associazione italiana familiari e vittime della strada - onlus

Diario :  1 marzo 2002 - 31 marzo 2002

 

1 marzo 2002

 

Ho appena fatto un giro in giardino, con il cane che mi saltava attorno dalla felicità. Eccetto il giorno in cui ho tagliato le rose, erano mesi interi che non mi vedeva in giardino.

La temperatura era abbastanza mite e mi sono fermata a guardare ogni piccolo fiore o foglia che sta per nascere. La luce, però, era irreale, come quando si attende un temporale e tutto assume un’aria vaga, non consueta. Mi guardavo attorno con la percezione di qualcosa di diverso, è tutto troppo aperto, manca qualcosa, ma non capisco cosa. Tutti gli uccellini sono a spasso e cinguettano, anche loro dopo tanti mesi. Si stanno preparando alla primavera. Presto arriveranno le rondini e mi ricorderanno l’anno scorso, quando le abbiamo osservate durante tutta la loro permanenza tra noi.

Tutte le cose mi ricorderanno l’anno scorso, e quello prima e tutti gli altri. Posso almeno dirmi fortunata perché ho dei bei ricordi da richiamare alla mente, ricordi sereni, gioiosi e tranquillizzanti.

Forse questo è l’aggettivo più importante: tranquillizzanti. Cioè sono ricordi che mi fanno stare bene, nel senso che mi rendono consapevole dell’amore che ho dato a mia figlia e di quello che lei ha saputo dare a tutti quelli che ha amato.

Si parla sempre di cosa un genitore dà ad un figlio, ma non si parla spesso di cosa un figlio può dare ad un genitore. Io credo di avere dato a mia figlia la capacità di affrontare la vita e le sue responsabilità, di fare delle scelte consapevoli e di averla amata come potevo.

Ho anche avuto tanto da lei; mi ha dato la capacità di mantenere la mia parte bambina, di saper vedere il lato ridicolo, anche di me stessa e la voglia di mettermi sempre alla prova. Era un enorme stimolo, potere dialogare con lei, per stare al suo livello – di ragazza giovane, sempre alle prese con nuove materie da studiare - mi dovevo inventare sempre cose nuove, nuovi interessi. Forse una delle cose che mi mancano di più è proprio il dialogo con una ragazza giovane, che studia e che cerca di portare avanti i propri sogni. Tutti quei discorsi, le discussioni e le chiacchiere senza scopo, le confidenze, le speranze; questo è ciò di cui sento la mancanza.

Ecco perché è tanto importante per noi l’amicizia di Elena e Silvia; ci permettono di mantenere queste consuetudini. Voglio, però, tenere sempre presente la realtà, perché sarebbe così facile farsi prendere la mano e pensare che qualcuno possa riempire quel vuoto che c’è nel tuo cuore, ma non è giusto per nessuno: sarebbe un inganno. Anche se loro il giorno del funerale mi hanno detto che sarebbero diventate le mie figlie adottive, devo sempre ricordarmi che hanno una madre e io non posso e non voglio occupare quel posto nella loro vita. Le considero delle vere amiche, delle persone meravigliose che mi hanno molto colpito con la loro forza e maturità. Ci stanno veramente aiutando molto; so che anche per loro è durissima, perché sentono molto la mancanza della loro amica e hanno provato molta angoscia per una vita così giovane spezzata in modo così traumatico.

La mancanza di Federica è veramente molto pesante da sopportare. Posso sentirla solo perché l’ho avuta, se io avessi avuto un rapporto diverso, meno coinvolgente con lei, adesso soffrirei meno? Forse ho avuto troppo, troppa felicità e troppo amore da mia figlia. Forse sto anche sragionando: esiste una classifica per indicare il grado di coinvolgimento nell’amore? Ritorniamo sempre al solito discorso; si può scegliere di non soffrire, ma bisogna prima rinunciare ad avere qualcosa. Non avendo niente, non si può rischiare di perderlo. Ma ci si chiude anche ogni possibilità di felicità. Si rifiuta la vita.

 

5 marzo 2002

 

Improvvisamente rivedo quel giorno schifoso davanti ai miei occhi. Piuttosto, risento tutte quelle orribili sensazioni, e mi si chiude la gola e sale la nausea. Mi sembra di non farcela più a guidare e penso di dover fermare l’auto, perché sto troppo male. E’ un vero male fisico, mi sembra di soffocare, so che è vero! Ma non è possibile, non può essere vero! Non posso farcela, io non posso vivere con questa angoscia, non si può sopportare!

Ma questo discorso non l’avevo già superato? Non mi ero già detta che:

« ... devi accettarlo, è già successo, non ci puoi fare niente, ti dovrai rassegnare. Succede a tante persone, tu non sei diversa da loro, non c’è un perché. Bisogna accettarlo e basta. ». Ma queste sono solo belle parole e io mi sono già scocciata di tutte queste belle frasi. Io rivoglio mia figlia e basta!

 

5 marzo 2002 (qualche ora dopo)

 

Sono più calma. Credo. Ogni tanto parlo a vanvera, ma poi mi scuso da sola. All’inizio parlavo più spesso così, anche se non ricordo che l’angoscia mi chiudesse così la gola. Ricordo, però, i discorsi pazzi che facevamo, Giuliano ed io. Di quante e quali cose ci disperavamo! Cose assurde! Tutto era un problema insormontabile; a chi avremmo lasciato la casa un giorno, per che motivo proseguire il lavoro, io mi disperavo persino perché non potevo più lasciarle il quadro che avevo fatto, e che avrebbe dovuto lasciare a sua figlia per perpetuare il ricordo della nonna. Ma sono motivi di angoscia, questi? Evidentemente l’unico vero motivo era la morte di Federica, ma essendo troppo grosso da affrontare ci inventavamo tutti quegli altri motivi per ingannare il nostro cervello. In questo modo potevamo disperarci e piangere perché la nostra casa rimaneva sola, mentre eravamo noi che avevamo perso l’unica figlia, l’unica persona che ci sembrava dare un senso completo alla nostra vita.

E la sua vita? Piena di promesse e progetti, interrotta prima di iniziare. Non riuscirò mai a capire, MAI ad accettare quello che è successo. Credo che succeda così anche agli altri genitori a cui è capitata una disgrazia simile. Ecco, questo vorrei! Conoscere altri genitori rimasti orfani come noi del loro figlio. Orfana di mia figlia, così mi sento e così mi penso.

 

6 marzo 2002

 

Da qualche giorno penso che, prima o poi, dovrò decidermi a spostare la sua borsa e i suoi occhiali: sono ancora fermi sul piano del mobile, dove li ho messi il giorno dopo l’incidente e, ogni mattina, quando apro la finestra o passo l’aspirapolvere mi dico: « Dovrei mettere via quelle cose e decidermi a rimettere tutto in ordine! ». Ma non ce la faccio, è troppo, non riesco! Un’altra di quelle operazioni difficili, che mi toccano in questo periodo! Per guardare tutte le sue cose e sistemarle ci vorrebbero giorni interi, e poi a ogni più piccolo foglietto mi fermerei dieci minuti per leggerlo, ricordare quando l’ha scritto, da lì passerei ad altri ricordi e a un pianto, pensando a quanto era giovane e che adesso non può più vivere e dopo due ore avrei forse sistemato tre fogli! Per non parlare dell’angoscia. Ci penserò un altro giorno, quando sarò pronta. Credo che, se non fossi stata costretta dalla mancanza di spazio e dalla eliminazione di un armadio per fare posto al mobile dell’ufficio, non avrei neanche guardato dentro al suo armadio. Avrei lasciato tutto così com’era. A cosa sarebbe servito? Solo a ritrovare tutto dopo qualche anno e a peggiorare una situazione già brutta. E poi tutto sarebbe diventato inservibile. Invece ho regalato molti suoi abiti a chi ne aveva desiderio per avere un suo ricordo e, quindi, quella parte del lavoro, è quasi terminata. Rimane da guardare nei suoi oggetti personali. Voglio dividerli e sistemarli, in modo da potere avere tutti i suoi disegni e i suoi scritti sistemati con ordine e guardarli tutte le volte in cui  ne avrò voglia.

E’ un lavoro molto doloroso, tutte le cose mi ricordano qualche momento felice, e mi dispiace vedere quanto era brava e sapere che non potrà più usare il suo talento. Se fosse stata meno brava mi sarebbe dispiaciuto meno?

Ogni tanto al TG commentano così la morte di un ragazzo giovane: « Era un bravissimo ragazzo, frequentava l’università, aveva tutti 30 agli esami!» in modo tale da fare sembrare ancora più grave questa morte. Sembra che sapere quanto era bravo possa peggiorare la tragedia. Sembra che, se avesse preso 24 agli esami, potesse sembrare meno grave la morte!

Certe volte, al Telegiornale, usano anche l’espressione "è scomparso"; cioè per dare la notizia della morte di qualcuno usano un’espressione che significa "era andato nella Foresta Amazzonica e poi non se ne sa più niente da un mese": questo vuol dire "scomparso". Invece quando una persona cessa di vivere, si può solo dire: "è morta". Dovremmo imparare a usare più coraggio e franchezza. Chiamare le cose con il loro nome; se una persona è morta si può solo dire così, tutte le altre espressioni indicano ipocrisia e timore. Siamo abituati ad aggirare le parole che non ci piacciono, o di cui abbiamo paura perché poco conosciute. Questa situazione si autoalimenta ed accresce il timore di questa cosa tanto spaventosa.

Ho visto reazioni veramente sconvolgenti alla notizia dell’incidente capitato a Federica; persone che non riescono neanche a guardarmi negli occhi, intanto che gli do la notizia, oppure che non sono più venute a trovarmi, perché non riescono ad affrontare la nostra vicinanza.

Il rapporto che abbiamo con la morte è molto vago, pieno di un silenzio che incute timore: come al solito le cose che non si conoscono generano più ansia di quella che potrebbero causare. Rompere questo muro di silenzio potrebbe aiutare a migliorare la nostra comprensione di questi sentimenti e la loro accettazione; potrebbe, forse, modificare il rapporto che abbiamo con la morte e favorire le relazioni con le persone che se la trovano accanto.

 

7 marzo 2002

 

E’ curioso scoprire quanto possiamo farci condizionare da una persona morta. Certe volte, anche molto di più che dalla stessa persona, quando era in vita! Forse si può spiegare, pensando che, con una persona ci puoi parlare e provare di farla ragionare – anche se non è detto che si possa riuscire – ma, con una persona che non può rispondere, hai già perso in partenza!

Ad esempio, io sto scrivendo in questo momento, con gli occhi di Don Bosco che mi fissano da un’immaginetta appoggiata alle casse del computer. Non ho niente contro Don Bosco e neanche contro tutti gli altri Santi ma, sicuramente, io non l’avrei mai messa lì. Però non la tolgo!

Non la tolgo perché l’ha messa Federica. Allo stesso modo posso decidere di leggere un libro, perché a lei piaceva molto, oppure di non disfarmi di un abito vecchio, perché era il suo preferito. L’estate scorsa ragionavamo di ripulire un po’ il suo armadio e gettare delle cose vecchie. Lei avrebbe tenuto tutto e avevamo discusso su come fare. Alla fine mi aveva fatto promettere che avremmo tenuto una camicia alla quale era particolarmente affezionata. Quella camicia è ancora dentro all’armadio e sospetto che vi rimarrà per sempre.

Anche i suoi libri di quando era piccola, non posso regalarli perché so che li ha tenuti da parte per i suoi figli e mi è impossibile regalarli, soprattutto se non sono sicura che non vengano rovinati. Non me lo perdonerei mai.

Scopro così quanto sia forte il potere di una persona che non può più parlare.

 

12 marzo 2002

 

Due giorni a letto con l’influenza. Con un male di testa atroce che mi ha impedito anche di provare a leggere. Così, sdraiata senza poter dormire, non mi è rimasto altro che i miei pensieri. Pensieri che sono diventati sempre più tristi, man mano passavano le ore. Ogni tanto piangevo e alimentavo la mia autocommiserazione. Non vedevo l’ora di potermi alzare e fare qualcosa d’altro. Quando sono a letto e non riesco a dormire, penso anche a queste cose che sto scrivendo e vado avanti a scrivere mentalmente. Per me è molto importante questo progetto e lo porterò avanti fino alla fine, anche se non riuscirò a pubblicarlo. A chi lo farò leggere, allora? Non lo so, intanto scrivo perché non posso farne a meno, dopo vedrò cosa succederà!

Scrivere mi aiuta a conoscere quello che provo e, forse, ad esorcizzarlo e a farlo diventare meno angosciante. E’ anche molto faticoso e mi procura molte lacrime, ma quelle ci sarebbero comunque! Certe volte mi sembra di stare meglio, qualche giorno riesco anche a non piangere intanto che guido e allora dico:

« Sono guarita! Forse potrò guidare senza piangere.» Poi la volta successiva mi metto a pensare e l’angoscia mi chiude la gola. Allora credo che non ne uscirò mai.

Perché non posso impedirmi di pensare? Non potrei pensare meno? Forse sarebbe tutto più facile e avrei meno problemi, ma non è possibile; credo che nessuno possa essere diverso da se stesso. E’ il mio stesso carattere che mi porta a cercare di vedere dentro a me stessa, a scrutare i miei sentimenti per comprenderli meglio e frantumarli.

 

13 marzo 2002

 

All’inizio avevo visioni di morte in continuazione. Dappertutto vedevo potenzialità di sventura. Quando siamo andati a Perugia il 27 ottobre in occasione di Eurochocolat, - ho insistito per andarci perché era una gita già organizzata da settembre, e in quel momento mi sembrava molto importante mantenere certe scelte fatte in precedenza! -, c’era una gran folla, anche di bambini. Ce ne erano molti, attorno a uno stand dove si svolgeva un gioco di abilità, e io mi ero incantata a guardarli. Improvvisamente ho pensato: "Se qualcuno facesse una foto in questo momento e poi, fra qualche anno, tornasse qui a fare l’appello di tutti questi bambini, quanti risponderebbero?" E’ angosciante, lo so, ma è chiaro che sragionavo, ero molto scossa, avevo le lacrime sempre pronte ad uscire. Non che adesso si facciano pregare molto, comunque.

Ero sempre angosciata anche per Giuliano, per i miei nipoti, per tutti e stavo in ansia anche senza nessun motivo. Temevo per la vita di tutti quelli che amavo e anche di chi non conoscevo. Avevo pensieri neri anche su me stessa. Per convincermi della morte di Federica, per trovare una ragione a questo avvenimento irragionevole, mi ero anche detta che forse era successo, per evitare a lei una grossa sofferenza. E quella grossa sofferenza per lei insopportabile, poteva essere la mia morte. Forse ero malata e non lo sapevo.

Poi, in un altro momento, pensavo con timore alla mia amica Gabriella, che poco dopo la morte di sua figlia, si era ammalata di una gravissima forma di leucemia ed era morta pochi mesi dopo. Suo fratello mi disse che i medici avevano ipotizzato che la sofferenza per la morte della figlia avesse tanto debilitato il fisico, che si era ammalato così gravemente da causarne la morte.

Questo esempio mi metteva un po’ di angoscia; non volevo che capitasse anche a me. Forse volevo ancora vivere, tutto sommato!

Ero molto disorientata, tanto da provare sentimenti così contrastanti e cambiarli nel giro di pochi minuti. L’impressione che ricordo chiaramente dei primi giorni, o settimane, è un grande caos. Niente era più al suo posto, nessuno faceva quello che avrebbe dovuto, le abitudini erano completamente sovvertite. L’unica cosa che mi veniva in mente, era che avrei voluto sapere tutti a casa con i loro figli, a vivere la loro solita vita. Solo questo desideravo, solo questo mi poteva rassicurare. In un momento in cui non avevo niente in cui credere, volevo poter credere in una possibile serenità per gli altri.

 

14 marzo 2002

 

Queste cose che scrivo stanno diventando un pensiero urgente: sento sempre più spesso che devo parlarne a qualcuno. Ho accennato a questo mio scritto in una e-mail indirizzata ad Edoardo, col quale collaboro insieme ad altri, alla realizzazione di un sito internet. L’ho detto a lui perché è l’unico che sa di Federica. La nascita di questo sito internet, con persone che non si conoscevano fra di loro, è avvenuta in settembre 2001 e, ovviamente, il 2 ottobre non ho comunicato niente a nessuno di loro. Per qualche giorno non ho neanche acceso il computer, poi il mio senso di responsabilità ha prevalso sul resto e ho, comunque, anche pensato che occuparmi del sito mi avrebbe distolto per qualche minuto dallo choc che stavo provando. Come potevo comunicare una notizia del genere a persone che non sapevano niente della mia vita privata, e che non sapevano neanche se avevo una figlia? Poi Edoardo, forse intuendo che qualcosa non era come al solito, mi ha chiesto per ben tre volte cosa mi era successo e se stavo bene. Finché non ho più resistito, probabilmente avevo bisogno di dirlo, e gli ho scritto della morte di Federica. Avevo paura di farlo, perché so che reazioni si possono provocare con queste notizie. Spesso si corre il rischio di fare fuggire le persone. Oltretutto Edoardo non era neanche un amico di vecchia data! Lo conosco solo per mezzo del computer, non l’ho mai visto e, quando gli ho detto cosa era successo, ci conoscevamo solo da tre mesi. Avevo paura che non mi scrivesse più, che sospendesse il lavoro che stavamo facendo, quindi l’ho anticipato e gli ho detto che per me era troppo importante il sito che realizzavamo insieme e che non doveva smettere di scrivermi. Non solo non ha smesso, ma mi è stato anche molto vicino, con messaggi e cartoline virtuali, in tutte le occasioni.

Questo lavoro, che avevo appena iniziato il 28 settembre, da un’idea nata in agosto, sempre agosto!, è stato per me una vera scialuppa di salvataggio, perché dovermi occupare della realizzazione di questo sito, ha impegnato la mia mente e per qualche ora l’ha distolta dall’angoscia tremenda che provo.

Qualcuno potrebbe non capire e dire: « Come, con quello che è successo, hai voglia di fare queste cretinate?» Sì, perché quando il cervello si impegna in un lavoro che non sia solo manuale, riesce ad evitare quei pensieri che non l’abbandonano mai. Mentre il lavoro manuale lascia la mente libera di fare quello che vuole - e si sa bene cosa vuole! –, il lavoro intellettuale obbliga a una concentrazione che non lascia spazio ad altro.

Mi sono detta tante volte che l’idea che avevo avuto era stata molto saggia, e ci ho visto come un presagio. Probabilmente, però, questa è la visione che voglio dare alle cose! Con la conoscenza dei fatti, tendo ad interpretare tutto secondo uno spirito di preveggenza e finisco per credere di avere il potere di sentire in anticipo gli eventi e, perciò, mettermi al riparo fornendomi motivi di conferma delle mie capacità di controllo.

 

15 marzo 2002

 

Sembra che il sole sia finalmente deciso a uscire, le foglie dell’olmo sono già grandi abbastanza da impedire la vista dei rami, che fino all’altro giorno spiccavano con il loro disegno sul colore del cielo.

Tutti gli uccelli sono già all’opera per rinforzare il nido e io so che le rondini stanno per arrivare. Proprio le rondini, che l’anno scorso ci hanno tanto affascinato con la loro vita ricca di tanti eventi, pur nella sua semplicità. Erano un’ottima scusa per sedersi in giardino e guardarle intrecciare i loro voli sopra alla nostra testa. Federica le osservava e rideva, poi commentavamo inventandoci storie anche su di loro.

Avevo molto timore di questo nuovo inizio di stagione. Ho pensato che l’inverno, con la sua immobilità e la sua tristezza, mi proteggesse, mi avvolgesse come in un bozzolo, e che io potessi rimanere sempre lì, senza essere obbligata a fare niente. E vedevo la primavera, con la sua energia e la sua allegria, come un’antitesi di quello che sentivo di poter fare. Sapevo che ogni rinnovamento, ne trascina altri con sé e avevo paura di non essere pronta, di non farcela.

Adesso so che non devo programmare troppo, non è necessario, farò le cose quando riuscirò. Tanto non ho fretta, ho sempre detto che vivrò fino ad avere ottanta anni e, perciò, devo far passare i prossimi 32 anni! Mi accontento di vivere quasi alla giornata; per una organizzatrice come me, è già troppo anche questo! Avrei sempre voluto tenere tutto sotto controllo, ma non è possibile e quindi...

Comunque credo di essere pronta, ho bisogno di prendere qualche decisione, non voglio solo lasciare scorrere la vita attorno a me, voglio avere parte attiva in questa partita che sto giocando.

Ho capito che devo accettare tutto questo e non posso sempre "remare contro", come facevo all’inizio. Non è possibile, il fisico e la mente non possono resistere ad una tensione sempre ai massimi livelli, per un periodo troppo prolungato. E’ necessario allentare la tensione e abbassare la guardia, non sto facendo un incontro per il campionato del mondo!

Da quando mi sono imposta di controllare la rabbia sterile, che non poteva portare a niente, quella dell’inizio, e ho indirizzato i miei sforzi verso questo sguardo interiore, riesco a metabolizzare queste emozioni, altrimenti insopportabili. Le esamino, le riconosco e do loro un nome, le divido, le spezzetto, fino a che qualcuna risulta possibile eliminarla. Ho scoperto che, di fronte ad un dolore così grande, si tende ad aggravarlo aggiungendoci, come se non fosse già insopportabile da solo, tanti altri piccoli dolori. Dopo questa operazione, questa montagna che è il nostro dolore, è diventata così enorme da scoraggiare anche il più coraggioso degli esseri umani.

Ho anche pensato che si aggiungano altri dolori apposta, per distogliere la mente da quello che è veramente il più straziante, e che è l’unico di cui vorremmo occuparci. Solo che non possiamo dedicarci a quello, perché non lo reggiamo; è troppo forte, sentiamo che ci toglie la ragione, ci può fare impazzire.

 

19 marzo 2002

 

Festa del papà. E’ possibile che tutti i giorni ci sia un motivo ulteriore di sofferenza? Avevo visto qualche giorno fa in cartoleria, i biglietti per la festa del papà e mi avevano angosciato, mi erano subito salite le lacrime agli occhi, ma naturalmente non si può piangere in una cartoleria, soprattutto in una dove ti conoscono. Penserebbero che sei impazzita, e non avrebbero tutti i torti! Certe volta lo credo anch’io, ma poi capisco che non è vero, è solo sbandamento. Avere perso un così importante punto di riferimento come può essere un figlio, non avere più la propria identità di genitore, può veramente farti perdere di vista chi sei e che cosa stai facendo. A me sembra di non fare niente e di non avere niente da fare anche se, comunque, sono sempre impegnata. Anche se si lavora o si fanno cose che piacciono, è la motivazione interiore che manca; non si comprende perché si debbano fare certe cose. A chi servono?

E poi c’è sempre l’angoscia per Giuliano, che non ha più nessuno che lo chiama papà, e per mia mamma, che non è più nonna, anche se le amiche di Federica la chiamano "Nonna Laura", come fosse un nome e cognome, tanta è l’abitudine. E’ atroce pensare a tutti questi cambiamenti che ci sono stati imposti. Il dolore per ciò che abbiamo perso è enorme, tanto grande da risultare insostenibile. Quella giovane vita spezzata ci angoscerà per tutta la vita.

 

20 marzo 2002

 

Ho ricevuto un messaggio da Maria Laura. Sono molto contenta, mi sembra importante mantenere i contatti con le amiche di Federica, mi fa capire quanto bene le vogliono e sento il loro amore che arriva fino a noi. Queste persone mi danno molta forza, sento una responsabilità nei loro confronti; non voglio deluderle. O non voglio deludere me stessa. Infatti a Maria Laura, che mi chiede "...come stai, come va?", ho risposto: "... cerco di mantenere il rispetto per me stessa". Dopo averlo scritto, mi sono fermata a riflettere sul significato di queste parole, che mi sono uscite di getto, senza pensarci.

Forse rappresentano una importante chiave di lettura di questi sentimenti contrastanti che provo; forse si può ricondurre tutto a questo semplice ma variegato concetto. Cosa ti può spingere ad andare avanti? Possono essere gli altri, può essere una esortazione detta con amore: « Coraggio, devi essere forte! »?

Possono gli altri trasmetterti la forza, il coraggio per alzarti tutte le mattine e andare al lavoro e svolgere tutte le solite incombenze, vedere persone, parlare?

Sì, è possibile, ma solo se ci crediamo; solo se pensiamo di poterci salvare, possiamo farci aiutare da qualcuno: la prima persona che deve credere in noi, siamo noi. Ecco che, allora, possiamo prendere forza dagli altri, possiamo rivolgerci anche a persone competenti per la loro professione e i loro studi, perché anche una terapia con l’ausilio di un bravo psicoterapeuta avrà maggiore successo solo se siamo disposti ad aiutare noi stessi, solo se, noi per primi, penseremo che ne valga la pena.

Ecco che esce allo scoperto quel "rispetto di noi" che dovrebbe essere alla base di ogni nostro comportamento; è il presupposto per un mantenimento della nostra forza, della voglia di essere sempre ben presenti a noi stessi. Solo così potremmo esserlo anche per gli altri.

Quando mi guardo allo specchio, voglio prima di tutto ritrovarmi; solo se io crederò di esserci, gli altri potranno vedermi. Ecco che riconoscermi nei loro gesti, aumenterà la consapevolezza di quello che devo o voglio fare.

Infatti, se io mi sentissi desolata e degna solo di compassione, ecco che lo diventerei subito, anche agli occhi altrui. Quando, invece, sento profondamente che riuscirò ad andare avanti e a mantenere una vita dignitosa, sto già vincendo la mia battaglia.

Allora posso anche occuparmi degli altri e smettere di pensare solo a me stessa; il dolore altrui, solo se pensi di poterlo ricevere senza esserne sopraffatto, può essere un coinvolgente mezzo di rinnovamento.

 

22 marzo 2002

 

La giornata è veramente primaverile, il sole scalda le spalle quando cammini e prova anche a scaldare il cuore. Osservando la natura e il risveglio delle piante, mi sono venuti alla mente due versi, come sembra ormai un appuntamento consolidato.

 

Marzo

 

Fiori colorati punteggiano la nuova erbetta,

tonde foglie verde chiaro sul vecchio olmo,

sul platano gemme ancora in embrione,

rondini, affaticate dal loro viaggio,

contemplano i vecchi nidi.

Per ognuno esiste un giusto momento

per il ritorno alla vita.

 

26 marzo 2002

 

Trovo sempre più difficile fare qualsiasi cosa, tutto mi sembra impossibile per le mie forze e non ne capisco l’utilità. Cosa stiamo facendo? Qual è il nostro compito? Non credo più di saperlo, supposto che prima lo comprendessi. Siamo qui per essere felici, o per rendere felici gli altri? Questa seconda ipotesi mi sembra un po’ troppo ambiziosa, come possiamo rendere felici gli altri, come si può credere di avere un simile potere? E poi quali sarebbero gli altri su cui si potrebbe usare questa ipotetica influenza?

Eppure tutte le volte che interagiamo con altre persone, qualcosa di quello che facciamo o diciamo, può influire sul comportamento altrui. Le nostre azioni non finiscono nel momento in cui le compiamo, ma hanno degli effetti che durano per molto tempo e, addirittura, si possono propagare a macchia d’olio.

Quindi sarebbe meglio se riuscissimo a ricordare quanto il nostro comportamento può alterare le percezioni delle altre persone. In tutti i sensi, potrebbe essere un’impressione negativa, ma anche positiva, quella che lasceremmo come nostro ricordo. Potrebbe essere molto importante!

Perché sto pensando questo? Forse la percezione di stare vivendo una vita inutile, forse un’idea che io stessa mi sono fatta, mi rende tutto ancora più complicato. E se io credessi di vivere una vita inutile, non la starei già vivendo? Se io mi sentissi derelitta, non lo sarei già?

La vita diventa inutile solo se noi lasciamo che lo sia. Questo ho sempre creduto. Lo credo ancora?

Come spiegare allora quello che sto facendo? Perché scrivo? Perché ho voluto ricominciare a leggere? Perché sto facendo un pizzo per la tovaglia di Fabrizia? Perché continuo a lavorare al sito internet, che avevo programmato nell’agosto scorso? E a fare tante altre cose?

Credo che fossi tanto abituata a vivere, che lo faccio anche senza rendermene conto. Penso che il nostro istinto abbia il sopravvento sulla nostra razionalità, e che certe cose si continuino a fare inconsciamente, anche se ti sembra di non averne più voglia.

 

27 marzo 2002

 

Si sta avvicinando la Pasqua. Le giornate di festa sono sempre molto difficili, man mano si avvicinano, si prova il desiderio di saltarle con un balzo. I genitori di Giovanni, già un mese fa, ci hanno invitato a pranzo da loro, per passare una giornata insieme. Quando hanno telefonato per invitarci, ci era sembrata un’ottima idea e abbiamo accettato subito con entusiasmo. Adesso che si avvicina il momento non so più se è una buona idea. Giuliano dice che ha il timore di non sentirsi a suo agio, perché è giusto che iniziamo a staccarci da Giovanni, per lasciarlo libero. Pensa che, se continuiamo a vederlo, lui si sentirà a disagio, perché gli rammenteremo sempre Federica e, di conseguenza, potrebbe avere delle difficoltà e sentirsi in colpa, se conoscesse una ragazza di suo gradimento.

Se e quando arriverà quel momento, non avrò difficoltà ad accettarlo. Non desidero assolutamente che Giovanni rimanga solo. Non ne capirei lo scopo, per me non avrebbe senso. E’ giusto che, se lo desidera, si crei una sua vita e una sua famiglia. Ed è anche giusto che non ci frequenti più come prima, bisognerà recidere questo cordone ombelicale. Sarà opportuno anche per questa ragazza, perché per lei la nostra presenza sarebbe un’inutile fardello. Per lei non sarà facile, dovrà già lottare con il ricordo di un’altra persona. E sarà un ricordo molto pesante da sostenere, perché ho già detto come i morti riescono a condizionare le nostre scelte. Anche più dei vivi!

Se noi abbiamo già capito questo e siamo pronti ad accettarlo, non è detto, però, che Giovanni non si senta in colpa. Infatti, credo che sarà opportuno fare questo discorso quanto prima. Finora non l’abbiamo affrontato perché sembrava prematuro, ma è giusto parlarne perché le questioni in sospeso possono causare delle sgradevoli percezioni e alterare in modo permanente degli ottimi rapporti.

 

31 marzo 2002

 

La giornata di Pasqua è stata molto bella. Siamo andati a pranzo dai genitori di Giovanni e c’era anche Tony, che non conoscevamo ancora, perché abita a Londra insieme alla moglie Jeanne. Tony è molto simpatico e divertente e tutta la famiglia è deliziosa, ma ad un certo punto intanto che ascoltavo Tony e mi divertivo alle sue frasi, mi sono ricordata di come piaceva a Federica e mi è salito un nodo in gola, che quasi mi ha fatto piangere.

Essere insieme a persone che hanno già vissuto con Federica dei momenti simili a quelli che noi stiamo vivendo adesso, mi sconvolge e mi fa ricordare quanto sono arrabbiata! Sento che anche gli altri possono pensare questo e, se non pensassi veramente che ci vogliono bene, mi sentirei a disagio e confusa, oltre che infelice.

Comunque ci siamo goduti molto la giornata e la compagnia. Poi alla sera ho pensato che forse questa era stata l’ultima volta in cui ci eravamo trovati tutti insieme, perché quando Giovanni troverà una ragazza non sarà più possibile fare queste belle riunioni. E’ giusto che sia così; dobbiamo tutti proseguire la nostra vita e cercare di viverla il meglio possibile.

Mi dispiace capire che queste cose finiranno; quando tutto verrà abbandonato sarà come se non fosse mai esistito? Il ricordo si affievolirà fino a diventare inesistente?

  Continua

 

Se desiderate comunicare con me, inviare Vostre riflessioni, suggerimenti, pensieri che desiderate condividere, potete indirizzare le Vostre e-mail a f.morena@tiscali.it


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