurazione per responsabilità civile
(costi, incentivi e disincentivi), la prevenzione e la repressione (norme
e sanzioni), il soccorso e la riabilitazione, il “cosa fare” dopo
l’incidente, la problematica degli espianti d’organo, i diversi tipi di
danno, i risarcimenti (entità e tempi), i processi civili e penali
nell’ottica della situazione esistente e in quella delle modifiche
necessarie. Educazione stradale
Educazione e prevenzione devono stare nella testa degli utenti
della strada prima che nelle palette della polizia.
Sono i giovani di 14 scuole di
Bologna a dirlo quando, rispondendo al questionario nazionale
dell’Associazione, dichiarano di non conoscere
i dati della strage (89%)
pure avendo avuto in famiglia o tra gli amici un morto o un ferito
grave (34%), chiedono di saperne di più (73%) o invocano specificamente
l’educazione stradale (49%).
La
scuola dell’obbligo è
il luogo naturale della interiorizzazione dei principii base della
prevenzione.
In realtà l’art. 230 del
Codice della strada stabilisce già l’obbligo dell’insegnamento
dell’educazione stradale; ma né tale norma né i successivi decreti
ministeriali, né tanto meno le norme di riforma più sopra ricordate,
precisano con quali docenti, in quali e quante ore, con quali
programmi e con quale esito finale l’insegnamento va svolto, così che
esso viene attuato raramente, senza provocare un apprendimento di massa e
quindi senza efficacia sociale, e spesso male, in quanto affidato a
soggetti sprovvisti della necessaria capacità pedagogica. L’educazione stradale, intesa come interiorizzazione del dovere di rispettare la vita e la
salute propria e altrui escludendo ogni stato e comportamento di incapacità,
impazienza, aggressività e competitività
da parte di
tutti gli utenti della strada, deve invece far parte della
didattica nelle scuole materne e divenire concreta
materia di studio e di valutazione in tutta la scuola
dell’obbligo. Deve comprendere
la conoscenza della pericolosità della strada e della guida, dei
dati della strage e dello stato della legislazione sulla materia, degli
elementi di funzionamento e delle norme di conduzione dei veicoli, dei
principii di sicurezza e delle norme di condotta, dei principii del
soccorso in caso di incidente, dei fondamenti giuridici del danno, del
risarcimento e dell’assicurazione.
Il Ministro della pubblica
istruzione, anche d’intesa con altri Ministri, deve predisporre gli
schemi dell’insegnamento per tutti gli istituti scolastici e per i loro
diversi ordini e gradi determinando
le caratteristiche dei testi, le
figure dei docenti specificamente
diplomati o comunque formati,
le ore ad esso destinate, infine le modalità di verifica e
valutazione dell’apprendimento. Abilitazione alla guida
Va ribadito che la patente di guida è il documento
di un contratto che obbliga lo Stato a predisporre e mantenere la rete
viaria pubblica, nonché le relative strutture di controllo e di
assistenza, ed impone al cittadino di
usarne nel rispetto della legge.
In questa prospettiva (ormai
prevista dal decreto legislativo n. 9 del 15.1.2002 e sia pure con
decorrenza 1.1.2003 la patente per i ciclomotori)
va attuata una profonda modifica della disciplina di concessione
nel senso che:
- la patente va rilasciata solo
a chi mostri, oltre che conoscenza delle
regole e
padronanza della
guida, anche
un atteggiamento
interiore, da accertare con opportune indagini
psicologiche, di radicato rispetto della vita e della salute proprie e
altrui;
- la patente “a punti”,
prevista dalla legge-delega 85/2001
e attuata dal decreto legislativo n. 9 del 15.1.2002 con decorrenza
1.1.2003, deve basarsi su un meccanismo
più severo che comprenda quanto meno sospensione di un mese a
punteggio esaurito, ripristino solo dopo corso di aggiornamento e
colloquio con psicologo, raddoppio
della perdita di punteggio per i primi due anni dopo il rilascio e dopo ogni ripristino;
- il patentino per i
ciclomotori, anche esso previsto come sopra per i conducenti minorenni, va
reso obbligatorio anche per i maggiorenni, tra l’altro per evitare che
se ne serva (e si tratta di macchine a motore abilitate legalmente a
raggiungere i 45 km/h e illegalmente a superare i 70) chi non è riuscito
a conseguire o è stato privato della patente perché incapace o
pericoloso alla guida;
- l’esame di abilitazione va ripetuto in ipotesi di sospensione
della patente superiore a tre mesi, dopo ogni sentenza di patteggiamento o
condanna per lesioni o per omicidio stradale, dopo
stato di coma che per caratteristiche o durata venga ritenuto
suscettibile di influire sulle capacità di guida da specialisti del
Servizio Sanitario Nazionale;
- la patente rilasciata in Paesi
al i fuori della Unione Europea abilita alla guida in Italia solo dopo il
controllo sulla sua validità e solo ove i criterii adottati per il
rilascio risultino equivalenti a quelli dell’Unione;
- vanno individuati rigorosi criterii di controllo della idoneità
alla guida nella terza età.
Responsabilità personale non assicurabile
Il responsabile di lesioni gravi o gravissime, ma anche di omicidio
o pluriomicidio stradale, non paga nulla per la sua colpa.
Non paga sul piano economico perché ogni
danno è risarcito dalla sua
assicuratrice; non paga sul piano penale in quanto la
galera gli è evitata o dal patteggiamento o dal rito abbreviato o dalla
prescrizione o dalla costante applicazione dei minimi di pena e
di tutti i possibili benefici di legge; non paga sul piano
lavorativo perché la breve
sospensione della patente è ovviata dall’uso di altri mezzi e in
particolare dei ciclomotori che, come si è visto, i maggiorenni possono
condurre senza patentino; non paga sul
piano morale perché ogni peraltro
raro conato di pentimento è
prontamente bloccato dal legale privato o dell’assicuratrice.
A fronte dunque del dolore e
della rovina delle vittime, la pena per chi uccide sulla strada semplicemente non c’è.
Per impedire tale assurdo almeno sul piano economico va previsto un
obbligo di pagamento, a carico del responsabile di morte o lesioni
gravissime, che egli non possa
coprire di assicurazione; che scatti
dopo ogni condanna definitiva; che consista in una penale pari al
10% del risarcimento liquidato dal Giudice ma aumentabile
fino al 50% in
considerazione del suo reddito e da versare ad un Fondo ministeriale di
sovvenzionamento delle iniziative di prevenzione; che sia infine
suscettibile di esecuzione forzata nei limiti di legge anche su redditi di
lavoro o pensionistici. Disincentivazione assicurativa
Per gli stessi fini e sulla base delle
stesse considerazioni di cui al paragrafo precedente le compagnie
assicuratrici della responsabilità stradale devono essere tenute ad
imporre consistenti aumenti di
premio nei confronti degli assicurati riconosciuti con sentenza definitiva
penale o civile responsabili di
lesioni o di omicidio colposo.
Gli aumenti vanno graduati, in
ordine alla loro consistenza e al tempo di applicazione,
secondo la gravità
delle conseguenze (ad esempio
fino ad un massimo del 200% per 4 anni in caso di omicidio o lesioni
personali con inabilità totale).
Deve essere esclusa la possibilità
di evitare gli aumenti cambiando compagnia.
Discoteche
Dalle 2 alle 6 del mattino nei giorni di venerdì e sabato muoiono
ogni anno sulle strade italiane più di 400 giovani sotto i 25 anni.
Malgrado l’interessato parere
dei gestori è certo che l’affaticamento indotto da una permanenza
notturna nelle discoteche prolungata senza misura (e proseguita spesso nei
locali che aprono al mattino), quasi sempre aggravata dall’assunzione di
alcool e altre droghe, comporta un rischio abnorme sulle vie del ritorno o
del nomadismo.
Va dunque ripetuta decisamente
la richiesta di norme per la chiusura
anticipata delle discoteche alle
02 della domenica ed alle 01
del lunedì nonché per la riduzione
del 50% di luci e suoni e
di divieto della vendita di
alcoolici nelle ultime
ore di apertura.
Vanno studiate nello stesso
tempo forme di collaborazione tra strutture pubbliche e discoteche, dal trasporto gratuito con mezzi collettivi (bus o treno) al
controllo dell’uso di droghe (benefici
di orario o di pubblicità a chi
fornisce un prodotto “pulito”).
Potenziamento attività di controllo
L’azione volta alla prevenzione è quasi sempre limitata, nelle
città e fuori, alle ore diurne o a momenti e punti particolari,
mentre la strage si compie spesso di notte o comunque al di là
dell’àmbito dell’abituale controllo.
Una attività di polizia, municipale e di Stato, che non si
limiti a ondate di contravvenzioni
“facili” aventi il solo scopo
di impinguare le casse comunali, non
sia costretta entro “orari di
ufficio”, non sia prevedibile dietro la solita curva, è indispensabile
se non si vuole che cominci proprio dalla strada lo scollamento tra i
cittadini e la legge.
Il controllo – da potenziare
con l’adeguamento degli organici
della Polizia stradale (solo 11.000 unità oggi, quasi le stesse degli
anni ’60 contro un aumento del parco veicolare del 400 %,
diminuzione negli ultimi 5 anni dal 13 al 30% delle pattuglie su strada) e
delle Polizie municipali e con l’uso di tecniche e strumenti moderni -
va operato in particolare su: - manutenzione e sicurezza
delle strade di ogni categoria;
- rispetto
dei limiti di velocità, degli obblighi per cinture (il loro uso riduce di oltre il 60% la probabilità di morte), casco
(il tasso di mortalità per le due ruote, 4 volte superiore a quello delle
vetture, va riferito in gran parte a traumi cranici) e distanza
di sicurezza, così come, specie
in discoteca, del divieto di assumere droghe. Va previsto e attuato in collegamento con le
strutture del Servizio sanitario nazionale l’accertamento
delle condizioni psicofisiche di tutti i coinvolti subito dopo ogni
incidente con lesioni personali.
Controllo a distanza
Il traffico e la potenza dei motori aumentano di anno in anno.
Fino ad oggi, invece, i sistemi di controllo sono
rimasti quelli di cinquant’anni fa, legati al fermo del veicolo (ormai
problematico a causa della velocità) e alla contestazione sul posto (che
comporta l’impossibilità di fermare i veicoli che intanto ripetono
l’infrazione), provvedendo la Magistratura togata e no ad impedire,
secondo una linea di totale
irresponsabilità, ogni tentativo dei corpi di polizia stradale di
usare più moderni schemi e strumenti di accertamento. Un primo timido passo nella direzione giusta è
stato fatto con l’art.4 della legge
n. 168 del 1°.8.2002 che legittima
l’uso di strumenti di rilevazione a distanza delle infrazioni
alle norme su velocità e sorpasso – ma non invece di infrazioni
altrettanto gravi e ugualmente accertabili come ad esempio il passaggio a
semaforo rosso o il transito sulle corsie di emergenza o riservate ai
mezzi pubblici – e per di più limitatamente, quanto alle strade urbane
ed extraurbane minori, ai tratti individuati dai Prefetti come pericolosi.
Queste limitazioni vanno tolte
al più presto se vita e salute dei cittadini devono essere protette, come
sembra logico, da ogni comportamento
lesivo e in ogni tratto stradale.
Ribadiamo comunque la richiesta,
questa si idonea a fermare per sempre la strage,
di corredare ogni veicolo di un meccanismo
in grado di fornire all’esterno,
e quindi agli organi di controllo, dati sulla velocità,
sull’allacciamento delle cinture, sulla distanza dal veicolo che lo
precede, dotando gli organi di controllo di apparecchi per leggere e
registrare quelle informazioni. ritorna al sommario
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La giustizia (i processi, le condanne, i risarcimenti) interviene
quando il danno si è verificato, quando cioè la prevenzione è fallita. Dovrebbe dunque tendere da una parte a
riaffermare la validità delle regole sociali violate e dall’altra a
riparare il danno degli offesi. Nulla di tutto questo, per quanto riguarda il
danno stradale e in genere gli omicidi e le lesioni colpose: non ci sono condanne o non vengono
eseguite per sospensione o prescrizione, i risarcimenti
in genere sono risibili e, intervenendo
a distanza di anni se non di decenni, non riparano quel danno.
E’
necessario allora rivedere
tutti gli aspetti del sistema giustizia perché risponda ai detti due
scopi, di prevenzione da una parte e di riparazione dall’altra,
ricollegandolo al sentimento popolare di profondo e radicato rispetto per
la vita.
E’ ancora necessario, perché è giusto e per evitare eccezioni
di incostituzionalità, che tutti o almeno
i più gravi reati colposi contro la persona vengano trattati e puniti
allo stesso modo, ovunque siano stati commessi.
Quelle
che seguono sono proposte irrinunciabili per l’Associazione, difficili
da realizzare perché in contrasto profondo col “pensiero” giuridico
vigente ma non per questo meno necessarie se la legge sostanziale e
processuale deve essere espressione del popolo.
E
anche qui va notato che le
nostre proposte sono riportate in gran parte nel disegno di legge 1885 del
30.10.2001 il cui testo è pure richiamato in appendice.
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le sanzioni |
Chi guida sapendo
di cavarsela in ogni caso con sanzioni
ridicole, sostanzialmente uguali se ammacca un paraurti o
uccide più persone, non può
essere intimorito dalle norme, blande e comunque inattuate, oggi poste a
tutela di vita e salute. Per il necessario effetto di deterrenza le sanzioni devono essere invece, almeno per le più gravi ipotesi di reato, severe e soprattutto effettive. Aumento delle pene Si potrebbe fare a meno di ogni aumento di pena se la
Magistratura non facesse di tutto per evitare la galera anche ai
pluriomicidi e cioè ad esempio - se nell’applicare la pena i Tribunali non
partissero costantemente dai minimi edittali, quasi che non vi fossero
anche dei massimi (e invece la legge prevede una ampia graduazione della
pena anche quando si tratta di colpa e non di dolo), ridicolizzando
così non solo il dolore delle persone offese ma la stessa legge dello
Stato; - se la Cassazione non ritenesse il disposto del
secondo comma dell’art. 589 (che prevede per l’omicidio colposo
stradale un massimo di 5 anni invece dei 3 previsti per l’omicidio
colposo “semplice”) una semplice aggravante e non una ipotesi autonoma
di reato, col risultato di compensare tale aggravante con l’attenuante
della incensuratezza e di arrivare, anche partendo (come non accade MAI)
dal massimo di 3 anni, sotto la soglia dei 2, e quindi sotto la soglia
della galera, con la semplice applicazione dello sconto di pena di 1/3
previsto automaticamente in ipotesi di patteggiamento e di giudizio
abbreviato (in realtà con questo sistema, e partendo invece dal minimo di
6 mesi, si giunge spesso, per
fattispecie di omicidio, a condanne di
4 mesi, ovviamente con la condizionale);
- se i Giudici tenessero conto del
secondo comma dello stesso art. 589, secondo cui per chi lascia sulla strada un morto e anche un solo ferito
lieve – e si tratta di ipotesi che copre grandissima parte degli
incidenti mortali – la pena per
l’omicidio va triplicata; -
se nel valutare (come gli impone l’art. 444 del Codice di procedura
penale) la congruità della pena patteggiata nei casi di omicidio o lesioni
gravissime il singolo Giudice tenesse conto che si tratta dell’uccisione
di una persona viva che avrebbe potuto, che potrebbe essere domani, una
persona della sua famiglia, di
un’offesa gravissima all’amore che è il fondamento della stessa
società, di un reato
commesso quasi sempre per motivi futili come la fretta e più spesso
abietti come il disprezzo per la vita altrui.
Di fronte, però, a un così radicato
e diffuso uso dei Codici ad esclusivo favore dei colpevoli da parte
del potere giudiziario, non resta che invocare dal potere legislativo
norme più severe almeno per rendere
più difficile l’assoluzione di fatto attraverso i meccanismi del rito
abbreviato, del patteggiamento, dei benefici di legge.
L’art. 589 primo comma del Codice penale va dunque modificato
perché preveda la reclusione da 3 a 9 anni (anziché da 1 a 3 anni) per
tutti i reati di omicidio colposo ovunque commessi, con
ritiro della patente da 2 a 6 anni per quelli commessi sulla
strada..
L’art. 590 del Codice penale
va modificato va modificato, almeno quanto alle lesioni personali
comportanti inabilità totale, perché preveda
la reclusione da 2 a 6 anni (invece che da 6 mesi a 2 anni) per
tutti i reati colposi di quel genere ovunque commessi, con ritiro della
patente da 2 a 6 anni per quelli commessi sulla strada.
Effettività
delle pene e sanzioni alternative L’Associazione
concorda con quanti affermano che le
pene devono essere, più che pesanti, effettive e, più che afflittive,
utili alla rieducazione del colpevole.
Se venisse realizzato un quadro
legislativo di questo genere accetteremmo senza discutere che chi ha tolto
vita o salute ai nostri cari fosse per mesi o per anni - sempre meglio che in giro e libero di colpire di nuovo –
addetto ad esempio a un pronto soccorso ospedaliero o a un servizio di
controllo del traffico.
Ma nell’attesa che lo Stato
provveda in quel senso non possiamo non chiedere una applicazione delle
leggi esistenti che tenda a quella effettività specie per i più gravi
reati colposi contro la persona e, poiché quella applicazione manca, pene
che rendano almeno possibile una sia pure minima afflizione per chi ci
ha distrutto la vita. Prevedibilità dellevento
Nell’opinione comune e in parte anche nella dottrina giuridica, rischiare
un evento prevedibile equivale, o quasi, a
volerlo.
Allora il
comportamento di chi guida sapendo - o dovendo sapere, che è lo
stesso - di poter procurare lesioni o morte ad altri,
va punito in termini più pesanti di quelli previsti per chi
provoca lo stesso evento senza avere “accettato” quel rischio.
Chiediamo dunque che le pene e
le sanzioni accessorie per i
reati di omicidio colposo e lesioni gravissime colpose stradali raddoppino
quando la situazione di rischio era obiettivamente
tale da potere e quindi dovere essere percepita da un soggetto di media
diligenza.
Eccesso di velocità
La velocità è certamente il
principale fattore di rischio sulla strada (le vittime si ridurrebbero
del 25% se la velocità media diminuisse di 5 km/h e del 35% se di 10
km/h): dunque tutte le norme mirate a ridurla vanno applicate decisamente
e se necessario aggravate.
Appare a questo fine non solo
generica ma limitata ed incerta la pure apprezzabile previsione -
di cui al disegno di legge C-2851 del Governo ora dinanzi alla Commissione
Trasporti, “dell’inasprimento delle sanzioni amministrative
accessorie” in ipotesi di lesioni stradali gravi o gravissime o mortali. Si deve agire soprattutto col ritiro della patente e col sequestro
del veicolo, elevando i limiti già
previsti e specie nei
confronti dei neo-patentati, aumentando i tempi della sanzione in caso di
recidiva e riducendoli quando venga ammessa l’infrazione e per chi
accetti di prestare attività in favore della sicurezza o delle vittime
della strada. Guida
in stato d'ebbrezza
La legge 168 del 1.8.2002 ha
opportunamente ridotto da 0,8 a 0,5 grammi per litro il tasso alcoolemico
consentito per la guida.
Nuove ipotesi di reato
Istituito con la delega 85 / 2001e concretamente previsto e
disciplinato col decreto legislativo 9/2002 il reato di gara di velocità
sulle strade pubbliche, le nuove ipotesi devono riguardare:
- la produzione e la commercializzazione di messaggi pubblicitari, videogiochi
e altri strumenti di intrattenimento istiganti alla velocità o alla aggressività su strada;
- qualsiasi manomissione che
aumenti in qualsiasi misura,
rispetto a quelle di fabbrica, le prestazioni di velocità,
potenza o rumorosità di qualsiasi veicolo, con equiparazione
della conduzione dei veicoli manomessi alla guida senza patente. |
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i processi |
L’amministrazione della giustizia in Italia è, come noto, nel
mirino della Corte di giustizia dell’Unione europea per la sua
incredibile lentezza.
Il processo penale, poi, è
impedito - nella quasi totalità dei casi di sicura responsabilità -
dall’accoglimento, da parte del Giudice, della richiesta di
patteggiamento avanzata dall’imputato.
Su questi due punti sono
necessarie nuove norme.
Accelerazione dei processi penali e civili
La lentezza dei processi penali e civili relativi alla morte o alle
lesioni gravissime comporta che le sentenze, quando finalmente arrivano, riguardano una situazione
completamente diversa - quanto a condizioni psicologiche, esistenziali
ed economiche delle vittime - da
quella che dovrebbero riparare.
Ciò rappresenta per le stesse
vittime un rifiuto di giustizia concreto e insopportabile;
il danno gravissimo di una
vita spenta o rovinata per sempre non può essere lasciato senza
riparazione immediata; va allora aperta per questi casi una corsia
processuale preferenziale.
Questa corsia potrebbe essere già
oggi percorsa dai Giudici, cui l’ordinamento vigente accorda la
discrezionalità necessaria a gestire
diversamente processi su reati di morte o lesioni gravissime e processi
per reati ad esempio di piccoli furti, truffe ecc.
Poiché ciò non accade, non
resta di nuovo che invocare l’intervento del Legislatore.
Quando si procede per morte o
lesioni colpose comportanti inabilità totale la legge deve dunque
prevedere
- nel processo penale termini
brevi e perentori per la durata complessiva delle indagini preliminari,
per l’emissione del decreto di citazione
a giudizio, per la fissazione dell’udienza dibattimentale, per il
lasso di tempo massimo tra un’udienza e l’altra;
- nel processo civile la totale
esenzione da bolli e depositi nonché termini brevi e perentori per
l’intervallo tra un’udienza e l’altra.
Giudizio abbreviato e patteggiamento
I meccanismi previsti dal Codice di procedura penale
per l’applicazione della pena su richiesta di giudizio abbreviato
(articoli 438 e seguenti) o sull’accordo delle parti (patteggiamento:
articoli 444 e seguenti) impediscono
lo svolgimento del processo.
Per diminuire il carico
processuale, eccessivo rispetto all’organico della Magistratura, lo
Stato accetta cioè di giudicare
sbrigativamente o di non giudicare affatto il colpevole, e sua richiesta.
Si tratta però dello stesso
Stato che con l’azione penale dovrebbe soddisfare un interesse pubblico
che nei casi di omicidio o di
lesioni gravissime colpose non solo comprende l’interesse delle vittime
ma riassume quello di tutta la collettività alla tutela
dei beni fondamentali – tali nella Costituzione -
della salute e della vita.
Che lo Stato rinunci a quella
azione, che subordini quell’interesse all’esigenza spicciola di non
spendere quanto necessario per un organico di magistrati sufficiente è una vera vergogna.
La soluzione è
nell’eliminazione di quei meccanismi quando si tratti delle ipotesi più
gravi di danno colposo o almeno, e intanto, nella loro esclusione ove
manchi il consenso delle vittime.
Va dunque posta norma nel senso
che quando si procede penalmente per reati di omicidio o lesioni colpose
comportanti l’inabilità totale della vittima,
la richiesta di giudizio abbreviato e quella di applicazione della
pena sull’accordo delle parti siano procedibili
soltanto se vi è il consenso delle persone offese dal reato,
graduando opportunamente il diritto di dissenso dei familiari quando la
vittima sia deceduta.
Può pensarsi, in subordine e
per aprire intanto il cammino, a
percorsi di giustizia conciliativa
(mediazione tra imputato e parte offesa) o
riparativa (pentimento, risarcimento immediato) – già introdotti
per il penale minore dinanzi ai Giudici di pace - purché sia garantita
anche alle vittime la dignità sostanziale e processuale che i nostri
Codici assicurano oggi soltanto ai colpevoli.
Deve essere in ogni caso
legalmente prevista l’efficacia, nei processi civili, delle sentenze
penali di irrogazione della pena su richiesta. |
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i risarcimenti |
Va chiarito anzitutto che la prima
esigenza di qualsiasi vittima è il ritorno alla situazione precedente.
Quando ciò non è possibile - e
tanto più quanto meno è possibile, come ad esempio nei casi di morte –
quell’esigenza diviene richiesta della riparazione possibile e in primo
luogo, dunque, del riconoscimento della propria condizione di vittima da
parte del responsabile e, o
in mancanza, da parte della società.
Nessuna
vittima di una lesione personale - e tanto meno se mortale o
totalmente inabilitante – desidera
e chiede prioritariamente un risarcimento in denaro : MAI, neppure nei
casi di più pesante condizione economica.
Che il responsabile, e più
ancora la società, non siano capaci d’altro che di offrire soldi, è
un’offesa ulteriore, non una riparazione; e che la vittima debba finire
con l’accettarli, perché capisce che non avrà altro, è una sconfitta
per tutti.
Posta questa necessaria
premessa, è un fatto che le
Compagnie assicuratrici - impegnate a non pagare o a ridurre il
risarcimento dei danni più gravi mentre liquidano facilmente e spesso
senza indagini i danni minori - sono soggetti illimitatamente solvibili in
quanto possono redistribuire il costo dei risarcimenti sull’importo dei
premi.
Non vi è dunque motivo per
liquidare, come invece accade, la morte di un innocente con somme e sulla
base di “tabelle” del
tutto arbitrarie, che insultano nei superstiti
la memoria o la miseria.
D’altra parte l’aumento
indotto sui premi da risarcimenti più equi potrebbe aprire un circolo
“virtuoso” riducendo l’incidentalità stradale e quindi anche i
costi assicurativi.
Il ribaltamento della situazione attuale
non richiede modifiche legislative se non per quanto appresso; e va per il
resto preteso con la necessaria fermezza dalla Magistratura nel suo
insieme. Punto unico nazionale del danno biologico
E’ universalmente accettato che il danno biologico, cioè la
perdita della salute, debba essere valutato allo stesso modo in tutto il
Paese.
E’ infatti assurdo e
incostituzionale che quella perdita venga risarcita in termini diversi da
Tribunale a Tribunale, spesso da Giudice a Giudice, da carrozzella a
carrozzella, come se si trattasse di un danno oggettivamente e socialmente
o soggettivamente diverso a seconda che prodotto a Milano o a Ragusa e nei
confronti di un manovale o di un capitano d’industria.
La cosiddetta
“personalizzazione” del danno, la possibilità cioè per il Giudice di
liquidare il danno biologico in più o meno ampi termini discrezionali,
lungi dall’essere una conquista civile è avvertita da tutte le vittime
come un’ulteriore possibilità di offesa in un quadro di totale mancanza
della certezza della legge e quindi della riparazione.
Va aggiunto che se politici e
tecnici non sono riusciti fino ad oggi a
definire un valore nazionale del
“punto” di danno, l’art. 5 della legge 57 / 2001 ha accolto le
pressioni delle Compagnie assicuratrici per una definizione estremamente
riduttiva del valore del punto nelle cosiddette “micropermanenti”
(invalidità inferiori al 10%) e si è fatto concreto il rischio di una
riduzione anche dei valori tabellari, già insufficienti, per i danni
maggiori.
Diventa dunque urgente porre
norma che quanto meno per le invalidità gravi, superiori cioè al 33%, determini
a scala nazionale il valore del punto di danno biologico in termini non
inferiori ai valori massimi ritenuti oggi dai Tribunali.
Sarebbe infatti, di nuovo,
assurdo e incostituzionale che le liquidazioni dei Tribunali più aperti
si riducessero per i futuri invalidi. Danno da morte
In caso di omicidio colposo le compagnie assicuratrici pagano
soltanto e non sempre una parte, comunque modesta, del danno patrimoniale,
non pagano affatto il danno biologico della vittima deceduta (a meno che
non abbia sofferto lucidamente la propria agonia), pagano raramente e male
il danno biologico dei superstiti, pagano infine il loro danno morale
sulla base di tabelle cervellotiche e comunque infime.
Il danno da morte è così
risarcito molto meno del danno da lesioni anche gravi (in quanto per
queste viene sempre pagato il danno biologico), a riprova di un teorema
assurdo: quanto più grave è la perdita, tanto minore è la riparazione
che la società offre.
Di
più: il danno morale da morte, che sia o no proporzionato al danno
biologico, viene liquidato, come quello, in termini diversi da Tribunale a
Tribunale, da Giudice a Giudice, da bara a bara,
come se umanamente e logicamente potesse ritenersi una qualsiasi
differenza tra il dolore di genitori del sud o del nord, ricchi o poveri,
conviventi o no, con altra prole o no, per la scomparsa di un figlio, o di
un figlio per quella di un genitore, o di un coniuge per quella
dell’altro: il dolore è uguale dappertutto e comunque perché era uguale l’amore.
Si tratta di situazione da cambiare radicalmente.
Alla vittima deceduta va
riconosciuta, anche nel caso di cosiddetta morte immediata (che in realtà non esiste
in quanto scientificamente e legalmente esiste comunque un intervallo tra
la lesione e la cessazione completa e duratura dell’attività cerebrale)
la perdita totale della salute,
e/o di quel riassunto della salute che è la vita, e
dunque il diritto, trasmissibile agli eredi, al risarcimento del suo danno biologico del 100%.
Il danno morale degli stessi
familiari va risarcito in
termini il più possibile certi ed uniformi, e però aderenti alla gravità
del caso, e quindi nel doppio del danno biologico del 100% della vittima
deceduta, e
solo in subordine secondo altri criterii oggettivi (con riferimento agli
importi più alti liquidati per casi di omicidio
doloso o colposo – i 3
miliardi e 800 milioni di lire liquidati a ciascuna delle vittime della
funivia del Cermìs, i 2 miliardi e 137 milioni di lire liquidati dal
Tribunale di Camerino con sentenza 132/2001 per la morte stradale di un
bambino di 6 anni - o con
riferimento al valore "di mercato"
della vita umana nei casi di sequestro di persona) o
soggettivi, anche qui tenendo conto della gravità dell’offesa
(il valore prioritario che il comune sentire attribuisce alla vita umana o
il valore che il Giudice penale o civile attribuisce alla vita di un suo
familiare dello stesso grado).
Provvidenze per vittime incolpevoli e bisognose
Il contratto stipulato di fatto con lo Stato per l’uso della
strada comporta che quando il cittadino,
pure rispettando le norme per l’uso, vi riporti invalidità grave
(o i suoi eredi ove vi muoia), ha diritto
ad un risarcimento dallo Stato se e quando non lo abbia altrimenti
(ad esempio per incidente causato da cane randagio) o quando il
risarcimento avuto altrimenti non basti a garantirgli la sopravvivenza.
Va in questo senso il documento
presentato il 20.6.2002 dalla Commissione sui problemi e sul sostegno alle
vittime dei reati istituita presso il Ministero della giustizia, che
prevede l’intervento di un apposito Fondo di assistenza per il
risarcimento delle vittime non altrimenti risarcite; si tratta però solo
delle vittime di gravi reati dolosi,
dunque non di quelle che cadono per colpa sulla strada o altrove.
Questa limitazione va tolta, se
si vuole - come quel documento sembra voglia – considerare il reato
dalla parte degli offesi: non c’è infatti, e di nuovo, nessuna diversità
tra il dolore e il danno della vittima o dei suoi superstiti a seconda che
il reato sia stato commesso da un fanatico terrorista o da un
automobilista ubriaco. Ripetiamo comunque la richiesta di norma che preveda una posizione preferenziale nei concorsi e nelle graduatorie del pubblico impiego in favore della vittima incolpevole invalida oltre il 33% o del coniuge, del convivente e dei parenti stretti della persona deceduta per colpa altrui. |
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