associazione italiana familiari e vittime della strada - onlus

Diario :  6 settembre 2002 -  17 ottobre 2002

 

6 settembre 2002

 

Dopo tanti mesi in cui mi è sembrato di essere totalmente inattiva, anche se non è del tutto vero, avrò delle nuove occasioni di confrontarmi con gli altri e le loro reazioni. Dovrò superare la prova per diventare volontaria dell’Ageop, con relativo test e colloquio con la psicologa dell’Associazione. Questa nuova attività mi procurerà dei momenti di confronto con persone che soffrono e con il loro dolore, oltre a nuovi contatti con gli altri volontari.

Dopo questa, ci sarà un’occasione molto diversa, più gradevole, ma che è ugualmente fonte di preoccupazione: il mio ritorno al corso di ginnastica che ho frequentato insieme a Federica per quattro anni. L’anno scorso non sono andata: il corso iniziava all’inizio di ottobre e io non mi sono sentita di andarci, neanche dopo che era iniziato. Quest’anno, però, voglio tornare a frequentarlo, perché mi piace e non voglio essere condizionata da quello che è accaduto. L’impatto sarà molto forte: ritornare in un luogo in cui sono sempre andata solo con Federica, rivedere le stesse persone, che ci hanno sempre visto insieme, e aspettarmi le loro domande, mi angoscia un po’. L’impatto con le persone e la loro eventuale curiosità oppure, peggio, la loro indifferenza, mi preoccupa molto. Infatti ho convinto Luisa a iscriversi con me e il primo giorno entrerò insieme a lei. Credo di aver bisogno di una stampella psicologica e anche questa è una cosa che devo comprendere e accettare. L’unica cosa che non accetto è che il mio dolore mi impedisca di vivere.

 

12 settembre 2002

 

Anche ieri è passato. Grazie al fatto che la nostra nipotina Chiara era da noi per qualche giorno, ci siamo distratti dal martellante incalzare di ricordi dolorosi di stragi e di dolore. Questa ferita, come altre in passato, rimarrà sempre dentro di noi, anche senza bisogno che il calendario ce lo ricordi. Penso anche a chi è legato a questa data da una profonda e intima tragedia: per loro tutti i giorni, per molto tempo, saranno l’undici settembre.

Il dolore, una volta che è entrato in noi, farà sempre parte della nostra esistenza; ciò non vuol dire che sarà sempre così forte da risultare insopportabile e neanche che ci sarà impossibile ridere e godere di tante piccole cose e dell’amore di chi ci circonda. Guai se fosse veramente così. Questo è ciò che si crede nei primi giorni o mesi, è quello che sentiamo come vero per un certo periodo.

Ma, continuando nella quotidianità, ci rendiamo conto che, un passo per volta, siamo in grado di apprezzare nuovamente le cose e le persone che ci circondano e si rinasce a nuova vita. Oppure è quella vecchia, con una nuova veste. Ancora non so, devo capire ancora bene cosa accade. Vivendo giorno per giorno, momento per momento, senza porsi traguardi lontani, si deve assaporare tutto quello che ci succede proprio per cercare di capirlo.

Poco per volta ho sentito sentimenti che credevo perduti per sempre, ho ritrovato emozioni conosciute e familiari e, intanto, ritrovavo me stessa. Quella persona che credevo persa, che pensavo di non poter più ritrovare era di nuovo con me. Era in me, ero io!

Ho scoperto che non ero neanche tanto diversa da come ricordavo; certi atteggiamenti e modi di fare sono così radicati in una persona che non possono scomparire del tutto. Anche il carattere si trasforma un po’, ma non così tanto come ho creduto. Quello che veramente potrebbe cambiare molto potrebbe essere l’atteggiamento verso la vita e verso gli altri.

Verso la vita, che in un istante ti può portare via chi ami, in modo inatteso e sconvolgente; tutto ciò potrebbe portare ad un atteggiamento fatalista e passivo verso la vita stessa: "E’ inutile fare qualsiasi cosa per proteggersi dai pericoli, perché se deve succedere ..." Oppure, per contrasto, ad un atteggiamento qualunquista e noncurante del pericolo, persino sprezzante dello stesso. Come a significare: "Tanto le disgrazie succedono anche a chi non si mette in situazioni pericolose. Perciò, perché non sfidare la sorte? Se mi succede qualcosa è perché è già deciso, quindi ..."

Anche l’atteggiamento verso gli altri può subire grandi modifiche. Ci sono trasformazioni che si possono riscontrare facilmente e che possono influire sul modo di rapportarsi con chi ci sta vicino. Una certa rabbia che ci portiamo dentro e che minaccia di soffocarci può diventare fonte di maleducazione ed aggressività, in certi casi anche molto difficile da contenere. Al contrario l’apatia che rischia di avvolgerci potrebbe procurarci un atteggiamento troppo passivo ed arrendevole verso chiunque.

Purtroppo penso che sia molto difficile capire quando questi meccanismi si mettono in moto e, comunque, penso che sia difficile anche cercare di moderare i loro effetti senza l’aiuto di chi ci sta vicino.

 

20 settembre 2002

 

Domani andrò all’assemblea dell’Associazione "Familiari e Vittime della strada". Sono interessata a capire meglio le attività che svolge e sono anche molto attratta dalla possibile conoscenza di altre persone iscritte. Vorrei parlare con qualcuno di loro e sentire se è vero che esiste quel legame a cui ho pensato fin dall’inizio. Domenica è in programma anche una relazione sull’elaborazione del lutto; quando lo leggo sul programma mi interrogo sulla nostra elaborazione e mi domando se l’abbiamo già completata o se è ancora troppo presto. O forse sarà sempre troppo presto?

Cosa significa veramente elaborare un lutto? Comprenderlo? Accettarlo? Rassegnarsi? Forse potrebbe indicare un complesso di ragionamenti che ci porteranno a dare il giusto significato alle cose, a modificarle in qualcosa che riusciamo a comprendere e a trasformare noi in quelle nuove persone che dobbiamo diventare.

A che punto di questo processo credo di essere? Quasi un anno è passato e faccio ancora molta fatica a rassegnarmi, se è quello che devo fare. Per accettare l’accaduto cosa dovrei pensare?: "Mia figlia è morta." E’ sufficiente dire questo per far credere agli altri che hai accettato il fatto? Oppure: "E’ già successo, si vede che doveva andare così." Ma io non la penso così! Anche se credo al destino, già organizzato per ognuno di noi, in questo caso non posso fare a meno di dirmi: "Però, se non fosse passata quella macchina, in quell’istante..."

In aggravante a tutto ciò non so ancora niente dell’accaduto, perché nessuno si preoccupa di cercare e di fornire ai familiari la spiegazione di una morte sulla strada. Nessuno vuole veramente accertare le cause e le responsabilità degli incidenti e delle morti avvenute e io non capisco bene cosa devo pensare di ciò che è successo. Certi comportamenti mi hanno lasciato confusa e mi hanno profondamente disgustato, perché non mi sembra che tutelino il diritto alla vita di tutti noi. Questo non contribuisce certamente a spingermi verso la tranquillità che mi è necessaria per accettare l’accaduto. Non avere raggiunto la chiarezza dei fatti, mi fornisce ulteriore motivo di angoscia e non mi permette di procedere nel mio cammino, come sarebbe giusto.

Vedendo come queste cose si trascinino per anni, il mio pensiero va alle persone che non sono morte: cioè a quelle persone che hanno subito un incidente e sono diventate invalide, non autosufficienti, e penso alle famiglie che si indebitano per seguire e aiutare queste persone. Con una buona dose di ingenuità spero sempre che per loro ci sia un chiarimento più veloce ed un aiuto concreto. Ma suppongo di essere veramente troppo ingenua a pensarlo.

 

22 settembre 2002

 

Non solo relazioni e proposte tecniche sono uscite dall’assemblea dell’Associazione. Due giornate dense di avvenimenti e stimoli emotivi, regalati proprio dalla vicinanza degli altri e dalle emozioni che ci hanno trasmesso. Momenti anche faticosi, così densi di dolore da far credere di non riuscire ad attraversarli.

Era, come per altri, la prima partecipazione all’assemblea; abbiamo sentito parlare di cose sconosciute, ricevuto molte informazioni ed impressioni positive e recepito un clima favorevole alla reciproca conoscenza e comprensione.

Sabato, durante la pausa dei lavori, è stato possibile fare un "viaggio" sul mezzo multimediale ideato dal Sig. Piccirillo, responsabile della sede di Taranto. E’ stata un’esperienza molto interessante e coinvolgente. Anche in questo caso le emozioni e gli stimoli, soprattutto visivi, sono stati molti. Con questo mezzo, un autobus attrezzato con schermo gigante su cui vedere immagini commentate da uno speaker con voce e energia da DJ, ci si può recare presso le scuole e raggiungere i bambini e i ragazzi di ogni età: dalle elementari all’università.

I diversi moduli, dedicati all’educazione stradale, sono stati progettati per adattarsi al linguaggio dei ragazzi, catturando così la loro attenzione fin dall’inizio, con immagini e musica a loro graditi. Il ritmo serrato impone grande concentrazione e le immagini e i commenti obbligano a riflettere su ciò che distrazione e inosservanza delle basilari norme di sicurezza possono causare.

Un’accorta educazione stradale è uno strumento di prevenzione efficace: mostrando ai ragazzi cosa succede quando ci si mette alla guida in condizioni non idonee o usando scarsa attenzione, si fornisce loro un’occasione per riflettere su quanto gravi possano essere le conseguenze di un simile comportamento.

Io credo che iniziative di questo tipo debbano essere incoraggiate e sviluppate anche in altre città: è molto importante insegnare ai ragazzi, anche molto giovani, quanto sia importante la vita e come occorra preservarla in ogni modo.

Domenica, dopo la proposta e la votazione di varie mozioni, presentate dai soci, siamo arrivati finalmente al momento che molti attendevano: l’incontro con la Dott.ssa Maria Letizia Zecca e la Psicosintesi.

Il tempo trascorso con la D.ssa Zecca, professionista preparata e sensibile che ha provato personalmente cosa significa affrontare una prova così terribile, come la perdita di una persona tanto amata, è stato proficuo e il dibattito, con l’esperienza di gruppo, molto apprezzato dagli intervenuti. Quando è terminato, i partecipanti hanno dichiarato la loro soddisfazione per questo incontro, sottolineando il desiderio di averne altri in futuro. Quasi tutti hanno manifestato l’esigenza, molto sentita, di avere un dialogo con gli altri iscritti dell’Associazione, da cui si sentono pienamente compresi riguardo i sentimenti che provano. L’esigenza di parlare con gli altri e confrontarsi è molto forte.

Infatti durante l’esperienza di gruppo, in cui chi voleva parlare poteva dire come si sentiva e le proprie aspettative per il futuro, i discorsi sono stati intensi e toccanti, molto faticosi per il carico di emozioni a cui ci hanno sottoposti.

La condivisione di questi momenti ci ha avvicinato profondamente. Questa esperienza, così profonda e coinvolgente, ha turbato le nostre anime. Il dolore che ci ha colpito tramite le parole di chi ha parlato, si è sommato al nostro, fino a diventare intollerabile. Sui visi dei presenti si leggeva la sofferenza che portiamo sempre con noi.

Tutto ciò, pur accompagnato dal dolore, mi ha lasciato una sensazione di serenità, perché ho avuto la conferma di quanto sia importante il dialogo e il confronto e come sia giusto dare voce ai nostri sentimenti per farli capire agli altri ed esorcizzarli, aiutandoci a migliorare la nostra condizione psicologica.

Credo che la vicinanza delle altre persone sia una grande occasione di riconoscimento del nostro dolore e dei nostri sentimenti, per arrivare così ad una maggiore serenità.

 

1 ottobre 2002

 

Questi ultimi giorni sono stati scanditi dai ricordi. Di ognuno di loro posso dire esattamente cosa facevamo un anno fa. Ci sono state troppe cose che hanno avuto significato, così vicine a quel due ottobre, che non posso più togliere dalla mia mente. Poche volte succede che, dopo tanti mesi, noi sappiamo dire cosa facevamo un certo giorno, alla mattina o la pomeriggio. Di quegli ultimi giorni posso dire che ricordo tutto.

Iniziando da quel giovedì, il 27settembre, in cui abbiamo portato il cd della tesi in copisteria, e terminando con il 2 ottobre al momento della telefonata di mia mamma che mi annunciava l’incidente, ricordo tutto di quegli ultimi giorni della mia vita passata, quando ero un’altra persona. O forse dovrei dire quando avevo un’altra vita.

Sto cominciando a credere che non si possa diventare un’altra persona, ne sono sempre più convinta. E’ possibile, forse, che certi aspetti della nostra personalità vengano cambiati, oppure resi più acuti dal dolore e dall’angoscia che ci tormenta, ma dubito che il carattere venga totalmente stravolto. Adesso comprendo di cosa ho avuto tanto timore: di non potermi più ritrovare o, peggio, di trovare un’altra me stessa, una persona che non poteva amare e vivere, perché il suo cuore era morto. Invece, un giorno, ho sentito che tutto era ancora possibile.

Posso dire con esattezza il momento in cui ho capito di essere ancora viva. Ricordo ogni istante di quel giorno. Le sensazioni sono state così forti e intense da depositarsi nel mio cuore, insieme alla certezza di possederlo ancora.

Da qualche mese sentivo a sprazzi la vita ritornare dentro di me, ma non ci credevo e, soprattutto, non pensavo di potermelo ancora concedere. Ero così convinta di essere morta che, quasi, ne ero felice. Era giusto, nell'ordine naturale delle cose; era la giusta punizione per essere ancora qui e non essere morta al posto di Federica.

La mattina era iniziata bene ed ero contenta perché da due giorni Chiara era nostra ospite, con i suoi sette anni pieni di curiosità e allegria. Non mi aveva abbandonato neanche un minuto, seguendomi continuamente e facendomi sentire di nuovo importante. Giochi, letture e chiacchiere oziose per due interi giorni e una giovane vita che mi ascoltava e poteva prendere qualcosa da me, intanto che, senza esserne cosciente, mi faceva il dono più prezioso.

La sera prima, avevamo visto un bellissimo tramonto e, quando il disco rosso aveva completamente incendiato l'orizzonte siamo rimaste a contemplarlo insieme, godendo della bellezza e dell'unicità di quello spettacolo.

Quella mattina eravamo di ottimo umore e, scendendo dall'autobus, parlavamo di disegni e storie. Sul marciapiede c'era un signore con un bastone bianco e l'aria molto smarrita. Ci siamo avvicinate, intanto che spiegavo alla giovane curiosità di Chiara il motivo di quel bianco bastone. Il signore aveva sbagliato fermata: su indicazione di qualcuno era sceso una fermata prima e perciò non si orizzontava più. Allora gli ho detto che l'avremmo accompagnato noi, avremmo attraversato insieme e poi, passando per il giardino dell'ospedale saremmo arrivati al luogo dove lui esercitava la sua professione: fisioterapista.

Lui volle sapere chi erano quei "noi". E io gli ho detto il nome della bambina che, stranamente, non proferiva parola, ma era molto interessata a quello che stava accadendo. Così, la mano della bimba nella mano sinistra e il braccio destro che sosteneva il braccio dell'uomo, ci siamo accinti ad attraversare la strada: uno strano terzetto di umanità. In quell'istante una sensazione dolcissima e tanto intensa da togliere il fiato, è scesa nel mio cuore e lo ha allargato, fino quasi alle sue vecchie dimensioni.

Cosa stavo facendo? Due persone innocenti e più deboli si stavano appoggiando a me. In quell'istante dipendevano solo da me! Stavo proteggendo due persone, anche se solo per un minuto... stavo amando... potevo farlo ancora... ero viva...

Quasi ho barcollato nella sorpresa della rivelazione, ma non potevo permettermelo, non con quelle due anime che si appoggiavano a me. Così abbiamo camminato nella serenità del vecchio giardino e abbiamo parlato dei problemi che lui aveva per recarsi al lavoro e poi lui ci ha ringraziato tutte e due di avere allungato la strada per accompagnare lui. Chiara non aveva ancora detto una parola.

Dopo ho spiegato a Chiara cosa avevamo appena fatto, ma riuscivo a malapena a parlare. Ero troppo frastornata: dovevo prima assimilare tutto quello che era successo. Non è stato facile capire ed accettare le sensazioni che risvegliavano un cuore che da troppo tempo non sapeva cosa fare.

Ma infine ci sono riuscita. Era semplice: bastava lasciarsi andare e avrebbe fatto tutto lui. E, ripensando agli ultimi mesi, ho ritrovato tutte le volte che avevo consolato un'amica, le volte in cui avevo chiesto aiuto e l'avevo trovato, la gioia di una nascita annunciata, le pietanze cucinate per deliziare qualcuno, i regali comperati per i compleanni, le lettere scritte e ricevute, i tramonti che infuocavano il cielo, lo stupore e la dolce serenità provati davanti agli affreschi della Cappella Sistina... e ho capito che non ero mai stata veramente morta. Ero sempre stata viva, anche senza saperlo. Il mio cuore batteva ancora, potevo ancora amare e, perciò, potevo vivere.

 

Finché ci sarà

 

Finché vedrò al tramonto un disco rosso come il fuoco,

finché una rosa odorerà come il più raro dei profumi,

finché un cane dormirà tranquillo ai miei piedi,

fino a quando saprò ancora vedere tutto questo,

fino ad allora, io vivrò.

Finché ci sarà una bambina che cercherà la mia mano,

finché ci sarà un’amica che chiederà il mio consiglio,

finché ci sarà una persona che vorrà il mio aiuto,

finché tutto questo continuerà ad esistere,

fino ad allora, io vivrò.

Finché ci sarà qualcuno che mi dirà "ti voglio bene",

Finché ci sarà qualcuno a cui io vorrò dire "ti voglio bene",

Fino ad allora, io vivrò.

 

2 ottobre 2002

 

E’ passato un anno. Stamattina, quando sono andata nella camera di Federica, alle sette, ho pensato: "Un anno fa, a quest’ora era ancora viva…". L’ho svegliata, poi abbiamo fatto colazione tutti insieme, con la sua solita allegria, e dopo... il resto l’ho già ripensato centinaia di volte. Ogni secondo di quella giornata non potrà più uscire dalla mia testa.

Non ho pensato ad altro per tutto il giorno, ma era già qualche mese che mi preoccupavo, temevo questo giorno, come il serpente che si era rivelato l’anno scorso. Ma ormai tutto quello che poteva farmi di male, me l’ha già fatto.

E’ solo un giorno, un gruppo di ore contrassegnate da un numero sul calendario. Non diverso da tutti gli altri che ho trascorso in questo ultimo anno. Così se ne sta andando un altro dei miei mostri, questo giorno che mi angosciava e che ho scoperto identico agli altri che sono già passati e a quelli che verranno in futuro.

E’ il momento di tirare le somme di quello che ho fatto in quest’anno, in questi dodici mesi di faticoso cammino. Non ho fatto tante cose, mi sono impegnata soprattutto nel tirare avanti tutti insieme, senza preoccuparci di arrivare in un punto speciale. Si può dire che abbiamo vissuto alla giornata; ogni giorno l’obiettivo era arrivare al giorno dopo.

Credo che ce l’abbiamo fatta; come quando si intraprende un lungo viaggio è meglio focalizzare l’attenzione su pochi chilometri per volta, così noi ci siamo impegnati tutti i giorni per l’indomani. Ed eccoci qui!

In quali condizioni siamo? Questo è ciò che mi interessa di più. Come siamo arrivati fin qui? Con mille sofferenze, ansie, timori, incertezze e preoccupazioni, ma sani. Abbiamo ancora la nostra integrità psicologica, o almeno quella sufficiente per valutare e capire i nostri comportamenti e le nostre ansie.

Quello che mi conforta è sentire che non siamo fermi al punto dove eravamo un anno fa; abbiamo compiuto una parte di questo percorso, lasciandoci alle spalle i primi disperati impulsi che generavano solo rabbia e rancore.

Posso anche dire che mi sento abbastanza serena: ho mantenuto la mia filosofia ottimista, che significa che cerco sempre di vedere il lato positivo in tutte le cose, anche quando non è facile immaginare che ci sia. Mi sta ritornando la voglia di fare qualcosa, anzi eccetto i primi giorni, ho scoperto che non era mai andata via; ero io che ero uscita da me stessa e non la vedevo più, insieme a tante altre cose.

Credo si possa dire che mi sto ritrovando e, per tanti aspetti credo di essere ancora la stessa persona che ero. Naturalmente all’inizio non lo sapevo, ero sicura di non essere più qui. Sicura di dovermi inventare una personalità nuova, pensavo che sarei diventata un’altra persona e ne avevo timore. Cosa sarei diventata? Chi sarei diventata?

E poi, altro grosso tormento, cosa avremmo dovuto affrontare? Quando si vive una situazione difficile, ciò che spaventa di più è sempre il non sapere, non conoscere tutti gli aspetti di questa circostanza che ci si trova a dover vivere. Quello che non si conosce è ciò che incute timore. Molte angosce passate si possono riferire a queste incognite, a questi passaggi obbligati che bisogna superare; tutte le date che per noi erano importanti, le ricorrenze, i giorni di festa e le occasioni di allegria che dividevamo con altri.

Prima di viverli mi sono sembrati momenti tanto difficili da incutermi timore: improvvisamente le occasioni che dovrebbero essere allegre diventano momenti di ansia e sei costretto a viverle con apprensione. Tutte cose nuove per me, con cui sto imparando a convivere, anche se con molta fatica; tanto che, quando supero uno di questi momenti che considero prove, mi sento meglio e più forte. Allora me lo posso lasciare alle spalle e proseguire attraverso la vita.

Non mi illudo però, so che non arriverà mai un momento in cui dirò: "Adesso ce l’ho fatta! Ho finalmente superato tutto!". Questa ormai è una cosa chiara, consolidata nella mia mente: non si potrà mai pensare di aver concluso questa, che sarà sempre una partita aperta. Anche se in forma diversa e in modo più tollerabile, il dolore sarà sempre con me, perché è dentro di me e sarà sempre parte della mia anima.

Arriverà, però, il momento in cui sarò più serena e affronterò di nuovo tutta la vita e le sue sfide. Credo di avere già iniziato e so che sto andando nella giusta direzione. Credo, anzi, che tutti noi, stiamo già andando nella giusta direzione e, cosa ancor più importante, stiamo procedendo insieme.

 

2 ottobre 2002 (sera)

 

In questa giornata non poteva mancare qualcosa di significativo, qualcosa legato a Federica. Nel pomeriggio avevo l’appuntamento con la psicologa dell’Ageop, per completare la mia richiesta di diventare volontaria. Dopo la prova test, effettuata all’inizio di settembre, questo era l’ultimo passo per essere ammessa al corso per diventare volontario dell’Associazione.

Durante il colloquio c’è stato un momento di grande tensione, quando la psicologa mi ha chiesto come sono venuta a conoscenza di Ageop e io ho sentito che certe cose non le supererò mai del tutto. Certe emozioni sono sempre latenti e pronte a manifestarsi all’improvviso: è un’altra cosa da accettare. Quando ho risposto, ero così commossa che non mi usciva la voce e ho capito che forse sono ancora incapace di affrontare certi argomenti.

Alla fine ho superato anche questa prova e sono molto contenta di avere l’occasione di rendermi utile a qualcuno che soffre e credo che questa esperienza sarà molto utile anche a me. Come quando ho partecipato all’assemblea dell’associazione, il rapporto con gli altri mi aiuta a comprendere meglio me stessa e sentire altre sofferenze mi aiuta ad affrontare meglio la mia, guardandola dal di fuori.

Stasera vengono Elena, Silvia e Andrea, per "fare due chiacchiere". In realtà vengono perché vogliono stare con noi. Anche per loro è stato un anno difficile, una prova dura e sono ancora tanto giovani! Hanno dovuto affrontare la morte di una loro amica e ne sentono molto la mancanza. Hanno dimostrato un grande coraggio, come non avrei mai pensato. E’ anche vero che non avrei mai potuto pensare a una simile circostanza.

Mi convinco sempre più che, nei momenti difficili che ci vengono imposti, si riesce a produrre delle energie insospettabili, che non avremmo mai pensato di avere. Quando si ragiona freddamente, si pensa che di fronte a certi avvenimenti non si possa reagire con tanto coraggio, si pensa sempre che solo le altre persone possano farcela. Poi si scopre che quando ti capita qualcosa di così tremendo, la nostra forza si moltiplica, perché la nostra mente cerca tutte le astuzie possibili per non lasciarci soccombere agli eventi. Ci autoproteggiamo.

 

10 ottobre 2002

 

Il ritorno in palestra è stato accompagnato da ansie e timori, alcuni ingiustificati. Gli istruttori sapevano della morte di Federica: l’ho capito appena mi hanno salutato e mi hanno carezzato con le loro parole di benvenuto. Quando poi la lezione è finita, prima che uscissimo tutti per tornarcene a casa, Stefania è corsa ad abbracciarmi e mi ha detto che era felice che io fossi tornata. Così come ero ansiosa prima di entrare, dopo mi sono rilassata e sono stata felice di aver seguito il mio desiderio. Le loro parole di incoraggiamento mi hanno resa ancora più sicura della mia decisione.

Forse penso troppo e mi pongo tanti problemi, ma prima di andarci, quando avevamo già deciso, ero molto nervosa. Avevo il timore che tutti mi chiedessero qualcosa di Federica. E se non lo sapevano? Se mi avessero chiesto dov’era? O, peggio ancora, se non mi avessero chiesto niente? Se avessero fatto finta di niente?

Mi è rimasta impressa nella mente una cosa capitata l’anno scorso: il 5 ottobre. Sono certa della data perché dovevo andare in copisteria a vedere la prima stampa della tesi. Così ho iniziato la giornata piangendo, intanto che raccontavo l’accaduto alla signora che ci aveva visto insieme il giovedì precedente e poi ho proseguito andando in un negozio in cui sarebbe dovuta andare mia mamma di lì a qualche giorno. Volevo avvisare i ragazzi del negozio, in modo che non le facessero domande, per non metterli in imbarazzo. Ma quando ho detto dell’accaduto e ho visto la reazione ho capito che lo sapevano già e che hanno fatto finta di niente. Questa è stata una delle cose più brutte che mi siano capitate. Considerato che ero ancora sotto choc, la cosa mi ha sconvolto terribilmente e ha influito su tutto il mio comportamento. Da allora vivo con terrore ogni nuova conoscenza e ogni incontro.

Questo episodio mi ha segnato profondamente e ha contribuito a rendermi insicura e timorosa di rivedere persone conosciute da prima o di fare delle nuove conoscenze. Ho il timore di essere rifiutata e che la gente mi eviti, come io avessi delle gravi colpe, solo perché rappresento la cruda realtà: la tragedia possibile per ognuno di noi. So che il dolore è difficile da affrontare e perciò, frequentare persone che lo stanno vivendo è per molti, una cosa da cui tenersi lontano. Il dolore spaventa, perché ti mette in contatto con una realtà che si vorrebbe evitare a tutti i costi. Rimanendone lontani, si pensa di esorcizzare la paura e di diventare immuni da questa possibilità.

L’episodio ha generato in me l’idea che tutti mi avrebbero evitato, per non essere coinvolti in un motivo di tristezza e dolore. Non sono pensieri giusti, lo capisco, ma non ho potuto fare a meno di provare questi sentimenti per lungo tempo.

Ecco perché è sempre meglio affrontare subito le persone e non stare tanto tempo senza vederle. Comunque adesso mi rendo conto molto bene che non è giusto pensare in questo modo; di solito succede il contrario, perché la maggioranza delle persone ha voglia di vederci e, anzi, apprezza e incoraggia quello che facciamo per condurre una vita "normale". Se, invece, qualcuno quando mi incrocia per la strada mi evita, vuol dire che ha un problema e che non sa come affrontarlo.

 

15 ottobre 2002

 

Sono mesi, ormai, che non piango quasi più mentre guido. Oggi, addirittura, mi sono ritrovata a cantare sottovoce una canzone. Prima cantavo sempre guidando, soprattutto nel pomeriggio, quando rientravo a casa, oppure quando uscivo con Federica. Allora era d’obbligo cantare; un’abitudine iniziata da quando era piccola e la andavo a prendere da scuola, proseguita poi quando uscivamo insieme. Quando oggi ho sentito che stavo cantando, ho quasi abbassato la voce, forse mi sembrava fuori luogo, mi sembrava che non fosse giusto: "Come è possibile che io desideri cantare? Cosa c’è di divertente in questo momento?"

Suppongo che la mia mente esca allo scoperto, anche se non chiamata coscientemente da me. Capisco che è sempre latente dentro di me e sta aspettando di uscire e rivelarsi, facendomi capire che io sono ancora quella che ero. Sono ancora la stessa persona!

Non avrei mai pensato di ritrovare me stessa e di scoprirmi uguale a prima in così tanti aspetti del mio modo di essere. Credevo impossibile ritrovare certe mie abitudini, certi interessi, persino certi piaceri; invece riscopro giorno dopo giorno che certe cose sono talmente radicate nella nostra personalità che si fanno anche senza pensarci. All’inizio sembra che non ci siano più, ma è solamente perché siamo tanto tesi e rattrappiti dalla sofferenza che impediamo alla nostra stessa natura di manifestarsi.

Poi, lentamente, proseguendo nel cammino e vivendo un giorno per volta, ci si abitua a rilassarsi e ad abbassare le proprie difese. Allora lasciamo spazio al nostro "io" e lo lasciamo libero di mostrarsi a noi e agli altri. Che sorpresa, allora! E come è gratificante, quando gli altri ti ritrovano e ti dimostrano la loro felicità per quella persona che non pensavano più di vedere.

Può sembrare brutto, quando si ritorna a provare piacere facendo cose che ci piacciono, oppure si ride insieme agli amici e si ha di nuovo voglia di agire. Si genera un senso di colpa, un sentimento che non ci lascia godere delle cose belle che ancora ci sono. Credo sia fondamentale per la nostra evoluzione ed elaborazione, capire questo e accettarlo. Dobbiamo imparare a lasciarci il permesso di vivere ancora.

 

16 ottobre 2002

 

Sono molto emozionata, perché oggi è il mio primo giorno di volontariato per l’Ageop e, anche se non so ancora cosa dovrò fare, penso che questo periodo rappresenterà molto per me e per la mia tranquillità emotiva. Credo che, quando si desidera fare qualcosa per gli altri, sia comunque un segno positivo; significa che non siamo chiusi dentro noi stessi e ci rivolgiamo agli altri e ai loro problemi. Quando si fa volontariato, la prima persona che ha dei benefici è sicuramente il volontario. Uscire dal proprio dolore e affrontare quello altrui può essere un modo per capire meglio la sofferenza ed elaborarla più velocemente. Ascoltare gli altri può servire ad ampliare la propria visione delle cose e fa comprendere che non dobbiamo interpretarle sempre e solo a nostro svantaggio, indulgendo all’autocommiserazione e pensando di avere il monopolio del dolore.

Uscire da noi stessi è il modo migliore per ritrovarci.

 

17 ottobre 2002

 

Il primo approccio con il volontariato è stato favorevole, anche se non ho fatto molto. Ci vuole del tempo prima che si possa essere indipendenti: le prime quattro settimane si svolge il lavoro con l’assistenza di una Tutor. Sembra interessante e sono sicura che ne sarò soddisfatta.

Quando sono uscita mi sono venuti in mente i soliti problemi che mi tormentano e ho iniziato a pensare alla possibilità che qualcuno mi chieda se ho dei figli. Questa è una cosa che mi tormenta in tutte le nuove conoscenze, la prima cosa che penso è questa. In questo caso, poi, essendo un volontariato indirizzato ai bambini e ai loro genitori è facile che venga il discorso figli.

La mia preoccupazione non è indirizzata a me stessa, ma agli altri; ho sempre il timore che ci rimangano male e, non sapendo cosa dirmi, poi mi evitino facendo in modo che sia isolata. Ogni tanto ragiono e capisco che sono un po’ eccessiva in tutti questi pensieri, tendo sempre a esagerare e ad anticipare le cose. Naturalmente capisco anche che penso queste cose perché è il mio punto dolente e sono molto sensibile su questi argomenti.

  Continua

 

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