associazione italiana familiari e vittime della strada - onlus

Diario - dal 5 novembre al 2 dicembre 

 

L’idea

 

Un progetto difficile. Come la vita.

Quando anche respirare sembra un’impresa impossibile, quando il tuo obiettivo più ambizioso è arrivare all’indomani, mentre sai che ti toccherà vivere tutta la vita con quell’angoscia in gola, ecco che sentire una voce sconosciuta che racconta sentimenti che sono anche i tuoi può essere di aiuto nell’accettazione di quegli eventi che ti hanno sconvolto la vita.

 Il 2 ottobre 2001, alle 14 circa, la mia unica figlia ventiquattrenne,  Federica, è stata investita  da un’automobile ed è morta. La mia vita, quella della famiglia  e di tutti coloro che l’amavano si è fermata.

Dopo le prime ore di choc totale e rabbia, i primi giorni di sbigottimento e le prime settimane di frustrazione, ho iniziato a pensare che una delle cose che risultano incomprensibili e più danno fastidio, ai genitori che hanno perso un figlio o ai nonni e zii che hanno perso un nipote, è credere che questa atrocità sia successa solo a loro.

Siccome i mezzi d’informazione ci dicono chiaramente che tutti i giorni succedono simili disgrazie, è chiaro che non è vero. Però sentirlo raccontare al telegiornale non è sufficiente. E’ vero, si sa che ci sono tanti genitori che hanno perso un figlio e si può immaginare la loro sofferenza.

Però sono entità astratte, non li conosci, non hai un vero riscontro, se non poche parole di un’intervista subito dopo la disgrazia. Invece io credo che sia molto importante sentire le parole di chi vive questa sofferenza in prima persona, capire come si può evolvere il dolore, come cambia nel corso del tempo, quali sentimenti si sviluppano man mano si prosegue nel cammino, perché sentire che il tuo dolore è lo stesso che provano tante altre persone ti può aiutare ad accettare prima questa terribile prova che ti è stata inferta dalla vita.

Sentire una voce reale, di una persona che ha sofferto come te, ma che non è un tuo familiare, ti può veramente fare entrare in  una visione globale. Riesci a comprendere che sono reali anche gli altri e reale il loro dolore, allora riesci a tirarti fuori un po’ dal tuo e ad accettare, poco per volta, quello che ti è capitato.

Perché una delle cose che angosciano di più è non capire perché è successa questa disgrazia atroce e perché è successa proprio a noi. Ecco perché rendersi conto che ci sono anche altri in questa situazione, sentire quello che hanno provato, ti può aiutare per accelerare il processo di elaborazione del lutto.

Ragionando su queste cose ho sentito che dovevo scrivere, per portare questa voce alla conoscenza di altre persone, sperando che possa davvero essere di aiuto a qualcuno.

  

 5 novembre 2001

 I calendari di casa mostrano ancora la pagina di settembre. Sul tavolo del soggiorno si sono ammucchiati i telegrammi, insieme alla polvere della desolazione,  e io non so da che parte iniziare  a fare ordine.

Cosa ne è stato del mese di ottobre? Mi è scivolato tra le dita, senza che io lo abbia notato. 

 

7 novembre 2001

 Evento sempre più frequente, un genitore che seppellisce un figlio. E’ una circostanza contro natura, un’occorrenza che tutti noi rifuggiamo ma, purtroppo, succede molto sovente.

Quando si legge questo genere di notizie sul giornale, si pensa di capire la disperazione delle famiglie. Infatti, se si è genitori e si è dotati di una certa sensibilità, si può leggermente immaginare i sentimenti che i genitori provano in una situazione così dolorosa.

Ugualmente, leggendo queste notizie, non si può essere preparati a quello che potrebbe succedere se capitasse a qualcuno che ti è vicino. Si pensa sempre di essere spettatori della vita, quando è tanto crudele ma, purtroppo, qualche volta ti viene chiesto di essere attore e non spettatore, e non ti viene neanche chiesto l’autorizzazione.

All’improvviso sei tu il protagonista della cronaca cittadina o nazionale. Ti trovi sbattuto sul giornale, con tutto l’orrore dei fatti.

E non ti rendi conto di come possa essere successo A TE.

I primi attimi, soprattutto se è stata una cosa improvvisa e non una malattia, c’è anche uno stato di choc e si desidererebbe la morte anche per noi. Ma ti devi riscuotere subito, perché ci sono gli altri a cui pensare. “Come posso pensare a qualcun altro”, ti domandi, eppure...eppure ti devi imporre questo per il bene comune, e grazie al cielo che si ha qualcun altro che soffre con te. Forse dividendo la sofferenza ne rimane meno per te.

I primi giorni sono sospesi in una dimensione irreale, non sai cosa è successo, non fai niente, non desideri niente, solo che tuo figlio sia lì con te e che sia tutto un incubo da cui svegliarsi. Non fai altro che piangere, con le lacrime che scendono da sole, appena ti sdrai sul letto. Non pensi a niente altro, condizione che comunque permane per moltissimo tempo, e sei molto arrabbiato con la vita che ti ha dato questo immenso dolore da sopportare.

Poi ti devi dire che la vita prosegue - ma quale vita? ti domandi, come potrà esserci una vita per noi, senza lei – eppure te lo dicono tutti, sarà vero.

In seguito scopri che è vero: la vita non si ferma neanche un secondo, non ha rispetto per il dolore di nessuno. L’orologio prosegue il suo cammino e, con lui, tutti andiamo avanti.

Sei sempre più arrabbiato e ti domandi “Perché è successo a noi, che ci volevamo tanto bene?” Forse abbiamo sempre pensato che morissero i figli non amati? O quelli di famiglie non unite, o che non li consideravano abbastanza?

Anche stavolta la vita ci ha regalato un’amara sorpresa: non è così che funziona. No, non basta essere bravi genitori, amare i propri figli, cercare di farli crescere  e farli diventare degli adulti eccezionali, per avere  la garanzia che non succeda niente di irreparabile.

La vita non dà garanzie.

Però ci si  arrabbia ugualmente. La domanda che ci si pone sempre è: PERCHE' A NOI?

A questa domanda non c’è risposta.

Dopo questa fase mi sono fatta un’altra  domanda: PERCHE’ NON A NOI?

Non c’è la risposta neanche a questo atroce interrogativo.

Sbattuta così di fronte all’evidenza dei fatti, mi sono dovuta dire che non esiste regola, non c’è un motivo e neanche una colpa che abbia generato tutto questo orrore.

E’ successo, e basta.

 

9 novembre 2001

Quando ho detto che, appena imparato della morte del proprio figlio, si desidera morire, ho sbagliato. In realtà SI MUORE davvero. Perché la persona che esisteva prima, la mamma o il papà del figlio morto, non esiste più. Quella persona non c’è più. Ha perso la sua identità e, quindi, non c’è più. E’ in piedi, respira, ma di lei non si può dire altro. Sì, ci parla, risponde quando le chiediamo qualcosa, sembra in forma, ma in realtà, non esiste. Ed è così che si sente. Non reale.

Siccome tutto quanto assume una patina di irrealtà, si diventa irreali, come personaggi di un film o di un sogno. E’ questo che si pensa sempre: “Deve essere un sogno! Non può essere vero! Adesso lei tornerà a casa e ci racconterà tutto quello che le è capitato e tutto tornerà come al solito.”

Ogni tanto ti rendi conto che non potrà più tornare e ti sembra perfino di poterlo accettare. Ti dici: “ E’ successo questa cosa orrenda. Dovrò imparare a convivere con questa schifezza. Sì, ci devo riuscire. Adesso mi cerco un altro lavoro, anche poche ore, giusto per uscire di casa. Tenermi un po’ in forma, stare in mezzo alla gente. Poi farò del volontariato, sarò anche utile a qualcuno più sfortunato. E poi ho sempre tutti i miei interessi, prima non trovavo mai il tempo di fare tutto quello che desideravo. Sì, me la caverò.”

Credi di essere veramente convinta di quello che hai detto, poi ti siedi sul divano, guardi dove si sedeva sempre lei, realizzi che non si siederà più lì e il tuo cuore urla: “PERCHE’, PERCHE’ E’ CAPITATO? COME E’ SUCCESSA UNA COSA COSI’ ATROCE? NON POTRO’ PIU’ VEDERLA, PARLARLE, ABBRACCIARLA. NON RIDEREMO PIU’ INSIEME.”

Ti senti molto solo, anche se hai attorno una folla di parenti ed amici, perché loro fanno parte del tuo stesso dolore. Lo condividono. Forse quello che potrebbe essere davvero utile, sarebbe sapere che esistono altre persone con lo stesso dolore. Sì, sappiamo già che ci sono, che hanno avuto anche loro questa atroce disgrazia. Ma non li conosciamo, non li sentiamo parlare, sono irreali, come facessero parte di un altro film.

Penso che quello che potrebbe aiutare le famiglie che hanno provato questo dolore sia conoscere, se non proprio le persone, almeno quello che pensano e provano.

Forse anche conoscere qualcuno che ne è uscito, qualcuno che è risorto dalle proprie ceneri e si è creato una nuova identità. Perché credo che sia questo il lavoro da fare: bisogna diventare un altra persona. Si è obbligati, la persona che c’era prima non c’è più, quindi bisogna diventare un altro.

All’inizio mi era venuta una frenesia del cambiamento: mi accanivo a voler cambiare qualsiasi cosa. Subito ho cessato la mia attività (era troppo impegnativa sul piano psicologico e io non  mi sentivo più serena come ero prima), poi ho iniziato a vuotare gli armadi, buttando via di tutto (perché ormai non aveva più senso conservare certe cose, che tenevo per mia figlia e la sua casa futura), poi ho cominciato a frequentare le agenzie immobiliari, per cercare una nuova casa.

Credo facesse parte del piano di rinnovamento totale, per diventare un’altra persona, con un nuovo lavoro, nuovi oggetti e nuova casa. 

Infatti quando Giovanni, il suo ragazzo, mi ha detto che voleva cambiare lavoro, ho capito perfettamente la sua decisione, perché era la stessa che avevo preso io. Non si può continuare a fare le stesse cose che si facevano prima,  si sente la necessità di operare dei cambiamenti; per accentuare il fatto che la nostra vita non è più quella di prima e per rivendicare il diritto alla scelta.

Siccome si sta vivendo una situazione non cercata, non decisa da noi, si vuole dimostrare a sé stessi che si è ancora in grado di intervenire  e di operare delle scelte. 

Credo si possa chiamare “ diritto di scelta” o “ dimostrazione di vita”.

 

12 novembre 2001

Mi sto rieducando alla lettura, proprio come fosse una rieducazione dopo un intervento chirurgico, oppure un trauma fisico. Credo che questo sia un trauma psicologico e che necessiti di un programma rieducativo, per certe attività che facevo spesso prima, ma che adesso mi risultano faticose, come leggere.

Ho sempre amato molto la lettura e leggevo molti libri ogni mese. Adesso ho sei libri, non letti, da rendere alla biblioteca. Sei! Eravamo andate alla biblioteca il giovedì precedente, credo il 27 settembre, di ritorno dalla copisteria dove avevamo portato il CD della tesi, pronto per la stampa, e scelto la copertina.

L’autobus era pieno e ci eravamo sedute in due file diverse e dalla parte opposta del passaggio centrale ma, eravamo tanto allegre per quello che avevamo fatto, che siamo riuscite a chiacchierare e ridere per tutto il viaggio. Anche quando c’era qualcuno in piedi fra noi ci sporgevamo per continuare a parlare, così quando siamo scese dall’autobus e siamo salite in auto, ho proposto di passare dalla biblioteca per cercare qualcosa di nuovo da leggere.  Federica si è fatta fare una tessera nuova perché, avendo finito di compilare la sua tesi, voleva sfogarsi a leggere in libertà, senza vincoli di studio. Abbiamo scelto tre libri ognuna, pensando anche di scambiarceli. Lei ne ha letto uno, me lo ricordo perché domenica pomeriggio mi aveva detto: Ho già finito un libro, vuoi vedere che ti batto?

Io, invece, ero a metà del primo, che è rimasto sul tavolino del salotto per due settimane, prima che lo rivedessi. Poi non l’ho più aperto, finché la biblioteca non ha richiamato per la restituzione.

Ieri ho riprovato a leggere qualche pagina, di un semplice libro per ragazzi,  ma la mia concentrazione è sparita. Dopo due frasi la mia testa si perde e cambia argomento da sola. Poi mi riprendo e decido di continuare ma, naturalmente, non ricordo più cosa stavo leggendo e, quindi, devo ricominciare. Così invece di tre libri al mese, potrei arrivare  a leggere un libro in tre mesi. Però sono decisa a insistere e tutti i giorni proverò a leggere qualche minuto in più, per ritrovare almeno questa passione e, con lei,  me stessa.

 

15 novembre 2001

Dopo la morte di mia figlia non mi sono più sentita la persona che ero prima. E so che anche gli altri non mi vedevano più come prima. Mi consideravano con un atteggiamento diverso e, di conseguenza, io ero diversa.

Prima ero una persona ottimista, sempre positiva, sempre allegra con chi ero in confidenza. Ero anche molto sicura di me stessa. Dopo mi sono anche chiesta se lo ero stata troppo, se qualcuno mi aveva voluto punire per questo. Ho cercato qualsiasi piccola cosa, da me fatta, che avesse portato a una simile punizione.  Cosa avevo fatto di male, per ricevere questa tremenda lezione?

Mi sono interrogata a lungo su questo, ma ho capito che non poteva essere questa la ragione per cui era morta Federica. Non può esistere una colpa così grave da giustificare una punizione tanto grossa, ma se esistesse e se le cose funzionassero così, morirebbero solo i figli di persone con gravi colpe. Ma sappiamo che non è così.

Quindi ho concluso che queste disgrazie non sono causate dalle colpe dei genitori.

Dopo la morte di Federica la mia sicurezza è notevolmente diminuita.  La voglia di fare se ne andata e, con lei, tanti progetti e desideri che avevo. Ogni tanto cerco di fare qualcosa di nuovo, di uscire a cena, andare al cinema o a teatro, anche per coinvolgere i miei familiari e offrire a tutti noi qualche occasione di distrazione. Nel momento in cui mi viene l’idea mi sembra buona, un secondo dopo mi dico: “A cosa serve? Cosa ci vado a fare? Che cosa potrà mai essere importante? Per che cosa proverò qualche desiderio, adesso che mia figlia non c’è più?”

  

16 novembre 2001

 Sarebbe stato il giorno della sua laurea. Invece è stato il giorno in cui ci siamo recati all’Università per il conferimento di ”Attestato di Benemerenza Post Mortem”.

Una esperienza sconvolgente. Ancora peggiore del giorno del funerale.

Perché il funerale viene già vissuto come evento triste e traumatico, quindi ci si prepara a viverlo e si cerca di affrontarlo sapendo già che sarà doloroso. Invece il giorno che sarebbe stato il coronamento di tanti anni di sacrificio e di impegno, un giorno che avrebbe visto tutti noi in festa per la fine del lavoro di Federica e l’inizio della sua nuova vita, ci ha colto impreparati a questa angoscia e ci ha sbattuto un’altra volta di fronte alla realtà. Federica non è più qui a festeggiare questa ricorrenza e quello che avrebbe dovuto essere un giorno stupendo si è tramutato in un viscido serpente.

D’altronde io per prima ho fortemente voluto questo riconoscimento e mi sono preoccupata per fare in modo che tutto il lavoro svolto da Federica, con tanta passione,  non fosse dimenticato. 

Eravamo tutti molto agitati, già da qualche giorno. Quando siamo arrivati e ho visto tutti i gruppi di parenti e amici, pronti a festeggiare i neolaureati, mi è venuto in groppo alla gola. Poi hanno chiamato "la mamma di Federica" e le lacrime hanno iniziato a spingere sulle palpebre. Quando poi siamo entrati e la commissione mi ha invitato ad ascoltare le parole del conferimento ero già tanto sconvolta da tremare. Alla fine, quando ho stretto la mano a tutti i componenti la commissione e la relatrice di Federica mi ha detto che avremmo ricevuto a casa l’attestato, singhiozzavo tanto forte da esserne disperata.

Quando siamo usciti, il fotografo si è avvicinato per chiedermi se mi interessava avere le foto. Ero tanto sconvolta che non gli ho neanche risposto maleducatamente.

21 novembre 2001

 Il tanto temuto giorno del mio compleanno. Ho sempre fatto molta pubblicità a questo giorno. Cominciavo subito dopo Ferragosto a enunciare quanti giorni mancavano al grande evento e tutte le date famose che venivano citate anche al Telegiornale, le interpretavo riferendomi al 21 novembre. Era per noi un grande gioco, fonte di continui scherzi e battute. Federica e gli altri facevano sempre finta di non sapere che giorno fosse il 21 e io lo rammentavo continuamente. Ci divertivamo.

Dopo il 2 ottobre non ho più nominato il mio compleanno. Ne avevo paura.

Temevo quel giorno, perché mi avrebbe ricordato tutti gli altri compleanni passati. Mi avrebbe ricordato tutti i biglietti disegnati da Federica, i regali che mi aveva fatto, le battute con cui venivo accolta al mio risveglio. Mi avrebbe ricordato l’impossibilità di avere ancora quella voglia di ridere.

Giuliano, mio marito, mi ha comprato una torta e dei fiori stupendi, quest’anno ancora più importanti del solito, perché indicavano la sua voglia di rendere la giornata festosa e "normale", nonostante tutto. Quando è andato dalla fiorista, c’era il negozio pieno di confusione, perché stavano preparando delle composizioni di fiori per il funerale di un ragazzo. La fiorista gli ha raccontato il fatto e poi ha commentato qualcosa su quante disgrazie succedano. Dopo di che gli ha chiesto se aveva dei figli, così Giuliano le ha detto:

" Sì, l’avevo, una ragazza di ventiquattro anni, è morta il due ottobre, investita davanti a casa!".

Frasi di questo genere costelleranno la nostra vita, d’ora in poi, è inevitabile che i discorsi, anche di sconosciuti, finiscano su questo argomento.

Quando Giuliano è arrivato a casa con i fiori, era ancora sconvolto, ma presumo che la fiorista non lo fosse meno di lui.

 

24 novembre 2001

Pranzo a casa di Giovanni. La prima volta. Lui mi sembra strano, si agita sulla sedia, si alza spesso da tavola. Forse pensa, come me, che sarebbe stato meglio se ci fossimo frequentati anche prima, tutti insieme come oggi. L’avevo proposto molte volte, ma i ragazzi avevano sempre rimandato finché, in prossimità della laurea, Federica aveva detto: Ormai vi conoscerete il giorno della Laurea, quando ci troveremo per festeggiare. Si pensa sempre di avere tutto il tempo del mondo...

Così abbiamo conosciuto i genitori di Giovanni in occasione del funerale. Il ricordo più forte del funerale è l’abbraccio di Giovanni che, arrivando all’improvviso da dietro mi ha colto di sorpresa. Era un abbraccio strano, mai successo prima, siamo tutti e due molto riservati, ma ho capito che mi offriva la sua assistenza – Giuliano era stato fermato da amici e non era vicino a me – e, nello stesso momento, chiedeva la mia. Poi ricordo il pianto straziante delle sue amiche, di Emanuele abbracciato a Daniele, di Erik e, l’impressione di avere baciato centinaia di persone.

Si ha sempre l’impressione di fare cose non usuali, cose mai fatte prima. Ed è anche vero. Sono tutte cose che diventano attuali o necessarie dopo un evento così traumatico. Per accentuare la sensazione di vivere una vita non tua.

 

28 novembre 2001

Ho pensato molto in questo periodo. Quando guido, quando sono in autobus, prima di addormentarmi oppure quando mi sveglio troppo presto. Cerco di analizzare tutti i sentimenti che provo, per poterli affrontare meglio. Credo che sia una operazione molto utile: approfondire, sviscerare ciò che si prova può aiutare a capire meglio sé stessi e le cose che ci turbano veramente. Conosci il tuo nemico.

Il mese di agosto ho trascorso tante giornate con Federica, studiando assieme a lei per un esame (l’ultimo!), che aveva già sostenuto due volte. Scherzando le ho proposto di studiare assieme per aiutarla nel ripasso di quei libri che le sembravano tanto ostici. E’ stato un bel mese che conserverò sempre nel mio cuore. Abbiamo letto assieme “Discorso sul metodo” di René Descartes e l’ho trovato subito affascinante, simile al mio modo di pensare.

Soprattutto, fra le regole che compongono il metodo pensato da Cartesio, la seconda è quella che ho trovato già mia, tanto da dire scherzando che lui l’aveva copiata da me. Cartesio enuncia così questa regola:

“...dividere ciascuna delle difficoltà che esaminavo in quante più parti era possibile, in vista di una miglior soluzione.”

Questa regola che, inconsciamente, ho sempre applicato nella mia vita, mi ha aiutato anche in questa difficile circostanza. Anche un disagio enorme come quello che segue un lutto così tremendo, può essere elaborato e trasformato grazie a questa regola, in tanti problemi più piccoli e, forse, meglio affrontabili.

Ho iniziato pensando: “Cosa mi è veramente insopportabile? Di tutte le negatività che nascono da questo lutto, quali sono affrontabili per prime, perché magari meno gravose?”

Perché nella componente di questo dolore, di questa sofferenza, entravano tante cose, scoprivo sempre nuove occasioni per disperarmi della morte di mia figlia. Quindi è chiaro che tutte queste cose sommandosi, formavano una montagna enorme, invalicabile.

Ho cominciato cercando di dividere tutte queste cose ed eliminarne qualcuna, quelle che forse non avrebbero avuto riscontro neanche se Federica avesse proseguito nella sua vita. All’inizio ho trovato insopportabile anche il fatto di non potere mai essere nonna, ad esempio. Questa è stata una parte che sono riuscita ad affrontare dicendomi: “Anche se Federica fosse arrivata a 80 anni, nessuno mi garantisce che avrebbe avuto un figlio, tante persone non hanno bambini. Forse si sarebbe scoperto che non poteva averne.”

Questa sarebbe stata per lei una grande fonte di dispiacere, ma era comunque una possibilità. In questo modo, dopo qualche ragionamento, questa componente del mio dolore se ne è andata. Ho scoperto che esistevano altre piccole parti che si potevano eliminare. Non posso dire di avere fatto sparire tutta la sofferenza, ma di averla ridotta di una piccolissima parte. Quello che è veramente importante è la consapevolezza di poterlo fare. Acquisire la conoscenza  delle componenti del dolore, ti fa sentire in grado di saperlo controllare. Ti fa sentire più forte.

 

30 novembre 2001

 Sono andata dal parrucchiere per tagliarmi i capelli. Improvvisamente mi sono resa conto, guardandomi allo specchio, che ero in disordine e ho fissato un appuntamento. Come succede anche quando vado ad acquistare qualcosa nei negozi dove sono conosciuta, le persone mi scrutano, facendo finta di niente e so che pensano: “ Beh, non la vedo male. Sembra abbastanza in forma, se ha voglia di uscire a fare la spesa, oppure di andare dal parrucchiere! ”

Cosa si aspetterebbero, di vedermi con i capelli strappati, i vestiti rotti, o che altro? Si immaginano che si debba smettere di mangiare e, quindi, di vedermi magra come uno spettro? Anche se  internamente mi sento come se avessi duecento anni, mi sento brutta, senza capelli o senza desideri, esternamente ho l’obbligo morale, prima di tutto verso me stessa, e verso gli altri di curare il mio aspetto.

Mia figlia è sempre stata orgogliosa di me e mi faceva dei complimenti in continuazione, era un altro argomento dei nostri continui scherzi. Quindi la mia natura è questa, lo è sempre stata e, forse, continuo automaticamente e fare le stesse cose che facevo prima, anche se, certe volte, guardandomi allo specchio, mi chiedo: “ A cosa serve che io mi metta in ordine, mi trucchi o metta dei vestiti eleganti? ” Non serve a niente e a nessuno, però è quello che ho sempre fatto, quindi è giusto che continui a farlo. Prima non lo facevo solo per mia figlia, è evidente quindi che fa parte della mia personalità e perciò diventa ancora più importante farlo. Serve per rinforzare il proprio diritto alla vita.

 

2 dicembre 2001

  Sono già passati due mesi dalla morte di Federica. Sembra impossibile che la nostra vita sia proseguita ugualmente, eppure è così. Non so se sia tranquillizzante o angosciante, sapere che, comunque, tutto procede, anche senza di lei. All’inizio pensavo di non farcela, avevo paura di cadere in una spirale di “quieta rassegnazione”, cioè di precipitare in una zona neutra dove non si desidera niente, dove non si fa niente e si riesce solo a pensare “mia figlia non c’è più, mi devo rassegnare, non tornerà mai più” e la rassegnazione arriva, ma è troppo tranquilla, è incolore, piatta. E tu diventi ancora più grigia della rassegnazione ed è come che fossi veramente morta anche tu.

Questa era una mia angoscia, una cosa che temevo molto. D’altra parte non potevo certo farmi prendere la mano e muovermi in continuazione, per evitare di stare troppo ferma. Ho cercato di assecondare quelle che erano le mie passioni, i miei interessi di prima, senza però farmi prendere dal panico, se non avevo voglia di fare qualcosa. Non è stato facile; le prime settimane avevamo paura del sabato e della domenica, perché rappresentavano il ricordo di giornate felici passate tutti insieme, liberi dal lavoro e dallo studio. Trovarsi a casa e sentire in modo angosciante la mancanza di Federica, causava tanta sofferenza che ci obbligava a uscire in continuazione. Lo sentivamo, però, come una forzatura, una imposizione e, perciò, ci faceva stare peggio

Ogni tanto esplode la rabbia; come quella dei primi giorni, quella che ti fa urlare: “Perché? Perché a lei? A noi?  Come possono capitare queste cose?” Anche dopo due mesi non so ancora la risposta, non posso sapere perché è successo, a chi o a che cosa può servire una disgrazia simile. Però mi pongo spesso il problema e chissà...

Certe volte il pensiero va da solo verso la persona che guidava l’automobile che ha investito mia figlia. Quando succede cerco di sviare i miei pensieri, perché non sono pronta ad esplorare completamente questo settore della mia mente e del mio cuore. Vorrei poter dire che non faccio una colpa a questa persona, ma non è così, e allora faccio in modo di non soffermarmi troppo a lungo su ciò. Forse ho paura di scoprire che ho del risentimento nei confronti di questa persona, che provo una sorta di odio. Forse ho paura di sentirmi “cattiva”, per non sapere perdonare, ma adesso è così. Nello stesso tempo cerco di non formulare pensieri cattivi ed evito di pensarci a lungo.

Nel frattempo si avvicina a grandi passi il Natale; una festa che noi sapevamo trasformare anche in un divertimento, con scherzi, battute e allegria. Adesso lo aspettiamo con timore: come sarà senza Federica? Posso solo rispondermi: brutto! Come tutti gli altri giorni, comunque! E quindi ci prepariamo ad affrontarlo come fosse un drago che ci vuole mangiare.

Stiamo addobbando la casa, come facevamo sempre: in queste occasioni mantenere una facciata di “normalità” aiuta molto, ma è anche molto faticoso, perché porta tanti ricordi felici e ti ricorda che così felice non potrai esserlo più.

 

 Continua

 

Se desiderate comunicare con me, inviare Vostre riflessioni, suggerimenti, pensieri che desiderate condividere, potete indirizzare le Vostre e-mail a f.morena@tiscali.it

indietro

pagina iniziale
__________________________________________________________________
    
Copyright ã 2001 by associazione italiana familiari e vittime delle strada