associazione italiana familiari e vittime della strada - onlus

DAI TRIBUNALI

dai tribunali
ultimo aggiornamento il 15 maggio 2003

Premessa Questo  spazio è dedicato ai provvedimenti giudiziari relativi alla incidentalità stradale che per qualsiasi motivo appaiano di rilievo per i fini dell'Associazione e che siano stati ritualmentre pubblicati e resi conoscibili da tutti.
     Per ogni provvedimento verrà precisato il motivo dell'interesse; verrà indicato il Giudice, il numero, la data, l'oggetto, le parti interessate e la data di pubblicazione; verrà riportato in tutto o in parte il testo sia della parte motiva che di quella dispositiva.
     Questa raccolta, vuole divenire nelle nostre intenzioni una fonte di indicazioni e di precedenti che potranno essere d'aiuto nella corretta impostazione di nuove cause, e la sua validità sarà pertanto misurata sul numero e sull'importanza dei provvedimenti in essa pubblicati.
     Crediamo sia di particolare interesse far seguire alla clamorosa e superficiale informazione dei giornali  i testi  integrali delle sentenze, che forniscono spesso una ben diversa chiave di lettura dei fatti. Un esempio per tutti, la sentenza di condanna del responsabile del gravissimo incidente che costò la vita a tre ragazze toscane (vedi articolo de La Nazione  del 19.1.2001 - Cronaca di Pisa) e che nonostante la severità della pena inflitta, evidenzia una ben limitata sensibilità del giudice per il valore delle vite distrutte(vedi Caso n.4).        Chiunque voglia pubblicare un provvedimento, munito dei dati sopra riportati, è invitato a recapitarne l'originale (che sarà poi restituito) o copia di buona qualità grafica, autorizzandone espressamente e per iscritto la pubblicazione anche parziale in questo spazio del sito Internet dell'Associazione italiana familiari e vittime della strada, pubblicazione in ordine alla quale si riserva ogni decisione e si esclude ogni reponsabilità sia dell'associazione che dei gestori del sito.
     

 

Sommario Caso n.1: sentenza n. 1314/2000 del Tribunale monocratico di Forlì contro Cacchi Socrate

Caso n.2: estratto del dispositivo della sentenza del Tribunale di Messina contro Gozzi Luca

Caso n.3: sentenza civile del Tribunale di Camerino n. 132/2001 del 22 giugno 2001

Caso n.4: sentenza penale del Tribunale di Pisa n. 823/2000 contro Ostrovic Ardian

Caso n.5: sentenza del Tribunale di Palermo in favore dei familiari di Emanuela Setti Carraro

Caso n.6: interessante confronto tra alcune recenti sentenze del Tribunale di Forlì

Caso n.7:La giustizia NON è uguale per tutti. A confronto due sentenze del Tribunale civile di Grosseto  

Caso n.8:Tribunale penale di Torino, giudice dott.ssa ALESSANDRA SALVADORI, sentenza 3196 del 28/11/2002: non è colpa “notevole” uccidere una ragazza di 18 anni guidando a 90 Km/h in centro abitato e su “manto stradale sdrucciolevole – ghiacciato”.


Caso n.1

La sentenza di primo grado che segue, riveste un particolare interesse sia perchè preceduta da provvedimento 12.03.99 di rifiuto del patteggiamento sia per l'entità della pena inflitta (due anni e due mesi di reslusione senza beneficio della sospensione condizionale), di gran lunga superiore alla media (intorno ai 6-8 mesi) delle pene irriogate per l'omicidio stradale.

Sintesi "Sentenza n.1314/2000 del 9.11.2000 del Tribunale monocratico di Forlì - Sezione distaccata di Cesena, Giudice Dr. Roberto Evangelisti, nel procedimento penale contro Cacchi Socrate, nato a Cesena il 27.9.1922 ed ivi residente, imputato del reato  di cui all'art.589/2 codice penale perchè per negligenza, imprudenza, imperizia, violazione della legge e dei regolamenti, in particolare dell'art.154 Codice della strada, cagionava il decesso di Dellamore Roberta, di anni 15,  nel seguente modo: alla guida della propria autovettura.... era fermo sulla destra della carreggiata di via San Mauro ... orientato con direzione di marcia per riprendere la marcia verso Rimini, senza assicuararsi di poter effettuare tale manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada cosicchè tagliava la strada al ciclomotore ... condotto da Dellamore Roberta che sopraggiungeva da tergo e pur ponendo in essere una manovra di deviazione verso sinistra non poteva evitare la collisione con la sopracitata autovettura; nella circostanza  Dellamore Roberta riportava lesioni che ne cagionavano il decesso in seguito a trascinamento e schiacciamento ad opera della vettura investitrice con previsione di tali eventi da parte dell'imputato (art. 61 n.3 del Codice penale). In Cesena il 29.4.98".


Il testo integrale della sentenza

IN FATTO E DIRITTO

   Con decreto in data 6.7.1999 il P.M. c/o la Procura della Repubblica di Forlì rinviava a giudizio Cacchi Socrate per rispondere del reato indicato in epigrafe.
   Si costituivano parti civili Dellamore Gianfranco e Gaviani Lilia, genitori di Dellamore Roberta, deceduta a seguito dell’incidente, nonché Dellamore Serena, sorella dalla vittima, Gaviani Aldo o Gualtieri Carolina, nonni della medesima, e la zia Dellamore Emilia.
   L'imputato, contumace, veniva ammesso al giudizio abbreviato, ritualmente e tempestivamente chiesto.
   Infine le parti rassegnavano le conclusioni sopra menzionate.
   La ricostruzione del fatto, emergente dagli atti acquisiti, appare necessaria premessa alla valutazione della responsabilità del Cacchi.
   Ebbene, alle ore 15,55 del 29.4.1998, Cacchi Socrate, alla guida della propria autovettura Volkswagen Golf tg. AK 328 KW, era fermo in via S. Mauro all'altezza del numero civico n.478, sul margine destro della carreggiata, nel centro abitato di Cesena, in prossimità della intersezione a sinistra con via Della Valle.      L'auto, posizionata con le ruote della parte destra sul marciapiede, era orientata in direzione Rimini-Forlì.
   Improvvisamente il Cacchi poneva in essere manovra di

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inversione per fare ritorno verso Rimini ed inserirsi nel traffico veicolare della opposta carreggiata proprio nel momento in cui sopraggiungeva da tergo, alla guida di un ciclomotore, Dellamore Roberta che, pur tentando di scartare l’ostacolo sterzando verso sinistra, entrava in collisione con l'auto del Cacchi che le tagliava la strada per compiere la manovra di inversione.
   L'urto (cfr. foto nn.5-6 dei fascicolo in atti) avveniva al centro della carreggiata, cosa che può desumersi dal ritrovamento dei frammenti e tracce di terriccio proprio all’altezza della linea che divide gli opposti sensi di marcia ed attingeva rispettivamente la parte anteriore-destra del ciclomotore e la fiancata centro-anteriore sinistra della Golf.
   A seguito dell'urto il ciclomotore, ormai incastratosi tra il paraurti e la ruota anteriore sinistra dell'auto e trascinato
   Per alcuni metri, cadeva sulla carreggiata opposta mentre, la ragazza veniva sbalzata sul cofano della Golf (cfr. dichiarazioni Boni e Monti) che, tagliata in diagonale la corsia riservata al flusso veicolare con direzione Rimini , terminava la propria corsa contro un palo della pubblica illuminazione.
   Il corpo della ragazza, scivolando, finiva per rimanere schiacciato tra l'auto ed il palo tanto da costringere i primi soccorritori (cfr. dichiarazioni Boni, Monti, Santi) a spostare la Golf per prestare aiuto.
   Il grave trauma contusivo al torace ed all'addome nonché le

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fratture costali multiple comportavano l’immediato decesso di Dellamore Roberta.
   La ricostruzione dei fatti così tratteggiata necessita invero di alcune precisazioni ed approfondimenti.
   Appare, in primo luogo, indiscutibiIe e non contestato che l’imputato abbia tentato di invertire la marcia all'altezza della intersezione della via San Mauro con via Della Valle, nel centro abitato di Cesena, in un punto in cui tale manovra era vietata ed ora anche logicamente esclusa, trattandosi di strada con notevole intensità di flusso veicolare in un soleggiato pomeriggio di fine aprile.
   Lo stesso Cacchi ammetteva peraltro di aver cercato di invertire la marcia e di non ricordare di aver azionato l'indicatore di sinistra, quanto meno per cercare dì preavvisare coloro che sopraggiungevano della propria incauta e pericolosissima manovra.
   Va allora rimarcato che l'imputato, all’epoca dei fatti già ultrasettantenne, avrebbe anzi dovuto non solo correttamente valutare il pericolo ma la stessa avanzata età ad il ritardo nelle percezioni sensoriali e nei conseguenti riflessi che questa comporta (e la cosa, come si dirà, ha avuto la sua importanza col determinare le lesioni da schiacciamento che hanno comportato il decesso della ragazza) lo avrebbero dovuto indurre a particolarissima prudenza della quale il Cacchi si è invece dimostrato del tutto privo.

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   Risulta infatti contestata l'aggravante della colpa cosciente, zona di confine prima del passaggio ad ipotesi di dolo eventuale, caratterizzata dal fatto che la verificabilità dell'evento rimane un'ipotesi astratta che nella coscienza dell’autore non viene concepita come concretamente realizzabile e, pertanto, non è in alcun modo voluta.
   E l'aggravante dove ritenersi sussistente solo che si pensi che il Cacchi dichiarava di aver guardato Io specchietto retrovisore (cosa notata anche dalla teste Ragonesi Alice, nella propria dichiarazione allegata in atti). Ebbene la distanza tra il ciclomotore e l'auto era ormai ravvicinatissima (cfr. pag. 13 consulenza P.M.), tanto da costringere la Dellamore a sterzare d'istinto verso il centro della carreggiata per evitare l'urto e l'imputato non può logicamente non aver visto la ragazza nel mentre questa sopraggiungeva, proprio per aver guardato lo specchietto. Piuttosto la evidente sopravvalutazione delle proprie capacità di portare a termine la rischiosa manovra lo induceva a compiere la stessa, con sprezzo totale della altrui vita, pur se l’età avanzata, le condizioni del traffico ed il fatto di essere alla guida di auto non certamente fuoriserie avrebbero invece dovuto farlo desistere da qualsiasi avventato proposito.
   Successivamente all’urto, come si é detto, l'auto, dopo aver invaso diagonalmente la carreggiata opposta, andava a collidere con un paio della illuminazione tanto da determinare

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il distacco della soprastante plafoniera che, cadendo, infrangeva il vetro anteriore della Golf.
   Se ne desumono (come comprovato dalle univoche dichiarazioni di Boni Cristina, Monti Pier Antonio, Santi Giovanni e Ragonesi Alice) che, il Cacchi, subito dopo la collisione con il ciclomotore e con il corpo della ragazza già sbalzato sul cofano, non arrestava, frenando, la marcia dell'autoveicolo che si fermava solo a seguito dell'urto contro il palo, così' schiacciando la Dellamore tra detto palo ed il radiatore della Golf con conseguenze mortali per la giovane.
   Né risulta che il Cacchi abbia prestato alcun soccorso, scendendo dall'auto o, comunque, innestando la retromarcia così da permettere di estrarre il corpo. Prova ne è il fatto che i soccorritori hanno dovuto manualmente trascinare all'indietro la Golf per consentire gli ormai inutili soccorsi.
   L'imputato, ancora seduto al posto di guida, rimaneva immobile, pietrificato e, pur invitato, non disinnestava la marcia inserita così da permettere, con la leva del cambio in posizione di folle, di spostare più facilmente l'auto(cfr. dichiarazioni Santi Giovanni).
   Ragonesi Alice riferiva di aver anzi notato l'auto accelerare subito dopo la collisione al centro della strada ("…Roberta è sempre sul cofano, sta scivolando davanti all'auto ed il signore riprende il gas…")
   I sospetti più volte manifestati dai genitori ed aleggianti

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sull'intero incarto processuale circa la possibilità che il Cacchi abbia volontariamente ucciso la Dellamore, scaturenti anche dalla obiettive, singolari modalità con il quale il sinistro si è svolto, inducevano la Procura ad ulteriori indagini e ad una integrazione della consulenza svolta.
   Al riguardo, le risultanze istruttorie, se permettono di escludere il dolo dell'imputato, certamente valgono a connotare di particolare disvalore la colpa del Cacchi.
   Il consulente del P.M., con motivazione logica, esauriente e condivisibile, individuava in m.6 circa lo spazio intercorrente tra il punto d'urto ed il palo (analogamente a quanto ritenuto anche dal consulente delle parti civili), spazio quindi percorso dalla Golf subito dopo la collisione con il motociclo. La comparazione diretta dei veicoli, effettuata attraverso i danni riportati dai medesimi, permetteva tuttavia di calcolare I' angolo di incidenza d'urto tra gli stessi in soli 30°(anziché negli ipotizzati 45°), così avvalorando il fatto che la Golf ed il motociclo si erano in realtà urtati quando la moto era ormai affiancata all'auto del Cacchi in procinto di effettuare l'inversione e che non vi era stato invece un intenzionale, diretto e preciso movimento dì "speronamento" della Golf nei confronti della sopraggiungente Dellamore (cfr. anche foto n.8 della prima consulenza nella quale le tracce di vernice rosa e di abrasione gommosa lasciate dal ciclomotore sono chiaramente evidenziate sotto la specchietto

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laterale dello sportello di sinistra; nella foto n.7 si apprezzano anche i danni riportati dalla Golf, sempre a seguito dell'urto, nella fiancata centro-anteriore sinistra mentre i danni evidenziati nella parte frontale , all’altezza del radiatore, sono stati cagionati dall'urto con il palo del quale sono rimaste infatti impresse tracce di vernice sul cofano; cfr. foto nn.11/12).
   Ciò premesso, resta comunque da chiarire perché il Cacchi non abbia frenato, cosa che avrebbe impedito alla Golf di urtare il palo e devastare il corpo della povera Roberta.
   Va osservato che entrambi i consulenti concordavano nell'ipotizzare una velocità di circa 16 Km/h, velocità alla quale la Golf avrebbe percorso i 6 metri, intercorrenti tra il punto d'urto ed il palo.
   Orbene, premessi questi dati, il tempo di percorrenza di detto spazio (e conseguentemente il periodo utile per consentire al Cacchi di azionare i freni) non è stato superiore ad un normale tempo psicotecnico, stimato in 1,25 secondi.
   In altre parole, una semplice, brevissima indecisione o anche il naturale appannamento dei riflessi conseguenti all'età possono esserci stati ragionevole causa della mancata frenata. Né può essere sottaciuto che l'assenza di collaborazione del Cacchi ai soccorritori può essere giustificata con un sopraggiunto stato dì shock, ipotizzato dallo stesso Santi Giovanni. E se la notazione appare avere carattere dirimente

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circa la non ipotizzabilità di condotte dolose (che non trovano inoltre movente giustificativo se non nel comprensibile,allucinato e straziante dolore dei congiunti), vale anche evidenziare la particolare, gravissima entità della colpa del Cacchi, impegnato in una manovra assurda (estranea alle più spericolate gare automobilistiche), sprezzante di qualsivoglia considerazione della vita altrui, non cosciente del proprio stato psicofisico e delle proprie realistiche possibilità di portare a termine la pur vietata manovra senza danni per i terzi.
   Da escludere è comunque che il Cacchi abbia persino accelerato come sembrerebbe suggerire la dichiarazione della Ragonesi.
   Considerata infatti una accelerazione media di almeno 3 m/s (cfr. la consulenza in atti), l'autovettura avrebbe urtato il palo ad una velocità non inferiore a Km/h 31. L'entità dei danni riportati non sono peraltro compatibili con tale velocità.
   Parimenti non è ipotizzabile che il Cacchi si sia avvalso del paraurti della Golf per "agganciare" volontariamente il ciclomotore e sbilanciare la Dellamore, posto che il divaricamento della parte angolare sinistra del paraurti è attribuibile alla introflessione subita dal frontale nell'urto con il palo.
   Certa appare quindi la esclusiva responsabilità colposa del

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Cacchi.
   Passando a trattare della sanzione irrogabile, va rilevato, preliminarmente, che il reato colposo non sempre in concreto può essere ritenuto di minore gravità, non giustificandosi altrimenti la scelta legislativa di prevedere talora pene certamente di entità non simbolica, da commisurare poi nell'esercizio della discrezionalità giurisdizionale, al fatto in esame. Nell'ipotesi di omicidio colposo, è così stata prevista una specifica aggravante quando l'evento sia determinato dalla violazione di norme inerenti alla circolazione stradale, fino ad un massimo di anni dodici qualora si verifichi l'evento mortale per più persone . Aggravante giustificata dalla indubbia pericolosità che discende dall'utilizzo, in particolare, degli autoveicoli e dalla necessità quindi di prestare attenzione all'osservanza di norme volte a prevenire eventi anche tragici.
   La colpa del Cacchi è inoltre connotata , come più volte rimarcato, da profili di particolare gravità, accentuata dall'età dello stesso, che, lungi dal poter essere valutata favorevolmente sia pure al fine di concedere le attenuanti generiche, appare, nel caso di specie, ragione sufficiente che avrebbe dovuto spingerlo a ben diverso e prudente stile di guida.
   Non può infine venire in considerazione l'incensuratezza ai fini dell'applicabilità dell’art.62 bis cp quando le modalità

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di commissione del reato sono, come nel caso di specie, emblematiche di personalità priva del benché minimo rispetto per i terzi.
   L'imputato deve pertanto essere condannato alla pena di anni due, mesi due di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali (P.B. anni due, mesi otto di reclusione; aumentata per l'aggravante di cui all’art. 61 n.3 cp ad anni tre, mesi tre di reclusione; diminuita per il rito ad anni due, mesi due di reclusione). Non può essere formulata prognosi positiva ai fini della concessione del beneficio della sospensione della pena per le modalità di commissione del reato e l'intensità della colpa ravvisabile nel Cacchi.
   Deve essere disposta la sospensione della patente per la durata di mesi sei ai sensi dell'art.222 cod. strad. per la violazione dell'art.154 c.strad.
   Cacchi Socrate va infine condannato alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza, liquidate in dispositivo, nonché al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede.
   Può essere disposto il pagamento di una provvisionale in ragione di £. 50.000.000 ciascuno per Dellamore Gianfranco e Gaviani Lilia, genitori della vittima, nonché per Dellamore Serena, sorella della stessa, persone affettivamente più vicine alla vittima.
   E' pur vero che, a titolo di acconto, i predetti nonché

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Gualtieri Carolina e Gaviani Aldo ricevevano e trattenevano, a titolo di mero acconto sul maggior danno, la somma di £.400.000.000.
   Ritiene tuttavia questo Giudice che, per l’appunto, ai genitori ed alla sorella possa essere concessa la sopra quantificata provvisionale, evidenziando la consulenza psichiatrica in atti gravi situazioni depressive, conseguenti al lutto, sfocianti anche nella manifestazione di propositi suicidari da parte di Dellamore Gianfranco. Peraltro le stesse istanze allegate al fascicolo processuale confermano una deteriorata situazione psichica dei predetti, logorati dalla persistenza di un giustificabile desiderio di giustizia trasmodante talora nella aperta ricerca di vendetta, impegnati in proprie parallele indagini e convinti assertori della responsabilità per omicidio volontario del Cacchi.
   Nei loro confronti è ben provata, quanto meno, la sussistenza di un danno biologico "iure proprio", conseguente al sorgere di specifiche patologie invalidanti dal lutto, ontologicamente diverso dal semplice danno morale, pur presente, e ciò prescindendo dalla risarcibilità del danno biologico da uccisione "iure hereditario" nei confronti dei prossimi congiunti, oggetto di più compiuta analisi da parte del giudice civile. Ed in tale contesto appare, allo stato degli atti, non adeguato il pagamento effettuato dalla compagnia assicuratrice, tenuto conto che nel computo della somma erogata sono

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stati ricompresi anche i nonni.

P.Q.M.

  visti gli artt. 533, 535, 538 cpp;
  dichiara Cacchi Socrate colpevole del reato a lui ascritto e per l’effetto, riconosciuta l'aggravante di cui all'art.61 n.3 cp, applicata la diminuente del rito, lo condanna alla pena di anni due, mesi due di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.
   Dispone inoltre la sospensione della patente di Cacchi Socrate per la durata di mesi sei.
   Condanna Cacchi Socrate alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza delle parti civili che liquida in £. 5.000.000 (di cui £.134.500 per spese) oltre accessori quanto a Dellamore Gianfranco; in £. 2.930.000 (di cui. £.114.000 per spese) oltre accessori quanto a Dellamore Emilia; in £. 6.500.000 complessivo (di cui £. 233.600 per spese), oltre accessori quanto a Dellamore Serena e Gaviani Lilia; in complessivi £. 6.000.000 (di cui £. 120.000 per spese) oltre accessori quanto a Gualtieri Carolina e Gaviani Aldo.
   Condanna Cacchi Socrate al risarcimento dei danni nei confronti deIIe parti civili costitute da liquidare in separata sede.
   Condanna infine Cacchi Socrate al pagamento di una provvisionale di £. 50.000.000 (cinquantamilioni) per ciascuno nei confronti di Dellamore Gianfranco, Dellamore Serena e Gaviani

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Lilia. Motivi riservati da depositare entro novanta giorni.

Cesena, lì 9 novembre 2000.

                                                             IL GIUDICE
                                                       Dr. Roberto Evengelisti

 

 

 

 

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Caso n.2


Processo nei confronti di Gozzi Luca per aver provocato con colpa gravissima, a seguito di incidente stradale, la morte di Valeria Mastrojeni, lesioni a Marcello Mastrojeni e lesioni permanenti ad Alberto Sfameni


ESTRATTO DEL DISPOSITIVO DELLA SENTENZA DEL 26.06.2001

Visti gli artt.533, 535 e 442 c.p.p.,

dichiara Gozzi Luca responsabile dei reati ascrittigli in rubrica e, concessagli l’attenuante di cui all’art.62 n.6 c.p., e in relazione al capo C), lo condanna, con la diminuente del rito abbreviato:

  1. alla pena di anni due e mesi sei di reclusione, per i reati ascrittigli ai capi A) e B), unificati ai sensi dell’art.589 co.3 c.p.;
  2. alla pena di mesi sei di reclusione per il reato ascrittogli al capo C) della rubrica;
  3. alla pena di giorni sei di arresto e di lire quattrocentomila di ammenda, per il reato ascrittogli al capo D) della rubrica.

Condanna l’imputato al pagamento delle spese processuali.

Visto l’art.222 del D.Lgs. n.285/1992

Applica a Gozzi Luca la sanzione accessoria della sospensione della patente per il periodo di mesi nove, disponendo che, dopo il passaggio in giudicato, la sentenza venga trasmessa al Prefetto di Messina, per le determinazioni di competenza.

Visti gli artt. 528 ss. c.p.p.,

Condanna Gozzi al risarcimento dei danni la cui liquidazione riserva al competente giudice civile, cagionati dal reato del capo A), di omicidio colposo di Mastrojeni Valeria, nei confronti delle costituite parti civili Cassaniti Giuseppa e Mastrojeni Emilio, nella misura del 75% del danno globale, riconosciuto il concorso di colpa di Sfameni Alberto nella misura del 25%, nonché al pagamento delle spese di costituzione e di rappresentanza, che liquida in complessive £.2.580.000 per ciascuna parte civile [..].

Liquida in favore delle predette parti una provvisionale, immediatamente esecutiva, di £.250.000.000 ciascuna.

[..]

Condanna Gozzi Luca, in solido con la Società Reale Mutua di assicurazioni, al risarcimento del danno, la cui liquidazione riserva al competente giudice civile, in favore della costituita parte civile Sajia Gaetana, jure proprio, e nella qualità di curatrice speciale di Sfameni Alberto, nella misura del 75% del danno globale, riconosciuto il concorso di colpa di Sfameni Alberto, nella misura del 75%, nonché al pagamento delle spese di costituzione e rappresentanza, che liquida in complessive L.2.584.000 [..].

Liquida in favore della medesima Sajia Gaetana, n. q. di curatrice di Sfameni Alberto, una provvisionale immediatamente esecutiva, dell’importo di 30.000.000.

[..]

Dispone la trasmissione di copia degli atti al P.M. in sede, dopo il deposito della sentenza, per le determinazioni di competenza in ordine al concorso di terzi nel reato di cui all’art.367 c.p.

[..]

Messina, 26 giugno 2001

            IL GIUDICE
            Roberta Carotenuto



 

Caso n.3



TRIBUNALE DI CAMERINO
Sentenza civile n. 132 / 2001 del 22 giugno 2001
Giudice unico dott.ssa Cristiana Rotunno

Con questa sentenza il Tribunale condanna la persona ritenuta responsabile della morte di un minore in seguito ad investimento stradale al risarcimento del danno biologico e morale in favore dei genitori e della sorella per la "somma complessiva di lire 2.137.234.000, oltre ad interessi legali sulla somma via via rivalutata a decorrere dal 5.10.1988 e sino al saldo effettivo, nonché al pagamento della somma di lire 9.547.500 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale" ed alla rifusione delle spese processuali.

La sentenza si segnala per una liquidazione del danno ai familiari superstiti ben maggiore, anche se appena congrua in rapporto al valore della vita perduta, di quelle in genere operate in fattispecie di morte stradale.


 

Caso n.4


      Pubblichiamo la sentenza 1.3.200,1 con la quale il Tribunale penale di Pisa ha condannato a 20 anni di reclusione l'albanese Ardian Ostrovica per l'omicidio stradale di tre giovani donne sulla strada statale Aurelia, commesso nel tentativo, fallito, di uccidere un altro albanese alla guida di diverso veicolo.
      Ricordiamo che l'Associazione si mobilitò nei giorni del processo, insieme con i familiari, chiedendo una pena severa che, nella sostanza, à stata ottenuta.
      La motivazione precisa come il Giudice per le indagini preliminari autore della sentenza potesse qualificare l'omicidio delle tre giovani come commesso con dolo (omicidio volontario), con colpa cosciente (che presuppone il convincimento soggettivo di poter dominare la situazione di pericolo messa in opera) o con dolo eventuale (che presuppone la piena consapevolezza di porre a rischio la vita altrui); o potesse scegliere invece di qualificarlo come reato aberrante (che presuppone la volontà di uccidere e la morte però di persoa diversa da quella designata).
     Il GIP ha scelto questa ultima strada , ritenendo su tale base l'Ostrovica colpevole di omicidio volontario plurimo nei confronti delle tre vittime: la pesante sentenza era a questo punto scontata.
     La scelta del dolo eventuale sarebbe stata forse più corretta (infatti la volontà di mettere a repentaglio la vita altrui dovrebbe essere più importante del motivo per cui lo si fa) e sarebbe stata certamente più aderente alle nostre linee  e più utile all' impegno contro la strage stradale.
     La liquidazione della provvisionale (100 milioni per ciascun genitore e 50 per ciascun fratello) merita invece una dura critica, risultando abissalmente sproporzionata per difetto rispetto all'entità della pena inflitta (il Giudice di Pisa considera evidentemente il fatto come grave a senso unico, per l'imputato si e per le parti offese no), rispetto ad altre liquidazioni (solo alcune delle quali riportate in questo spazio) e rispetto anche alle pure assurde "tabelle" di liquidazione del danno morale, ovunque più alte, almeno quanto ai genitori , di quelle ritenute dal GIP.


Il testo integrale della sentenza
 


TRIBUNALE DI PISA

Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

N.9/2001 R.G. Sent.

Il Giudice per le indagini preliminari, Dr. Alberto De Palma, all'udienza del 18.1.2001 ha pronunciato, a seguito di rito abbreviato, dando lettura del dispositivo, la seguente

SENTENZA

nel procedimento penale N. 823/2000 R.G.N.R. e N. 335/2000 R.G. GIP contro;

OSTROVICA ARDIAN nato a Tirana (Albania) il 29.6.1966 attualmente ristretto p.q.c.               presso la Casa Circondariale di Pisa - DETENUTO P.Q.C. PRESENTE.

(arrestato il 5.2.2000- convalida arresto e ordinanza cust. caut. in carcere il 8.2.2000)

difeso di fiducia dagli Avv. Carlo Alberto Antongiovanni di Viareggio e Rolando Rossi di Pisa, entrambi presenti;

 

Le PARTI CIVILI:

  1. CEI BRUNO nato a Cascina il 8.3.1930, non presente - LOGLI LOREDANA nata a Pisa  il 24.9.1937, non presente - CEI MAURIZIO nato a Pisa il 13.4.1966, non presente - CEI STEFANIA nata a Pisa il 11.6.1968, presente - prossimi congiunti di CEI Sonia;
    - rappresentati e difesi dall'Avv. Giovarmì Flora di Firenze e dall'Avv. Gino Mannocci di Pisa - entrambi presenti;

  2. BADALASSI LIDA nata a Pontedera il 28.9.1940 residente in Cascina loc. San Frediano a Settimo via F. Palasciano n. 2, elettivamente domiciliata ex art. 10015 c.p.p. presso lo studio dell'Avv. Fabrizio Bianchi in Pisa, via Vittorio Veneto n. 18, non presente -    prossimo congiunto di BETTI Susi;
    -    rappresentata e difesa dall'Avv. Fabrizio Bianchi di Pisa - presente;

  3. BETTI LISA nata a Cascina il 16.12.1970 residente in Cascina loc. San Frediano a Settimo via F. Palasciano n. 2, elettivamente domiciliata ex art. 100/5 c,p.p. presso lo studio dell'Avv. Claudio Bianchi in Pisa, via Vittorio Veneto n. 18, presente - prossimo congiunto di BETTI Susi;
    -   rappresentata e difesa all'Avv. Claudio Bianchi di Pisa - presente

  4. FRANCHI DINO nato a Pontedera il 12.ll.l995 residente in Cascina viale della Repubblica n. 164,  presente - MORGANTI FEDORA nata a Cascina il 29.10.1932 ivi residente in viale della Repubblica  n.164, non presente - FRANCHI ALESSANDRO nato a Cascina il 17.4.1974 ivi residente in via della Repubblica n. 164, presente - (prossimi congiunti di FRANCHI Sabrina);

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-  rappresentati e difesidall'Avv. Sonia Ticciati di Pontedera - non presente, sostituita dall'Avv.Luca Poldaretti di Cascina come da delega in atti.

IL RESPONSABILE CIVILE:

LA FONDIARIA ASS.NI S.p.A. in qualità di impresa territorialmente designata al Fondo di Garanzia Vittime della Strada, corrente in Firenze P.zza della Libertà n. 6, in persona del suo legale rappresentante pro tempore Dr. Roberto Tretter - rappresentata e difesa dall'Avv. Alfredo Lucifero del foro di Pisa - non presente, sostituito dall'Avv. Paola Volpi di Pisa - presente, come da delega in atti.

Pubblico Ministero: Dr. Giancarlo Dominijanni, presente;

IMPUTATO

  1. dei delitto p. e p, dagli artt. 56 e 575 c.p. per aver posto in essere atti diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di Lekstakaj Admir, speronandolo più volte a forte velocità con il proprio veicolo Mítsubishi Pajero, tg. LU 472373, evento che non si è verificato per cause indipendenti dalla sua volontà.

  2. del delitto p. e p. dall'art. 575 c.p. per avere, nel tentativo di determinare la morte del Lekstakaj Admir,    con la condotta di cui al capo che precede, invaso la carreggiata opposta al senso di marcia da lui  percorso, scontrandosi frontalmente con l'autovettura Citroen Saxo sulla quale viaggiavano Cei Sonia, Franchi Sabrina e Betti Susi, cagionando la morte delle stesse.

Tutti fatti commessi in Vecchiano il 5.2.2000.
Con l'aggravante di cui all'art. 61 n. 1 c.p. per avere agito per motivi futili rappresentati dall'avere posto in essere entrambi i reati a lui contestati per una banale lite dovuta a una ragazza di nazionalità russa, avvenuta precedentemente in un bar di Pisa, tra il medesimo imputato e un gruppo di cittadini di nazionalità albanese al quale apparteneva il Lekstakaj Admir. (aggravante contestata all'udienza dell'11.1.2001)

Conclusioni delle parti:

  • Il Pubblico Ministero chiede condanna dell'imputato alla pena di anni 20 di reclusione, (pena base anni 30 di reclusione, esclusione della concessione delle attenuanti generiche o in ipotesi da considerare equivalenti all'aggravante dei futili motivi

  • Il difensore della parte civile Badalassi Lida, Avv. Fabrizio Bianchi, deposita conclusioni scritte di cui viene data lettura: "Voglia il Giudice, ritenuta la pena responsabilit dell'imputato in ordine al reati ascrittigli, condannarlo alla pena di giustizia, ritenuti altresì la responsabilità civile dello stesso ex art. 2054 c.c., nonché l'obbligo ala prestazione della garanzia assicurativa ex art. 19 lett. b) L. 990/69 da parte de La Fondiaria Assicurazioni Spa, con sede in Firenze, nella qualità di Impresa designata per la Toscana per la liquidazione dei sinistri a carico del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, condannare l'imputato ed il responsabile civile, in solido fra loro, al risarcimento in favore di essa P.C. Badalassi Lida, quale madre convivente ed erede legittima della defunta Betti Susi, dei danni tutti, patrimoniali e non patrimoniali a persona e cose, nessuno escluso, cagionati dal fatto illecito commesso dall'Ostrovica nella misura da liquidarsi in separato giudizio, comprese le  rivalutazioni e gli interessi di legge, con l'assegnazione di una provvisionale immediatamente esecutiva a titolo di danno morale non infenriore a £. 400.000.000 e con la rifusione delle spese di costituzione e difesa della parte civile come da nota che si produce". 


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  • Il difensore della parte civile Betti Lisa, Avv. Claudio Bianchi, deposita conclusioni scritte di cui viene data lettura "Voglia il Giudice, ritenuta la penale responsabilità dell'imputato in ordine ai reati ascrittigli, condannarlo alla pena di giustizia; ritenuti altresì la responsabilità civile dello stesso ex art. 2054 c.c., nonché l'obbligo alla prestazione di garanzia assicurativa ex art. 19 lett. b) L. 990/69 da parte de La Fondiaria Assicurazioni Spa, con sede in Firenze, nella qualità di Impresa designata per la Toscana per la liquidazione dei sinistri a carico del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, condannare l'imputato ed il responsabile civile, in solido fra loro, al risarcimento in favore di essa P.C. Betti Lisa, quale sorella ed erede legittima della defunta Betti Susi, dei danni tutti, patrimoniali e non patrimoniali,   a persona e cose, nessuno escluso, cagionati dal fatto illecito commesso dall'Ostrovica nella misura da liquidarsi in separato giudizio, comprese le rivalutazioni e gli interessi di legge, con l'assegnazione di una provvisionale immediatamente esecutiva a titolo di danno morale non inferiore a £. 170.000.000 e con la nfusione delle spese di costituzione e difesa della parte civile come da nota che si produce".

  • Il difensore delle parti civili Franchi Dino, Morganti Fedora e Franchi Alessandro, Avv. Sonia Ticciati, sostituita dall'Avv. Luca Poldaretti, deposita conclusioni scritte di cui viene data lettura: "Voglia Codesto Ill.mo Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Pisa, affermata la penale responsabilità dell'imputato Ostrovica Ardian in ordine al reati allo stesso ascritti nel presente procedimento, condannarlo alla pena che sarà ritenuta di giustizia, condannarlo in solido con il responsabile civile altresì al pagamento della somma di £. .350.000.000, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria a decorrere dal 5.2.2000 fino al saldo, a titolo di risarcimento di tutti i danni, dichiarandone la provvisoria esecuzione ai sensi dell'art. 540 co. 1 c.p.p. in ragione della particolare gravità dei fatti, della gravità del danno e delle modeste condizioni economiche delle parti; voglia in subordine e comunque disporre, al sensi degli artt. 539 co. 2 e 540 co. 2 c.p.p., il pagamento a carico del predetto di una provvisionale immediatamente esecutiva e comunque non inferiore a £. 750.000.000, ed in ogni caso con condanna dello stesso al pagamento delle spese di costituzione e di difesa di parte civile come da allegata notula, con ogni consequenziale pronuncia di ragione e di legge".

  • I difensori delle parti civili Cei Bruno, Logli Loredana, Cel Maurizio e Cel Stefania -Avv.ti Giovanni Flora e Gino Mannocci - depositano conclusioni scntte di cui viene data lettura "Voglia Codesto Ill.mo Giudice dell'Udienza Preliminare presso il Tribunale di Pisa, affermata la penale responsabilità dell'imputato Ostrovica Ardian in ordine al reati allo stesso ascritti nel presente procedimento, condannarlo alla pena che sarà ritenuta di Giustizia, altresì condannando l'imputato in solido con il responsabile civile, la Fondiaria Assicurazioni S.p.A. quale impresa designata per la Toscana del Fondo di Garanzia per le vittime della strada al pagamento della somma di Lire 1.056.140.400, o quella diversa, maggiore o minore, ritenuta di giustizia, oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali a decorrere dal 4.2.2000 fino al saldo, a titolo di risarcimento di tutti i danni materiali, morali e biologici subiti dalle parti civili costituite, dichiarandone la provvisoria esecuzione al sensi dell'art. 540, co. 1 c.p.p. in ragione della particolare gravità dei fatti, della gravità del danno e delle modeste condizioni economiche delle parti; voglia, in subordine e comunque, disporre, ai sensi degli artt. 539 comma 2° e 540 comma 2' del c.p.p., il pagamento a carico dei predetti in solido fra loro di una provvisíonale immediatamente esecutiva dell'ammontare di Giustizia e comunque non inferiore a lire 750.000.000, o quella diversa, maggiore o minore, n'tenuta di giustizia, ed in ogni caso con condanna degli stessi in solido fra loro al pagamento delle spese di costituzione e di difesa di parte civile come da allegate notule; con ogni consequenziale pronuncia di ragione o di legge"


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  • Il difensore dei Responsabile civile S.p.A. La Fondiaria Ass.ni, Avv. Paola Volpi deposita conclusionì scritte: "Piaccia all'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria eccezione, istanza e deduzione, in via pregiudiziale, accertare e dichiarare la carenza di legittimazione passiva del Fondo di Garanzía Vittime della Strada poiché la fattispecie in esame costituisce un'ipotesi di responsabilità dolosa del responsabile del sinistro; nel merito subordinato, in via principale, rigettare le domande tutte formulate nei confronti della concludente perché infondate in fatto ed in diritto; in ipotesi, contenere la condanna entro il massimale di legge vigente al momento del sinistro, con espressa esclusione di ogni ipotesi di mala gestio e con esplicita esclusione dei risarcimento del preteso danno biologico e morale iure hereditatis vantato dalle parti civili richiedenti perché giuridicamente inammissibile (Cass. Civ. 4910/96 e Trib. Pisa n. 736/97) e del loro preteso danno biologico e patrimoniale iure proprio perché del tutto carenti della necessaria prova (Corte Cost.le 72/94)".

  • Il difensore dell'imputato, Avv. Rolando Rossi, conclude chiedendo l'assoluzione per il reato di cui al capo a) perché il fatto non sussiste o perché non costituisce reato e derubricazione dell'imputazione sub b) in quella di omicidio colposo plurimo, condanna al minimo della pena e concessione delle attenuanti generiche.

  • Il difensore dell'imputato, Avv. Carlo Alberto Antongiovanni si associa alle conclusioni del codifensore Avv. Rossi e produce memoria difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Alle ore 03.35 circa del giorno 5 febbraio 2000 una pattuglia della Polizia Stradale di Lucca intervenne sulla SS 1 Aurella, In località La Costanza del Comune di Vecchiano, dove si era verificato un sinistro stradale nel quale erano rimasti coinvolti tre autoveicoli: 1) il fuoristrada Mitsubishi Pajero con targa LU/472373, a bordo del quale, accasciato sul volante e ferito, vi era il guidatore Ostrovica Ardian, di nazionalità albanese- 2) l'autovettura Peugeot 205 con targa FI/L81807, il cui conducente, tale Lekstakaj Admir, altro albanese, si era allontanato e sarebbe stato più tardi rintracciato e tratto in arresto per violazione dell'art. 198 commi 6 e 7 Cod. della Strada; 3) l'autovettura Citroen Saxo, targata AV 101 FE, all'intemo della quale vi erano i corpi esanimi di Betti Susi, Franchi Sabrina e Cei Simona, tre amiche che stavano rientrando a Cascina dopo avere trascorso la serata in Versilia.
Dai primi rilievi emergeva che il fuoristrada, marciante in direzione di Viareggio, dopo avere tamponato l'autovettura Peugeot, aveva sbandato sulla corsia di sinistra e colliso frontalmente con la Citroen condotta dalla Betti, che proveniva dalla direzione contraria.
Il decesso delle tre occupanti la Citroen era constatato da un medico intervenuto sul posto su richiesta degli investigatori.
Ostrovica era medicato presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale di Viareggio e i risultati delle analisi del sangue (pag. 17) evidenziavano l'assunzione di benzodiazepine e, quel che è più significativo, un profondo stato di ebbrezza, attestato dal valore dell'etanolo (246 mg/dl, a fronte del valore limite di 80 mg/dl). Mentre si trovava nei locali del Pronto Soccorso, Ostrovica ripeteva più volte ad alta voce la frase: "dovevo (oppure: volevo) ammazzarli tutti", e quando il dott. Enrico Marinai lo informava della necessità di applicare punti di sutura all'intemo della bocca, esclamava: "In bocca mi ci dovrebbe mettere una pistola e spararmi" (pag. 19)
Una prima spiegazione riguardo alla dinamica del sinistro era fornita dal Lekstakaj, fermato dalla Polizia a Migliarino: - egli stava percorrendo la via Aurella, con direzione di marcia Pisa - Viareggio e ad una velocità di circa 70/80 km orari, quando, in corrispondenza della progressiva km. 349, era stato "più volte tamponato" dal fuoristrada; - la Peugeot aveva cozzato contro il guardrail di destra mentre il veicolo tamponante aveva sbandato e si era scontrato frontalmente contro la Citroen; - Lekstakaj, che sentiva un dolore ad una gamba, 


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aveva chiesto ad un automobilista di passaggio il favore di accompagnarlo al Pronto Soccorso, ma era stato fatto scendere nei pressi dell'Hotel "Holiday Inn" di Migliarino e si era poi presentato alla pattuglia della Polizia Stradale ferma al casello di Pisa Nord.
I ragguagli offerti dal Lekstakaj e l'analisi dei rilievi eseguiti sul luogo dell'incidente indussero gli investigatori a concludere che Ostrovica avesse intenzionalmente speronato l'autovettura Peugeot che, per la violenza dell'urto contro il guardrall, aveva subìto il distacco della ruota anteriore destra, ritrovata nel fosso di scolo laterale. L'iniziativa dell'Ostrovica aveva prodotto esiti rovinosi perché i veicoli antagonisti, continuando affiancati la marcia ìn senso obliquo rispetto all'asse della strada, erano finiti nella corsia opposta dove il fuoristrada aveva urtato contro il guardrail di sinistra e colliso lateralmente con la fiancata sinistra della Peugeot; quindi il fuoristrada aveva sopravanzato la suddetta autovettura e si era presentato alla scontro frontale con la Citroen che era stata respinta all'indietro per circa 20 metri. Nella situazione di quiete la Peugeot era venuta a incastrarsi tra il guardrail di sinistra e la Mitsubishi Pajero; la Citroen Saxo sì era invece disposta trasversalmente, quasi a contatto con la Mitsubishi, dopo avere compiuto una rotazione in senso orario. Tutto ciò era accaduto, in base alle tracce rilevate, nello spazio di cìrca 170 metri in un tratto pianeggiante di strada a due corsie con andamento curvilineo volgente a destra secondo la direttnice di marcia Pisa -Viareggio. (vedi informativa in data 6 febbraio 2000, a pag. 33)
Questa ricostruzione è stata condivisa dal consulente tecnico nominato dal PM, il quale, con riguardo al momento dell'urto (che interessò la parte anteriore destra del fuonistrada e quella posteriore sinistra dell'autovettura), ha indicato in circa 110 Km/h la velocità del fuoristrada e ìn circa 80 Km/h quella della Peugeot, ed ha concluso che, nonostante gli urti successivi, la decelerazione della Mitsubishi Pajero fu di soli 25 Km/h, stimando in circa 80 - 85 Krn/h la velocità residua all'atto dello scontro frontale con la Citroen (vedi relazione a pag. 388).
Constatato lo stato di ebbrezza del conducente e valutati gli effetti disastrosi della sua condotta di guida, gli investigatori dichiarano in arresto l'Ostrovica.

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Interrogato in carcere dal PM il 6 febbraio 2000 (pag. 43), Admir Lekstakaj (di anni 18) spiegò di avere mantenuto il controllo della autovettura a seguito di un primo urto, che aveva interessato la parte centrale del cofano posteriore della Peugeot; un secondo tamponamento (quello incentratosi nello spigolo sinistro dell'autovettura da lui condotta) era stato invece molto forte e, in conseguenza di esso, Lekstakaj aveva perso il dominio del veicolo che aveva urtato contro il guardrail; a quel punto si era sollevato il cofano anteriore togliendo al Lekstakaj la visuale. Lekstakaj sostenne di non conoscere Ostrovica, del cui comportamento aggressivo dichiarò dì non riuscire a comprendere il senso.
Questa ricostruzione dei fatti venne confermata nell'interrogatorio reso il giorno 8 febbraio al GIP, che convalidò l'arresto, ma dispose l'immediata scarcerazione del Lekstakaj, nei confronti del quale il PM non aveva formulato richieste cautelari (pag. 113). La posizione del Lekstakaj, indiziato di violazione dell'art. 189 Cod. della Strada, sarebbe stata poi stralciata dal PM con decreto in data 9 marzo 2000 (pag. 270).
Nel corso dell'interrogatorio ex art. 294 CPP, Ostrovica somministrò al GIP la seguente versione difensiva: - residente in Viareggio, aveva lavorato come "operaio alberghiero", da ultimo presso l'albergo "Villa Roberta" ed era stato licenziato perché non aveva ottenuto la sanatona; - per vivere si era messo a fare il commercio di autovetture da esportare in Albania, - deciso a partire per l'Albania il 5 febbraio (sabato), aveva stipulato un contratto di assicurazione provvisoria per il fuonistrada; - la copertura assicurativa era valida per cinque giorni e sarebbe scaduto il sabato; - la sera del 4 febbraio egli si era trattenuto fino alle ore 18 circa nel bar "Derby", gestito in Viareggìo dall'amico italiano Carmine lanniciello, bevendo un solo aperitivo, poi era tornato a casa, dove aveva consumato una cena frugale ("Ho mangiato solo un po' di pane e formaggio. Non ho bevuto nulla, anche perché a casa non tengo alcolici"); - alle ore 22.00 circa era uscito di casa e si era diretto alla volta di


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Navacchio dove contava di incontrare, presso il Centro di Accoglienza, il connazionale Fatmir Imeri; - a Navacchio era giunto verso mezzanotte e a quell'ora, chiuso il Centro di Accoglienza e irreperibile l'amico, Ostrovica aveva pensato bene di recarsi a Pisa per fáre una passeggiata e chiedere notizie di Fatmir agli albanesi che avrebbe incontrato in città; - si era anche fermato in un bar, consumando un aperitivo analcolico, era risalito in macchina, aveva fatto un giro per Pisa e poi si era diretto verso Viareggio con l'intenzione di rientrare a casa; -mentre procedeva a velocità moderata (circa 70 Km/h), aveva colto il segnale dei fari di una autovettura che chiedeva strada e si era accostato a destra per agevolare il sorpasso, ma subito dopo, senza alcun motivo, aveva aumentato la velocità; - all'improvviso il sorpassànte aveva rallentato e allora Ostrovica aveva frenato e tentato di evitare l'urto, in seguito al quale aveva battuto la testa contro il parabrezza e lo stemo contro il volante; - da quel momento Ostrovica ricordava soltanto di essersi risvegliato verso le ore 10 o 11 del mattino in ospedale.
Ostrovica negava di conoscere il conducente della Peugeot, dichiarava essere del tutto nuovo il nome di Lekstakaj Admir e di non conoscere altri componenti la famiglia Lekstakaj, non ricordava di avere pronunciato le frasi riferite dal dott. Marinai, non escludeva che il fuoristrada avesse potuto tamponare ulteriormente la Peugeot dopo il primo urto, a seguito del quale egli aveva perso i sensi.
Con ordinanza in data 8 febbraio 2000 il GIP, accogliendo la richiesta dei PM, applicava ad Ostrovica la misura cautelare della custodia in carcere per i reati di tentato omicidio in danno di Lekstakaj Admir e di omicidio volontario in danno di Cei Sonia, Franchi Sabrina e Betti Susi.
Premesso che occorreva chiarire i rapporti tra i due albanesi ed il movente della azione aggressiva, il GIP osservava come la reiterazione degli atti (due speronamenti compiuti, a velocità elevatissima, con un automezzo del peso di ben 1.8 tonnellate) e le parole pronunciate in ospedale rendessero evidente la intenzione di uccidere Lekstakaj; nel porre in essere tale dissennata condotta di guida, l'Ostrovica aveva certamente notato il bagliore dei fari delle autovetture che sopraggiungevano dalla direzione opposta (quella guidata dalla Betti, seguita da altra condotta dalla teste oculare Elena Del Sarto) ed aveva consapevolmente accettato l'eventualità che il proprio veicolo, o quello condotto dal Lekstakaj, invadessero la corsia di sinistra, cagionando uno scontro il cui bilancio non avrebbe potuto essere che mortale. L'atteggiamento psicologico riguardo all'evento di morte delle tre donne era pertanto rapportabile al dolo eventuale, non alla colpa con previsione, che presuppone il convincimento soggettivo di poter dominare la concatenazione degli eventi: nemmeno il più esperto dei guidatori - rilevava il GIP - avrebbe potuto ragionevolmente ritenere di essere in grado di controllare il veicolo, e mantenerlo nella corsia di competenza, dopo una senie di tamponamenti ad elevata velocità; tanto meno questa certezza aveva albergato nella mente dell'ubriaco Ostrovica, il quale, deciso ad attentare alla vita dei suo antagonista, non aveva desistito da tale proposito, nella piena consapevolezza di porre a rischio anche la vita di terzi.

***

Le indagini, orientate alla ricerca di un valido movente, condussero ad alcune significative acquisizioni.
Emerse in primo luogo che Lekstakaj Admir, insieme ai fratelli Ermir e Edmund, era associato ad un gruppo di albanesi, originari della città di Lezhe, i quali erano dediti allo sfruttamento di prostitute in Migliarino Pisano. L'autovettura Peugeot FI/81807, intestata a Lekstakaj Gjok Luigj (altro fratello di Admir), era stata notata alle ore 02.00 del giorno 11 novembre 1999 in Migliarino, in zona deputata all'esercizio del meretricio, con alla guida certo Prendushi Gjovalin, compaesano del Lekstakaj. Lo stesso Lekstakaj", la sera del 7 dicembre 1999 era uscito da un bar di Montecatini con la prostituta Begaz Mirella e, postosi alla guida della Peugeot, aveva accompagnato la donna fino a Migliarino, dove l'aveva lasciata ad esercitare il mestiere. 


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Si accertò, inoltre, che il Lekstakaj e l'Ostrovica Ardian avevano reso dichiarazioni reticenti e
menzognere durante gli interrogatori.
A questo proposito, va detto che il PM aveva rilasciato un permesso di colloquio alla moglie (Rapi Fatbardha) e al cugino (Nurcellari Arben) di Ostrovica, disponendo al contempo, in via di urgenza, l'intercettazione ambientale, e che il relativo decreto era stato convalidato dal GIP.
Ebbene, durante il colloquio avvenuto il 19 febbraio 2000 in una sala della Casa Circondariale di Pisa (pag. 217 e segg.), Ostrovica spiegava alla moglie e al cugino che quella otte aveva avuto un diverbio con alcuni "contadini di Lezhe" in un bar di Pisa, a causa di una ragazza russa che si era messa a discorrere con lui ("..noi eravamo ubriachi in Corso Italia....nel bar c'era una ragazza russa da Pisa che mi si è avvicinata e abbiamo cominciato a parlare, e poi viene uno di loro e mi dice: che c'entri te con questa..."); dalle parole si era passati ai fatti ("... abbiamo comincialo a discutere... e poi uno è venuto a colpirmi da dietro") e Ostrovica, che era solo, aveva ritenuto conveniente allontanarsi, non prima di avere avvertito il gruppo dei suoi avversari che avrebbe regolato i conti l'indomani (".. loro erano in quattro... cosa potevo fare... poi ho detto a loro: va bene, ci incontriamo domani"); costoro lo avevano inseguito in macchina e l'avevano tamponato intenzionalmente ("..a me mi è toccato avere a che fare con quello stronzo... noi abbiamo litigato già a Pisa ... noi abbiamo litigato in un bar... sono andato via e loro mi hanno seguito dietro con la macchina e poi mi hanno dato ding - ding ....lui contadino di merda, che è venuto a colpire me.."); mentre si viaggiava alla velocità di 120 Kmi/h, l'inseguitore ("uno con una piccola Peugeot") aveva avuto l'ardire di sorpassarlo e frenare di colpo ("loro mi hanno bloccato la strada... hanno frenato"); a quel punto Ostrovica aveva deciso di scaraventare la Peugeot nel fossato ("quando gli ho dato il primo colpo, perché lì ho pensato: lo butto nel canale... l'ho colpito una volta, due volte, la terza non ricordo come....sono finito sull'altro lato e ho preso la macchina"); ad incidente avvenuto, tre degli albanesi si erano dileguati, lasciando solo il più giovane.
Ostrovica manifestava la propria meraviglia che i quattro albanesi fossero rimasti incolumi ("....ma come non è successo niente a loro...."), deplorava l'errore commesso in ospedale, quando si era lamentato per non essere riuscito ad "ucciderli tutti", concludeva, tuttavia, che gli inquirenti erano all'oscuro del litigio e fortunatamente lo stesso Lekstakaj aveva taciuto sul punto; così stando le cose, Ostrovica spiegava aì suoi interlocutori, l'unica accusa che potesse essergli mossa con qualche costrutto era semplicemente quella di omicidio colposo plurimo e in fondo egli era vittima dell'atteggiamento xenofobo dell'opinione pubblica e della stampa italiana: "non c'è niente, ti tengono dentro 3 - 4 mesi per l'opinione... è per questo che mi trattengono qui, loro non hanno il diritto di trattenermi ... se non eravamo due albanesi, non stavo qui dentro... non è come in Albania che fai un incidente e li fanno fare dieci anni di carcere, la legge è diversa.."
Dalle pieghe dei discorso emergeva, infine, che anche Ostrovica fosse coinvolto in attività di sfruttamento della prostituzione: egli si preoccupava, infatti, di domandare alla moglie se tale Daniela e un'altra donna, della quale non faceva il nome, fossero andate "a lavorare" e, avuta risposta negativa, prorompeva in una sconcio insulto (pag. 224).
Altro colloquio avveniva il 26 febbraio 2000 e in tale occasione Ostrovica chiedeva alla moglie se avesse parlato a qualcuno dei litigio da lui avuto con gli albanesi, ricevendo assicurazioni che la versione corrente era che egli avesse 'fatto le gare con le macchine" (pag 230); ancora una volta, Ostrovica si compiaceva della reticenza di Lekstakaj ("... meno male che quel ragazzo ha detto: non lo conosco`. pag. 234) e quando la moglie gli faceva notare che nell'incidente egli avrebbe potuto farsi molto male se fosse stato alla guida di un veicolo più piccolo, esclamava: "... ma come ho fatto a non ammazzare loro" (pag. 237), al che la moglie lo invitava a non crearsi problemi e a considerare che aveva sbagliato perché era ubriaco.


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Un nuovo colloquio aveva luogo due giorni dopo e la Rapi Fatbardha diceva al manto di non preoccuparsi per il denaro necessario a coprire le spese di difesa:   ".. poi, quando te sarai fuori di qui, esco a lavorare e restituiamo i soldi", al che l'Ostrovica replicava che, una volta libero, si sarebbe recato in Albania e sarebbe ritornato con una ragazza da avviare alla prostituzione in Italia ("quando ci vado in Albania, prenderò una ... portarla qui... una ragazzaa....non possiamo andare avanti così") proposito non apprezzato dalla moglie che esclamava: ".. ancora con questi lavori, te" (pag. 241); dal che si desumono in modo palese le effettive attitudini e vocazìoni professionali dell'Ostrovica, sfruttatore di prostitute.

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Indagini parallele erano state nel frattempo svolte dal Commissaniato di Viareggio - Versilia che in data 11 febbraio 2000 aveva denunciato alla Procura della Repubblica di Lucca Ostrovica Ardian per i reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione delle albanesi Rapi Fatbardha e Zeka Lula, reati commessi in Vìareggio a partire dal maggio 1998,e il Lekstakaj Admir per i reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di alcune straniere, tra cui tale Trebik Olga, di nazionalità ucraina, reati commessi, in concorso con Doda Arben (alias Dodaj Altin) e Kudret Guskigi, albanesi, e di altri soggetti in corso di identificazione, in Viareggio e Migliarino Pisano (vedi inserto a pag. 250).
Era stato sentito Carmine lanniciello, titolare del bar "Derby" in Viareggio e gestore dell'albergo "Villa Roberta", nel quale Ostrovica aveva detto di avere lavorato come operaio. Ianniciello dichiarava di avere ospitato in una stanza dell'albergo, a partire dal 16 maggio 1998, l'Ostrovica, presentatosi sotto il falso nome di Xhemalí Besim, e la Rapì Fatbardha, che si faceva chiamare Angela: l'uomo non aveva alcuna occupazione e faceva la vita da "pensionato", la donna diceva di lavorare come addetta alle pulizie, ma ben presto lanniciello aveva appreso quale fosse il suo effettivo mestiere e si era reso conto che Ostrovica era da lei mantenuto. A fine settembre 1998 la coppia aveva lasciato l'albergo, ma poi Ostrovica era ritornato, nel dicembre 1998, insieme alla Rapì e ad un'altra donna albanese, che si faceva chiamare Giulla (Zeka Lula), e Ianniciello. che non aveva stanze libere, aveva sistemato i tre in un appartamento di sua proprietà in Viareggio. Nel 1999 lanniciello, desideroso di cedere il bar "Derby', ne aveva proposto l'acquisto alla Rapi Fatbardha, che aveva dimostrato interesse alla proposta e per qualche mese aveva frequentato il bar allo scopo di acquisire pratica nella gestione. Ianniciello si era informato presso un commercialista ed in Commissariato, apprendendo che la donna avrebbe potuto gestire il bar se fosse stata in possesso di regolare permesso di soggiorno. Nell'agosto 1999 l'accordo era stato raggiunto e Ostrovica aveva versato la caparra di 40 milioni in contanti sul prezzo stabilito in 150 milioni. Nel novembre 1999 Ostrovica era rientrato in Albania e la Rapi Fatbardha l'aveva raggiunto dopo due settimane. Al primi di gennaio 2000, Ostrovica si era rifatto vivo per chiedere la risoluzione consensuale dell'accordo e la restituzione della caparra, e Ianniciello, sentendosi minacciato, aveva restituito l'importo di lire 25 milioni in contanti. Nel pomeriggio di venerdì 4 febbraio Ostrovica era ritornato al bar per esigere, con la minaccia che altrimenti avrebbe "spaccato tutto", la consegna della somma residua di lire 15.000.000; alla scena aveva assistito un altro frequentatore del bar, tale Angelo, e lanniciello si era visto costretto a chiedere l'intervento della Polizia. A sera Ostrovica si era presentato in albergo e il predetto Angelo lo aveva portato via, "cercando di farlo ragionare". Infine, lanniciello riferiva che dall'estate 1999 Ostrovica era cambiato: si ubriacava spesso e, nei fumi dell'alcool, non esitava a mettersi alla guida di autovetture; nel settembre era rimasto coinvolto in un incidente mentre trasportava in macchina tale Shushka Daniela, una albanese che - a detta di Ianniciello - si prostituiva.
Le testimonianze di Angelo Ruta e della barista del "Derby", tale Gurina Lucica, avevano permesso di appurare che Ostrovica si era recato più volte al bar, la sera del 4 febbraio, e si era ubriacato; trascorsa la mezzanotte, Ruta, avendolo incontrato nel bar, aveva accompagnato Ostrovica in macchina, prima a fare un giro per Viareggio, poi a Pisa e a Migliarino, dove l'ubriaco si era rivolto ad una prostituta, ferma al semaforo, per chiederle il


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prezzo delle sue prestazioni; Ostrovica aveva parlato in italiano alla donna, ma poi aveva spiegato a Ruta che si trattava di una albanese; Ruta aveva riportato Ostrovica a Viareggio e lo aveva lasciato al bar, nel quale l'uomo vi si era trattenuto fino all'orario di chiusura (02.30); a quell'ora Ostrovica era ubriaco al punto da avere difficoltà nella parola ("era molto ubriaco, tanto da parlare male", dirà la Gurina); la barista lo aveva visto allontanarsi da solo alla guida dei suo fuoristrada.
Era stato sentito anche tale Ceccarelli Fabio, che lavora nel bar "Happy Days" di Migliarino, aperto fino a tarda notte e frequentato da numerosi albanesi, nonché, al mattino, da donne che si prostituiscono sulla via Aurelia. Costui aveva riconosciuto il Lekstakaj Admir come componente di un gruppo di sfruttatori che stazionavano di notte nel bar e che spesso se ne allontanavano in tutta fretta dopo avere ricevute telefonate sul loro apparecchi cellulari. Nella notte tra il 4 e il 5 febbraio 2000, riferiva il Ceccarelli, Lekstakaj Admir si era trattenuto nel bar in compagnia di Kudret Guskigi fino alle ore 01,45; 1 due uomini erano andati via insieme.
L'ipotesi ricostruttiva offerta dal Commissariato di Viareggio - Versilia era così articolata: Ostrovica, uscito dal bar "Derby" di Viareggio alle 02.30 circa, era ritornato a Migliarino dove aveva avuto un diverbio con Lekstakaj; vi era stato quindi l'inseguimento lungo la statale Aurelia, conclusosi in modo tragico. Nella comunicazione di reato si evidenziava, in proposito, che il gruppo di albanesi, del quale LekstakaJ Admir faceva parte; si era già reso responsabile di episodi di inseguimento e violenze nel confronti di automobilisti, presi di mira perché ritenuti amici o disturbatori delle prostitute appartenenti alla scuderia, e che tali "spedizioni punitive" erano state attuate con l'impiego della tecnica consistente nel muoversi con più autovetture e nell'imbottigliare quella inseguita.

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Ma la polizia pisana, sviluppando gli spunti di indagine emersi dalla intercettazione del primo colloquio tra Ostrovica. la moglie e il cugino Nurcellari, aveva setacciato i bar esistenti nella zona di Corso Italia e della Stazione Centrale per individuare l'esercizio in cui era avvenuto il litigio. In data 23 febbraio 2000, l'ispettore Arzilli aveva interpellato Luciano Zari, barista del "Gambrinus", il quale aveva detto di ricordare la lite tra tre albanesi che erano venuti alle mani, all'estemo del bar, la sera di un venerdì, ai primi del mese. Allo Zari erano state mostrate le fotografie di Lekstakaj e Ostrovica, e il teste aveva riconosciuto quest'ultimo come uno dei litiganti (pag. 365).
Sentito dal PM il 7 marzo 2000, Zari spiegava che la lite era scoppiata tra le 23.30 e le 24.00 di quel venerdì e si era svolta mentre egli, uscito dal bar per gettare la spazzatura, era a una distanza di circa 20 metri; Zari non si era trattenuto a curiosare, ma aveva potuto comunque notare che due degli albanesi, visti di spalle, stavano aggredendo l'altro (quello raffigurato nella foto che gli era stata mostrata dall'Ispettore Arzilli); uno degli aggressori, alto m. 1.75 circa, con i capelli neri, lunghi e ricci, indossava un giubbotto di colore nero con il disegno di un'aquila e una scritta; esaminato un fascicolo fotografico, Zari aveva riconosciuto l'aggressore, che pure dichiarava di non avere visto in volto, nella persona di Dardha Petrit, nato a Lezhe (Albania) il 20 dicembre 1973 (pag. 266 - 267).
Al contrario, il barista Ceccarelli Fabio dichiarava che Dardha Petrit, alto m. 1.70, riccioluto, con i capelli a codino, si era trattenuto nel bar di Miglianino, la sera del 4 febbraio 2000, in compagnia di Lekstakaj Admir, Lekstakaj Ermir, fratello del primo, Prendushj Gjovalin, soprannominato "il povero" (un giovane magro, alto m. 1.85 circa, con i capelli corti, "quasi pelato" che indossava sempre uno spolverino in pelle di colore nero) e Dodaj Altin, fino alle ore 02.00 del mattino; a quell'ora tutti erano partiti in direzione di Pisa, il LekstakaJ Ermir a bordo della autovettura Calibra del Dardha, gli altri con i propri veicoli (pag. 271 - 272). E le dichiarazioni del teste trovavano conferma in quelle del padre, Ceccarelli Vittoniano, che (riconoscendoli nel fascicolo di foto in formato tessera: pag. 275) collocava nel bar, fino all'ora di chiusura, i due fratelli Lekstakaj, il Dardha e il Prendushj, pur attribuendo al Dardha              


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l'abbigliamento (il lungo cappotto nero) che, a detta del figlio, caratterizzava invece il Prendushj, e sostenendo che quest'ultimo (e non il Dardha) indossava un giubbotto in pelle nera con la figura di un'aquila stampata sul retro (pag. 273 - 274).

Con nota dei 29 marzo 2000 (pag. 325), la Squadra Mobile della Questura di Pisa riferiva al PM:

  • che il luogo in cui, secondo il racconto dei Ruta Angelo, Ostrovica si era fermato a parlare con la prostituta albanese (il semaforo di Migliarino, collocato sulla destra in direzione di Pisa) coincideva con il punto in cui lavoravano le prostitute controllate dal Lekstakaj;
  • che il Dardha Petrit in più occasioni era stato controllato dall'agente Caracciolo, il quale ricordava che lo stesso era solito indossare una giubbotto di pelle nera del tipo "Avirex Usa" con sulle spalle, in rilievo, il disegno di un'aquila.

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Su richiesta del PM, il giudice per le indagini preliminari ammise, in sede di incidente probatorio, la ricognizione dell'Ostrovica ad opera del teste Luciano Zanì. L'atto istruttorio venne compiuto in data 26 maggio 2000 ed ebbe esito negativo in quanto Zari non riuscì a riconoscere Ostrovica e dubitativamente indicò nella persona di un poliziotto l'individuo che aveva riconosciuto nella fotografia esibitagli tre mesi prima (vedi inserto a pag. 352).
Il 30 maggio 2000 Ostrovica, interrogato dal PM, ammise che quella notte era completamente ubriaco: al mattino aveva bevuto aperitivi e liquori, ed era già ubriaco al momento erano intervenuti presso il bar "Derby", su sua richiesta, gli agenti del Commissariato, alle 19.30 circa, Angelo Ruta, vedendo in quello stato, era riuscito a farlo uscire dal bar ("... mi disse se volevo fare un giro in macchina con lui. Insieme siamo usciti dal bar e siamo giunti fino a Migliarino, fermandoci con una ragazza o due..."); quando, verso le ore 21.00, Ruta lo aveva riaccompagnato al bar "Derby", vi si era trattenuto per un po', poi era andato a casa a preparare la valigia, quindi era tornato al bar, trovandolo ancora aperto; non ricordava l'ora in cui era uscito per l'ultima volta dal bar "Derby", ma lo aveva fatto per recarsi a trovare un compaesano, che tre giorni prima aveva lasciato il proprio numero di telefono a "quella cameriera che lavora nel bar Derby, di nome Olga"; era stato prima a Navacchio e poi a Pisa, ma non aveva sostato in un bar, non aveva parlato con una ragazza russa, non aveva avuto un alterco con altri albanesi; nel colloquio con la moglie del 19 febbraio, egli aveva mentito ("…è solo una storia che ho raccontato ai miei familiari per dare loro una giustificazione").
A conclusione delle indagini preliminarì, con atto depositato il 2 novembre 2000 il PM chiedeva il rinvio a giudizio dell'Ostrovica in ordine alla imputazioni, enunciate in rubrica, di tentato omicidio nella persona di Lekstakaj Admir e di omicidio volontario plurimo nelle persone di Cel Sonia, Franchi Sabrina e Betti Susi, evidenziando tra le fonti di prova i verbali relativi alle intercettazioni dei colloqui svolti nel carcere, intercettazioni delle quali richiedeva la trascrizione a norma dell'art. 268 CPP.
Trattandosi di colloqui in lingua albanese, l'incarico di procedere alla trascrizione era affidato in data 22 novembre 2000 al perito Maunizio Salamone con l'ausìlio di una interprete.
Disposta l'udienza preliminare, avveniva la costituzione di parte civile dei danneggiati: Cei Bruno, Logli Loredana, Cei Maurizio e Cei Stefania, prossimi congiunti di Cei Sonia, Badalassi Lida e Betti Lisa, madre e sorella della defunta Bettì Susi, ed era autorizzata, su richiesta delle parti civili, la citazione del responsabile civile S.p.A. Fondiaria Assicurazioni, in rappresentanza del Fondo di Garanzia per le vittime della strada, chiamato a rispondere dei danni cagionati dalla circolazione del veicolo Mitsubishi Pajero targato LU/472373, non coperto da assicurazione.
All'udienza dei giorno 11 gennaio 2001, presente l'imputato, si costituivano parti civili Franchi Dino, Morganti Fedora e Franchi Alessandro, prossimi congiunti della defunta Franchi Sabrina, ed avveniva la costituzione del responsabile civile Fondiaria Assicurazioni S.p.A.


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Una volta terminata la verifica del contraddittorio, e prima che fosse aperta la discussione, il PM contestava all'imputato l'aggravante di cui all'art. 61 n. 1 CP, addebìtandoglì di aver agito sulla base di un movente futile, per ritorsione a seguito dell'alterco verificatosi nei pressi del bar in Pisa.
L'imputato chiedeva l'accesso al giudizio abbreviato, subordinando la richiesta ad integrazione probatoria consistente nell'accertamento della effettiva sussistenza (messa in dubbio dal PM) del rapporto di coniugio tra l'imputato e la Rapi Fatbardha, e nell'esame di quest'ultima, finalizzato a chiarire le ragioni che avevano indotto Ostrovica a fornire un resoconto mendace dello svolgimento deì fatti nel colloqui avvenuti in carcere. La difesa spiegava che se la Rapi aveva fatto intendere, nel corso di quei colloqui, di non essere moglie dell'imputato, lo aveva fatto soltanto perché aveva litigato con il marito, e che, a sua volta, Ostrovica aveva mentito, ma solo parzialmente, "per trovare una giustificazione al suo comportamento".
Il PM osservava che la sussistenza del vincolo coniugale era pacifica e, per il resto, la prova dedotta appariva ininfluente.
L'imputato riformulava la proposta, rinunciando alla integrazione probatoria, e questo giudice disponeva il giudizio abbreviato, concedendo il termine nichiesto dalla difesa a seguito della contestazione della aggravante.
All'udienza odierna, il Comune di Cascina, nel quale le tre vittime erano nate e risiedevano, si è costituito parte civile, ma la costituzione, giustificata con riferimento al "danno ingiusto all'interesse pubblico alla civile convivenza", è stata esclusa, sentite le altre parti, con ordinanza alla cui motivazione conviene rimandare.
Si è quindi svolta la discussione e le parti hanno preso le conclusioni niportate in epigrafe e formulate, quanto alle parti civili, per iscritto.
In una breve dichiarazione finale, l'imputato ha chiesto scusa alle famiglie delle vittime e ha sostenuto di non ricordare nulla dei fatti, perché quella notte era ubriaco, di non conoscere il Lekstakaj e di non avere mai avuto l'intenzione di ucciderlo.

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Il tema fondamentale di prova in questo processo consiste nella ricostruzione delle modalità del sinistro stradale, e nell'accertare:

  1. se, come sostiene la difesa dell'imputato, il fatto debba essere qualificato come un ordinario (seppur gravissimo) incidente circolatorio, in cui gli eventi (lesivi o mortali) non sono previsti e voluti dall'agente quali conseguenze della sua azione, ma si determinano per sua colpa, ovvero se (ed è questa la tesi dell'accusa pubblica e privata) la condotta di guida di Ostrovica, fosse consapevolmente e volontariamente diretta a cagionare la morte dell'antagonista Lekstakaj Admir e si sia articolata nel compimento di atti idonei (almeno due speronamenti compiuti in velocità e con uso di veicolo di notevole massa) diretti in modo chiaro a perseguire la finalità omicida, che non si realizzò per cause indipendenti dal volere dell'agente;
  2. se il successivo sviluppo della serie causale innescata dalla condotta di Ostrovica (lo scontro frontale, in fase di sbandamento, con la Citroen Saxo e la morte delle tre occupanti) sia stato previsto dall'imputato quale possibile (o, addirittura, probabile) conseguenza ulteriore della propria azione, ed anche rispetto a tali eventi debba essere ritenuta la sussistenza del dolo di omicidio, da qualificare come dolo indiretto (conseguente alla mera accettazione del rischio) nel primo caso, e come dolo diretto nel secondo (perché la consapevolezza della probabilità indica che l'agente non sì sia limitato a correre il rischio di verificazione dell'evento ulteriore, ma lo abbia anche voluto); prospettiva che, in entrambi i casi, condurrebbe a ritenere il concorso formale tra il delitto tentato e quelli consumati di omicidio volontario;
  3. se, in ipotesi, ritenuta la configurabilità dei tentativo di omicidio nei confronti del Lekstakai, debba essere escluso il dolo (anche soltanto eventuale) con riguardo agli eventi  

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    ulteriori, verificatisi per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione dei reato, o per altra causa, da ciò derivando: 1) l'applicazione della disciplina del reato aberrante, vale. a dire l'assorbimento del delitto di tentato omicidio in danno della vittima designata (che rimase incolume) in quello di omicidio volontario in danno di una delle tre vittime effettive; 2) la determinazìone della pena con riferimento a tale reato, aumentata, a norma dei comma secondo dell'art. 82 CP, in ragione della pluralità delle offese ulteriori (Cass. Sez. 1, 19 aprile 1971, Giordano, in Giustizia Penale 1972, parte II, 460).

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Nell'opinione di questo giudice, le prove acquisite dimostrano che, Ostrovica abbia volontariamente speronato l'autovettura condotta dal Lekstakaj, attuando in tal modo una condotta obiettivamente idonea e univocamente diretta a cagionare la morte di costui.
Circa l'idoneità della condotta, va tenuto presente che, tanto il Lekstakaj quanto l'Ostrovica, hanno parlato non di un solo, ma di almeno due urti inferti da tergo alla autovettura Peugeot prima che quest'ultima finisse contro il guardrail di destra: il Lekstakaj riferisce un primo urto (più lìeve), nel momento in cui i veicoli erano allineati sullo stesso asse, ed un secondo urto, molto forte ("di tipo disassato", per usare la terminologìa del consulente: vedi relazione a pag. 388), a seguito del quale la Peugeot urtò contro il guardrail con una violenza tale da determinare il distacco della ruota anteriore destra; l'Ostrovica, nel colloquìo del 19 febbraio 2000, confida alla moglie di avere colpito la Peugeot tre volte prima di collidere frontalmente con la Citroen. Orbene, in base alla convincenti valutazioni degli agenti rilevatori e del consulente del PM, la velocità dei due mezzi, al momento del secondo urto, può essere stabilita in 110 km/h per la jeep e in 80 km/h per la Peugeot; a tali elevate velocità, entrambi gli urti (sia quello tra le due autovetture, che quello della Peugeot contro l'ostacolo fisso costituito dal guardrail furono talmente violenti (la violenza è denunciata dalla entità dei danni subiti dalla Peugeot e dalla massa del mezzo investitore) da apparire idonei, secondo regolarità causale, a determinare lesioni mortali nel conducente del veicolo tamponato, che soltanto per la benevolenza del caso riuscì incolume dall'incidente.
Quanto alla prova della intenzione di uccidere lo spregiato "contadino di Lezhe", premesso che la volontà omicida deve essere desunta dalle circostanze esteriori che normalmente costituiscono espressione del fatto psicologico da provare (le modalità del l'aggressione, il mezzo utilizzato, la condotta dell'imputato durante e dopo il fatto) e da elementi soggettivi (la causale del delitto, l'indole del reo, le manifestazioni dell'animo), questo giudice è convinto che tutte le risultanze acquisite dimostrino che Ostrovica speronò intenzionalmente la Peugeot dei Lekstakaj per scaraventarla nel fosso laterale, e che non sia accettabile la tesi difensiva, secondo cui il tamponamento fu involontario e fu provocato dalla manovra compiuta da Lekstakaj, il quale, dopo avere tallonato, tamponato e sorpassato la jeep, frenò di colpo per costringere Ostrovica a fermarsi.
Per meglio illustrare le ragioni del convincimento, è utile ricostruire quanto avvenne nelle ore precedenti il fatto, tenendo presente che Ostrovica ha mentito nel corso dei primo interrogatorio e che nulla ha spiegato in quello reso al PM, mantenendo il medesimo atteggiamento processuale nel corso del giudizio abbreviato. Bisogna partire, quindi, dalle spiegazioni date in carcere, nel momento in cui, pur con le cautele che derivavano dal sospetto che la conversazione potesse essere intercettata, Ostrovica ammise di essere stato a Pisa e di essere venuto alle mani con i "contadini di Lezhe" a causa di una prostituta russa. Ostrovica usa il plurale, dice: " ... noi eravamo ubriachi in Corso Italia", e quando la moglie gli chiede se fosse in compagnia di "Angelo" (evidentemente, Angelo Ruta), si affretta a negare ("... no, ero solo lì... lascia Angelo....Angelo voleva le ragazze... ho fatto un giro con lui e siamo tornati"); ma la moglie, che dimostra dì essere informata, aggiunge. " ... poi Angelo ti ha detto: con la mia macchina non fai nulla, prendi la tua e fai quello che vuoi....". Per parte sua, Angelo Ruta ammette di avere accompagnato con la sua macchina fino a Pisa


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l'Ostrovica, che aveva visto entrare ubriaco nel bar "Derby" verso le ore 00.30 del 5 febbraio, e di averlo riportato a Viareggio e lasciato nel bar "Derby" alle ore 01.30, dopo una sosta a Migliarino nella zona frequentata dalle prostitute soggette al controllo del Lekstakaj.
La difesa non ha mancato di osservare che non vi è prova di un litigio avvenuto in un bar di Pisa, al quale abbia partecipato Ostrovica, che l'alterco osservato dal cameriere Zari si verificò tra le 23.30 e la mezzanotte, che nulla dimostra che in quella lite fossero coinvolti l'Ostrovica (stante l'esito negativo della ricognizione personale) e il Dardha Petrit o il Lekstakaj Admir, i quali, a quell'ora, erano nel bar di Miglianno, eletto a quartier generale serotino dalla banda di sfruttatori albanesi.
Potrebbe obiettarsi, ed è stato, in effetti, dedotto dalla pubblica accusa: - che la ricognizione negativa non infirma l'attendibilità del riconoscimento fotografico, effettuato dallo Zari appena 18 giorni dopo il fatto; - che, nella logica dell'accusa, non è fondamentale che all'alterco pisano abbia partecipato Lekstakaj Admir, essendo comunque certo che Ostrovica avesse litigato e nutrisse ragioni di rivalsa nel confronti del gruppo di "contadini", nel quale Lekstakaj era inserito; - che le testimonianze dei baristi di Migliarino (per nulla precise, posto che uno dei baristi dimostra di confondere l'abbigliamento usuale di due dei componenti la banda di sfruttatori) non sono decisive al punto da escludere la possibilità che, tra le ore 23.00 e le 24.00 del 4 febbraio 2000, il Dardha possa essersi allontanato dal bar di Migliarino per recarsi a Pisa, dove Zari lo avrebbe visto scontrarsi con Ostrovica.
Preme al decidente rilevare la sterilità di ogni esercizio congetturale diretto a ridurre ad ordine logico i dati desunti da testimonianze sospette (quella del Ruta) o scarsamente attendibili (quelle dei baristi di Miglianno) o non decisive (quella dello Zairi), e in ogni caso contrastanti. Il dato probatorio, del cui valore dimostrativo non è lecito dubitare, è invece quello risultante dalle ammissioni di Ostrovica, il quale confidò alla moglie di avere litigato con i "contadini di Lezhe", di essere stato inseguito da costoro e di avere, nel corso dell’inseguimento, speronato l'autovettura Peugeot per scaraventarla nel fosso laterale. Il significato della intercettazione non è sfuggito alla difesa, che per neutralizzarlo si è ridotta ad sostenere che Ostrovica avrebbe fornito intenzionalmente un resoconto menzognero alla moglie. Ma i generici e assai oscuri riferimenti alla "cultura" del paese di origine non valgono a spiegare perché mai Ostrovica avrebbe dovuto inventarsi di sana pianta il litigio con i connazionali, litigio che sicuramente avvenne, se non nei pressi del bar Gambrinus, in ogni caso nel centro di Pisa, e che fu originato dall'interesse dimostrato dall'Ostrovica nei confronti di una prostituta controllata dagli uomini di Lezhe. Vi è - tra l'altro - una significativa coincidenza tra il nome della cameriera russa che - secondo la mendace versione offerta da Ostrovica - avrebbe fornito a costui il numero di telefono del Fatmir Imeri (pag. 353), e il nome della prostituta ucraina che secondo il Commissariato PS di Viareggio - Versília apparteneva alla scuderia dei Lekstakaj Admir. Occorre tenere nel giusto rilievo il fatto che Ostrovica, sfruttatore di prostitute, fosse un naturale concorrente dei "contadini di Lezhe", i quali non avrebbero potuto tollerare approcci tra il concorrente e le proprie donne. Va, inoltre, considerato che Ostrovica aveva bisogno di denaro (aveva minacciato lanniciello per ottenere la restituzione della caparra di 40 milioni) e, in assenza della moglie, tale condizione di bisogno poteva indurlo a tentativi di presa di contatto con altre prostitute da porre sotto la sua protezione; considerazione - quest'ultima - avvalorata dai propositi, successivamente espressi, di recarsi, una volta libero, in Albania per reclutare prostitute.
In breve, nella notte tra il 4 e il 5 febbraio 2000, Ostrovica ebbe modo di litigare in Pisa con alcuni componenti della banda di Lezhe e si recò con il Ruta a Migliarino dove parlò con una prostituta controllata da quel gruppo, quindi, riaccompagnato al bar "Derby" di Viareggio, Ostrovica vi si trattenne fino all'orario di chiusura (ore 02.30) e a quell'ora, completamente ubriaco, montò in macchina e ritornò a Migliarino, non tanto con l'intenzione di affrontare i suoi avversari, quanto e piuttosto per trovare compagnia femminile; incappò, invece, nei suoi avversari e venne inseguito probabilmente non solo da una, ma da più autovetture (il che


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corrisponderebbe al modus operandi consueto del gruppo di sfruttatori e spiegherebbe come dopo l'incidente Lekstakaj abbia potuto fuggire); durante l'inseguimento Ostrovica venne urtato leggermente e poi superato dalla Peugeot condotta dal Lekstakaj, il quale intendeva costringerlo a fermarsi; a quel punto, Ostrovica perse la testa e decise di speronare la Peugeot per gettarla fuori strada.
Non è esatto sostenere che il racconto fatto da Ostrovica alla moglie attesti che la collisione tra la jeep e la Peugeot fu involontaria e determinata da un errore di manovra o dallo scarso controllo del veicolo condotto da un ubriaco: Ostrovica ha spiegato alla moglie che la manovra della Peugeot lo infastidì (" ... non li lasciavo sorpassare... ma poi mi hanno dato fastidio... ho perso il cervello....") al punto che decise di far finire la Peugeot "nel canale'". E l'urto più violento fu inferto con una angolazione che tendeva, per l'appunto, a far impattare la Peugeot contro il guardrail di destra con una energia cinetica tale da mandarla fuori strada. Dalle stesse parole di Ostrovica si trae quindi la dimostrazione del dolo diretto a cagionare la morte del "contadino" e, a conferma della volontarietà del gesto e del suo contenuto finalistico, si pongono le manifestazioni di chiaro disappunto per avere fallito lo scopo ("dovevo ammazzarli tutti") e di meraviglia espressa durante il colloquio con la moglie (" ... come ho fatto a non ammazzare loro") significative della sussistenza di un dolo di omicidio, quanto meno alternativo rispetto a quello di cagionare lesioni al competitore (sulla nozione di dolo alternativo, che ricorre quando l'agente si rappresenta e vuole in modo indifferenziato l'uno o l'altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria, e sulla compatibilità tra tale forma dell'elemento psicologico, riconducibile alla categoria del "dolo diretto", e quella tipica dei delitto tentato, vedi Cass. Sez. 1, 20 ottobre 1997, Trovato, in Cass. Pen. 1998, pag. 2352, n. 1299).
E' appena il caso di aggiungere che la ubriachezza, volontaria non esclude la imputabilità, né preclude che possa configurarsi una, sia pure ábnorme', consapevolezza e volontà di cagionare l'evento.

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Riguardo allo sviluppo della serie causale innescata dalla condotta di Ostrovica, e agli esiti letali derivati dalla collisione con la Citroen, si pone il problema di stabilire se di tali eventi ulteriori l'imputato debba rispondere a titolo di dolo indiretto, avendo avuto la possibilità di prevederne la verificazione come conseguenza della propria condotta ed avendo accettato il rischio che si verificassero.
Questo assunto, sostenuto dal PM e condiviso dal GIP nella motivazione del provvedimento di custodia cautelare, condurrebbe, se accettato, a ritenere il concorso formale tra il delitto di tentato omicidio in danno di Lekstakaj e quello di omicidio volontario plurimo.
La verifica dell’ipotesi va operata in concreto e pertanto è superfluo dedurre che Ostrovica accettò l'eventualità che il veicolo invadesse l'opposta corsia di marcia, una volta constatato che non vi fu collisione diretta tra la Citroen e la Peugeot.
Occorre invece chiedersi se nel momento in cui speronò l'autovettura di Lekstakaj, Ostrovica avesse previsto la eventualità che la propria autovettura finisse nella corsia opposta e collidesse con una di quelle provenienti in senso contrario, la cui presenza sulla strada era manifestata dal bagliore dei fari.
Questo giudice reputa quanto meno dubbio che l'imputato abbia previsto e accettato il rischio di uno scontro diretto, che poteva avere esito mortale per lui, e ritiene possibile che il profondo stato di ubriachezza, nel quale Ostrovica versava, abbia determinato un ottundimento tale da impedire all'imputato di notare il riflesso luminoso proiettato dai fari dei veicoli procedenti in senso contrario e di prefigurarsi la possibilità e l'imminenza di una collisione frontale. E' ragionevole presumere che, confidando nella mole e nella pesantezza del proprio veicolo, Ostrovica fosse persuaso di riuscire a spingere nel fosso la macchina di Lekstakaj senza perdere il controllo della jeep. Un elemento indiziario in tal senso si ricava


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dalla espressione di sconforto rivolta al medico del Pronto Soccorso, al quale Ostrovica disse di meritare, piuttosto che le cure mediche, un colpo di pistola in bocca.
Si verte, pertanto, in una ipotesi particolare di aberratio plurioffensiva, nel quale l'offesa voluta nei confronti della vittima designata (Lekstakaj) non si è realizzata, mentre una offesa omogenea, per la identità dei bene giuridico protetto, e di maggiore gravità, si è consumata in danno di una delle tre occupanti la Citroen, ed ancora, come conseguenza non voluta, ma comunque derivante dalla serie causale innescata dalla condotta dell'Ostrovica, è intervenuta offesa di identica natura e gravità in danno di altre due persone.
In tale ipotesi, il tentato omicidio del Lekstakaj deve essere assorbito nel più grave delitto di omicidio volontario in danno di una delle tre vittime (art. 81 comma 1° CP), e, quanto agli ulteriori eventi, deve trovare applicazione, perché più favorevole rispetto alla disciplina del concorso di reati, l'aumento di pena previsto dal comma secondo dell'art. 82 CP.

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Il PM ha contestato l'aggravante del motivo futile, richiamandosi all'orientamento giurisprudenziale secondo cui tale aggravante non è concettuaImente incompatibile con Il fatto che il colpevole abbia agito in stato di ubriachezza (vedi: Cass. Sez. I, 11 novembre 1993, Hasani, in Cass. Pen. 1995, pag. 1195, n, 702).
Come è noto, per motivo futile deve intendersi quello che presenta una enorme sproporzione rispetto all'entità del fatto, così da apparire più come un pretesto che come una vera e propria causa determinante del delitto
Prescindendo dalla difficoltà concettuale di trasferire il movente del fatto voluto a quello realizzato, l'aggravante deve essere esclusa perché lo stimolo che indusse la determinazione criminosa va rapportato al contesto in cui essa si realizzò: era in corso un inseguimento in macchina tra persone che nutrivano reciproci propositi aggressivi ed appare plausibile che Ostrovica fosse stato tallonato e speronato dalla autovettura condotta dal Lekstakaj.
Non sussiste, peraltro, l'attenuante della provocazione, che in questo caso deve essere considerata reciproca (Cass. Sez. I, 12 febbraio 1985, Trapani, in Cass. Pen. 1986, pag. 1243, n. 979), avendo Ostrovica, con i suoi tentativi di approccio alle prostitute controllate dal gruppo di Lezhe, dato luogo alla spedizione punitiva contro di lui.
Ostrovica appare immeritevole delle circostanze. attenuanti, generiche: la precedente condotta di vita (basata sullo sfruttamento della altrui prostituzione), la mancanza di qualsiasi autentico sentimento di rimorso, la convinzione, espressa nei colloqui in carcere, di potersi sottrarre alle proprie responsabilità (assai istruttiva è la conversazione in cui si parla di una possibile fuga dopo avere ottenuto gli arresti a domicilio), l'atteggiamento di reticenza mantenuto per tutto il corso del processo ed anche nel l'interrogatorio reso al PM (davanti al quale Ostrovica ha ammesso soltanto quello che non poteva negare, e cioè di essere ubriaco al momento del fatto), il proposito di riprendere, non appena possibile, l'esercizio del mestiere di sfruttatore, sono tutti elementi che ostano al riconoscimento delle attenuanti generiche, che non può essere basato sulla sola incensuratezza formale.
Con i criteri valutativi di cui all'art. 133 CP, tenuto conto della capacità a delinquere e del comportamento tenuto sia prima che dopo la commissione del fatto, pena adeguata appare pertanto quella di anni venti di reclusione, calcolata, a norma dell'art. 82 comma 2' CP, partendo dalla base di anni 22, con aumento di anni 8 per la pluralità delle violazioni di legge e riduzione di 1/3 per la scelta dei rito alternativo.
Ostrovica viene condannato al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare.
La condanna comporta la pena accessoria delle interdizione legale durante l'esecuzione della pena principale.
Non sussistendo i presupposti per la confisca, viene ordinato il dissequestro e la restituzione dei veicoli sequestrati agli aventi diritto."

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Passando all'esame delle richieste risarcitorie delle parti civili costituite, va preliminarmente considerato il difetto di legittimazione passiva eccepito dalla impresa designata, secondo cui l'autovettura condotta dall'ìmputato era, al momento dei sinistro, coperta da valida assicurazione per la responsabilità civile verso terzi.
Dalla documentazione prodotta emerge che sul veicolo condotto da Ostrovica era esposto un attestato di assicurazione valido per "cinque giorni compreso quello di emissione a partire dall'ora e dalla data sottoindicata". La decorrenza del periodo di copertura assicurativa risulta fissata a partire dalle ore 18.15 dei giorno 31 gennaio 2000. Per espressa clausola contrattuale, richiamata nell'attestato, "il giorno di emissione non è calcolato quando la decorrenza è dalle ore 24".
L'assicurazione era valida per cinque giorni, compreso il 31 dicembre 2000, perché la copertura decorreva da prima della mezzanotte. L'assicurazione era scaduta alle ore 24.00 del giorno 4 gennaio 2001. L'incidente si è verificato il giorno successiva e l'eccezione appare del tutto priva di fondamento.
Nel merito, il responsabile civile chiede il rigetto della domanda sul rilievo che l'azione diretta contro l'assicuratore della responsabilità derivante dalla circolazione di veicoli sia esperibile soltanto con riferimento al "danni involontari" e non possa essere estesa a quelli provocati da azione dolosa.
Anche questa eccezione è priva di fondamento.
Avuto riguardo alla disciplina contenuta nella legge n. 990 del 1969 e alla sua ratio, il Fondo di garanzia per le vittime della strada deve, infatti, rispondere nei confronti del danneggiato anche nel caso di danno derivante da fatto doloso (Cass. Civ. Sez. III, 17 maggio 1999 n. 4798, Burchi e. Assitalla; Sez. III, 18 febbraio 1997 n. 1502, Veneta assicurazioni c. Iaia ed altri). Sussiste, invero, una "netta separazione fra il rapporto tra assicuratore ed assicurato (ancora soggetto, sia pure con qualche riserva, alla disciplina privatistica del contratto), ed il rapporto tra assicuratore e danneggiato, che ha invece connotazioni pubblicistiche... in relazione alla finalità sociale perseguita dal legislatore di garantire a quest'ultimo il risarcimento anche quando il rischio non sia assunto nel contratto assicurativo", e mentre nel primo ambito di rapporti il fatto doloso dell'assicurato non può far parte del rischio contrattualmente dedotto (art. 1917 comma 1° CC), nel secondo la tutela del danneggiato è attuata, anche per i fatti dolosi, tramite un autonomo complesso di norme che giunge a prescindere dalla stessa esistenza di un contratto di assicurazione.
Tanto precisato, il danneggiante Ostrovica e il responsabile civile La Fondiaria Assicurazioni S.p.A., quale impresa territorialmente designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, devono essere condannati in solido alla rifusione delle spese ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite.
Per la liquidazione delle spese si rimanda al dispositivo, con l'avvertenza che gli onorari, tenuto conto della particolare complessità del processo, del numero e della rilevanza delle questioni di fatto e di diritto, vengono determinati, per le singole posizioni difensive, in lire 8.000.000, e che conseguentemente viene liquidata: a Cei Bruno e Logli Loredana, genitori conviventi' della vittima Cei Sonia, la somma complessive di lire 8.983.000; a Cei Maurizio e Cei Stefania, fratelli conviventi, la somma complessiva di lire 9.785.000; a Badalassi Lida, madre convivente della defunta Betti Susi, la somma di lire 10.819.000; a Betti Lisa, sorella, quella di lire 10.051.000; a Franchi Dino, Morganti Fedora (genitori) e Franchi Alessandro (fratello), eredi della vittima Franchi Sabrina, la somma complessiva di lire 10.155.000, somme comprensive, per tutti, di esborsi e diritti, oltre IVA e CNP come per legge.
Per la liquidazione dei danni è necessario rimettere le parti davanti al giudice civile, ma nel frattempo può essere assegnata alle parti civili, che ne hanno fatto richiesta, una provvisionale che, sulla base della semplice considerazione di entità dei danno morale, viene determinata, avuto riguardo alla prassi liquidatoria normalmente seguita dai giudici civili, in lire 100 milioni per ciascuno dei genitori delle vittime e in lire 50 milioni per ciascuno dei fratelli.


17

P.Q.M.

Visti gli artt. 82 c.p., 438, 442, 533 e 535 CPP, dichiara OSTROVICA Ardian colpevole dei reati a lui ascritti, assorbito il delitto di tentato omicidio in danno di Lekstakaj Admir in quello di omicidio volontario plurimo ai danni di CEI Sonia, FRANCHI Sabrina e BETTI Susi, e, esclusa l'aggravante dì cui all'art. 61 n. 1 CP, computata la diminuente di rito, lo condanna alla pena di anni venti di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare.
Visto l'art. 32 CP, dichiara l'imputato in stato di interdizione legale durante l'esecuzione della pena.
Ordina il dissequestro e la restituzione dei veicoli agli aventi diritto.
Visti gli artt. 538 e segg. CPP, condanna, in solido, l'imputato Ostrovica Ardian e il responsabile civile, La Fondiaria Assicurazioni S.p.A., quale impresa designata e nei nomi del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, alla rifusione delle spese di costituzìone e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Cei Bruno, Logli Loredana, Cei Maurizio, Cei Stefania, Badalassi Lida, Betti Lisa, Franchi Dino, Morganti Fedora, Franchi Alessandro. Liquida le spese per Cei Bruno e Logli Loredana in complessive Lire 8.983.000; per Cei Maurizio e Cei Stefania, in complessive Lire 9.785.200, per Badalassi Lida in Lire 10.819.000; per Betti Lisa in complessive Lire 11.051.000; per Franchi Dino, Morganti Fedora e Franchi Alessandro, in complessive Lire 10.155.000, oltre - per tutti - IVA e CNP come per legge.
Rimette le parti per la liquidazione del danno davanti al giudice civile.
Condanna, in solido, l'imputato e il responsabile civile al pagamento di una provvisionale, provvisoriamente esecutiva, determinata in Lire 100.000.000 per Cei Bruno, Logli Loredana, Badalassi Lida, Franchi Dino e Morganti Fedora, e in Lire 50.000.000 per Cei Maunizio, Cei Stefania, Betti Lisa e Franchi Alessandro.
Indica in giorni 60 il termine per il deposito della sentenza.
Pisa, 18 gennaio 2001.

                                                   IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
                                                Dr. Alberto de Palma

 

Depositata in Cancelleria il 01/03/01

 


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Caso n.5



TRIBUNALE DI PALERMO

     Il Tribunale ha dichiarato il diritto della madre edei due fratelli delola dott.ssa Emanuela Setti Carraro, uccisa co il marito Carlo Alberto Dalla Chiesa e l'agente di scorta Domenico Russo nel noto agguato mafioso del 3.9.82, ad un risarcimento di due miliardi e mezzo a carico del Fondo di garanzia vittime della mafia (da La Repubblica del 22.7.2001) .
     Anche se non siamo ancora in grado (ma ci auguriamo di poterlo fare a breve) di pubblicare integralmente la  parte della sentenza relativa alla liquidazione del danno, notiamo come la decisione si segnali per l'entitià del risarcimento, enormemente più alto - anche se certo appena equo - di quanto viene riconosciuto "normalmente" ai familiari delle vittime della strada.
     Interessante sarà anche conoscere l'entità del risarcimento riconosciuto ai familiari dell'agente di scorta Domenico Russo.

 


Caso n.6



TRIBUNALE DI FORLI'
Con sentenza n. 654 del 16.5.2002 il Tribunale di Forlì ha "liquidato" l'omicidio stradale di un ragazzo tredicenne patteggiando con il colpevole la pena di  4 mesi di reclusione, naturalmente col beneficio della sospensione condizionale.
       Per giungere a tanto, il Tribunale ha applicato una giurisprudenza a sua volta liquidatoria del secondo comma dell'art.  589 del Codice penale (che prevede la reclusione da uno a cinque anni per l'omicidio colposo stradale), è passato al primo comma dello stesso articolo (che prevede la reclusione da 6 mesi a un anno per l'omicidio colposo generico), è partito dalla pena minima di 6 mesi, ha infine tolto altri 2 mesi come previsto dal rito del patteggiamento.
       Negli stessi giorni, sempre a Forlì, un camionista svizzero è stato condannato a 8 mesi di reclusione per avere offerto 50mila lire agli agenti che gli stavano contestando una contravvenzione al Codice della strada.
       Ancora il Tribunale di Forlì ha, come da notizie di stampa, condannato a 4 mesi di reclusione un sacerdote di 83 anni reo di avere spostato un altare tutelato come bene artistico.
      La morale sembra che con quanto si paga per  spostare un pezzo di pietra si può uccidere un tredicenne, e che un tentativo di corruzione offre lo stesso rischio che ucciderne due.
      Ma è giustizia?"

 

Caso n. 7


TRIBUNALE DI GROSSETO 

      La prima sentenza viene emessa il 22 maggio 2000 dal Giudice togato dr. Compagnucci e riguarda  l’omicidio stradale di un giovane  con responsabilità totale del suo antagonista.
     Questo Giudice liquida il danno morale  in lire 300 milioni per ciascuno dei genitori adottivi e in lire 200 milioni per ciascuno quello dei 3 nonni (naturali).
    
Neppure quindici giorni più tardi, il  4 giugno 2000,  il giudice onorario dr. Walter Littera decide la causa civile relativa all’omicidio di Pier Paolo Sarubbi,  22 anni (vedi in questo sito “le pagine della memoria” del terzo opuscolo Vittime).
     Anche qui viene affermata la responsabilità totale dell’antagonista ma con conseguenze ben diverse.
     Il danno morale viene liquidato in 85 milioni di lire per ciascuno dei genitori (naturali), in 30 milioni al fratello superstite, in 10 milioni all’unica nonna.
     La sproporzione è enorme.
     Di cosa si tratta? Di incapacità complessiva del Tribunale di Grosseto a fornire – e in casi di questa gravità - una risposta univoca alla richiesta di giustizia? O di una incapacità  esistenziale del dr. Littera a rendersi conto che 85 milioni  sono, come la regalia al fratello e alla nonna, una offesa tragica e ridicola al dolore di chi ha generato e cresciuto e amato Pierpaolo per 22 anni?
     Non auguriamo a nessuno di farle lui, le nostre esperienze, per capire.
     Ma certi Giudici potrebbero e dunque dovrebbero almeno provare a immaginarcisi … almeno provare.

     (F.Saladini)

        

La sentenza del Tribunale di Grosseto per l'uccisione di Pier Paolo Sarubbi, impugnata dai genitori e dal fratello superstiti soprattutto in ordine alla liquidazione del loro danno morale, è stata ampiamente riformata dalla Corte di appello di Firenze che il 28 gennaio 2003 ha riconosciuto per tale aspetto:
     - a ciascuno dei genitori  155.000 euro pari a poco più di 300 milioni  lire (invece degli 85 milioni attribuiti dal Tribunale);  
      - al fratello 77.000 euro pari a poco meno di 150 milioni di lire (invece dei 30 milioni attribuiti dal Tribunale).
Al giudice di primo grado la famiglia Sarubbi deve lo strazio di avere dovuto continuare per quasi due anni a lottare per avere quella giustizia che egli aveva negato.
Sarebbe bello, ma non ci speriamo, che il dr. Littera sentisse almeno il dovere - per tramite di questa rubrica o altrimenti - di porgere ai Sarubbi le sue sincere scuse.

 
     (F.Saladini)
 
 

Caso n. 8 

Tribunale penale di Torino, giudice dott.ssa ALESSANDRA SALVADORI, sentenza 3196 del 28/11/2002: non è colpa “notevole” uccidere una ragazza di 18 anni guidando a 90 Km/h in centro abitato e su “manto stradale sdrucciolevole – ghiacciato”.       

 

Eleonora Negrin è in coma quando il 6 gennaio 2002 la estraggono, dopo aver tagliato la cintura regolarmente allacciata, dall’auto nella quale è trasportata: muore due giorni dopo senza aver ripreso conoscenza (vedi “le pagine della memoria” in questo sito), donando gli organi.

      La conducente, Sara Boero di 19 anni, illesa, che nel primo momento ammette di avere perso il controllo dell’auto, accusa poi la vittima di avere strattonato senza motivo il volante; la sbandata, anzi le due sbandate, sono confermate dal solo teste oculare; gli altri due trasportati ammettono una velocità superiore al massimo consentito, velocità che il solo accertamento tecnico in atti indica (per la violenza dell’urto che ha distrutto un parapetto, una colonnina del gas, un pilastro di cancello in cemento e le sue ante metalliche) in 90 Km/h (in centro abitato).

      Nel mese di maggio 2002 e prima della chiusura delle indagini preliminari l’imputata chiede al P.M., Dott. Baggio, il patteggiamento proponendo 4 mesi di reclusione (senza accenno al risarcimento), ovviamente con i benefici di legge e quindi con la sospensione condizionale della pena insistendo nella propria versione di accusa alla vittima di averle afferrato il volante e di aver quindi provocato l’incidente.

     Viene quindi fissata per luglio l’udienza dinnanzi al G.I.P. Dott.ssa Salvadori la quale stabilisce che, al fine di valutare la congruità della pena, appare necessario acquisire anche gli ulteriori elementi di giudizio che potrebbero derivare dalla condotta dell’imputata relativa alla richiesta di risarcimento, rinviando l’udienza a Novembre.

     In udienza l’Avvocato incaricato dall’ Impresa di Assicurazione consegna alle parti civili non un assegno per il risarcimento ma solamente un atto di promessa di pagamento della Toro Assicurazioni, prestampato e compilato su un modello di atto di quietanza standard dall’incaricato liquidatore e non dell’imputata, un atto in cui figura una offerta di un acconto sul risarcimento del valore di 45.000 euro per la madre e 25.000 euro per il padre (essendo i genitori divorziati); il danno quindi non viene neanche integralmente risarcito ma il documento viene usato dalla difesa dell’ imputata per rappresentare un avvenuto risarcimento ai fini del patteggiamento; il Giudice riceve la nota spese della parte civile e si ritira in camera di consiglio per la sentenza.

     Il giudice, dott.ssa Salvadori non ha dubbi sulla colpevolezza della Boero ma deve, a sua volta, valutare la gravità della colpa e la personalità dell’imputata  per decidere se accedere o no al patteggiamento, richiesto al minimo possibile secondo la legge penale.

     Lo fa in termini strabilianti deducendo, motivando ed argomentando quanto segue:

     - la colpa non è grave, visto che si tratta di “sbandamento dovuto anche alla presenza di un manto stradale sdrucciolevole-ghiacciato”, come se una situazione del genere escludesse, anziché imporre, una velocità particolarmente prudente e malgrado che una velocità superiore al limite da rispettare in condizioni normali fosse comprovata dagli atti e precisata, dal solo parere tecnico in atti peraltro non contestato dalla Dott.ssa Salvadori, in 90 Km/h e cioè al limite della sospensione della patente;

     - la Boero ha tenuto un “buon comportamento” visto che ha pagato “a titolo di acconto un non  irrilevante risarcimento” (con 135 milioni di vecchie lire si salda infatti l’impresa di pompe funebri, si acquista un loculo al cimitero, si pagano le parcelle e non si risarcisce certo integralmente il danno) e che “non ha insistito nella propria versione difensiva”, cioè nell’accusare la sua vittima (anche se questa versione ha provocato una denuncia per favoreggiamento contro gli altri due trasportati della quale la dott.ssa Salvadori è perfettamente a conoscenza); è da rilevare che il Giudice ritiene la consegna di un documento contenente una mera informale promessa di pagamento come un risarcimento e quindi ritiene sussistere l’attenuante del risarcimento del danno senza che il danno sia stato, in quel momento, risarcito in nessun modo!!!. Il risarcimento - parziale e non integrale - seguirà infatti a distanza di mesi con l’invio dell’assegno corrispondente alla somma di cui all’atto di promessa, non senza che l’avente diritto sia stata costretta a reiterati solleciti informali telefonici per ottenere il pagamento di quanto promesso dalla Toro Assicurazioni (le spese legali liquidate in sentenza di parte civile ad oggi 30 aprile, tra l’altro, non sono state poi neanche pagate..)

     - si può dunque partire dalla pena minima prevista dall’art. 589 Codice penale per l’omicidio colposo (6 mesi) anziché quella massima (5 anni) o da una qualsiasi pena intermedia e ciò anche se uno degli altri trasportati ha ammesso di avere riportato ferite e in questo caso lo stesso art. 589 prevede la triplicazione della pena;

     - si può quindi ritenere che le circostanze attenuanti – il fatto che la Boero sia incensurata, sia come sopra colpevole ma non gravemente, si sia come sopra ben comportata – equivalenti alla aggravante di aver stroncato sulla strada la vita di una ragazza della sua età;

     - e si può infine – poiché lo Stato premia con la riduzione di un terzo della pena da irrogare chi, chiedendo il patteggiamento, di fatto elimina il processo ed il relativo costo per l’amministrazione della giustizia – irrogare conclusivamente una pena di 4 mesi che la incensuratezza della Boero, già venuta buona come attenuante, le permetterà di non scontare.

 

     La sentenza presenta dunque omissioni (dinamica dell’incidente e velocità non vi vengono né indagate né discusse) e contraddizioni (la pericolosità del fondo stradale viene riferita a giustificazione dello sbandamento invece che come dato aggravante l’eccesso di velocità; la proposizione di un’accusa infondata e la rinuncia ad essa solo per fini di convenienza processuale vengono considerate indice di una  bella personalità; la promessa di pagamento di una somma esigua, per di più non fatta direttamente dall’imputata come vuole la legge ma dalla sua impresa di assicurazione, viene considerata quale risarcimento integrale e diretto del danno), così evidenti da risultare  inaccettabili; e  i familiari di Eleonora protesteranno per ricordare la violazione del proprio diritto alla giustizia nella sede istituzionale più opportuna, essendo loro preclusa ogni possibilità di impugnazione in ordine alla misura della pena patteggiata nel procedimento penale.

 

     Ma ciò che l’Associazione ha il dovere di sottolineare è il contrasto che questa decisione evidenzia tra l’oggetto del giudicare – la perdita brutale della vita di una diciottenne per quanto significa di speranze troncate per sempre, il dolore atroce ed il danno morale, esistenziale e biologico nei congiunti superstiti – e i termini asettici, meccanicistici e sbrigativi del giudizio; e più ancora il contrasto tra questo giudizio – che per l’uccisione gravemente colpevole di una persona manda praticamente assolto l’uccisore – e il sentimento popolare che considera la vita umana bene supremo da amare e rispettare profondamente,  cioè in sostanza il contrasto tra la valutazione giudiziale e la valutazione morale e giuridica “del caso”.

 

     Non è così, valutando i dati e applicando i codici non certo alla lettera, non certo in favore delle vittime, non certo secondo i principi costituzionali e di diritto comune europeo per la tutela della dignità, della salute e della vita dell’essere umano che si decide sulla colpevolezza di chi non ha avuto rispetto per la vita,  della vita perduta sulla strada di una ragazza innocente e della dignità dei suoi familiari.

 

     Ci auguriamo che si giunga presto alla riforma legislativa della materia della punibilità dei colpevoli e della tutela delle vittime come proposta nel disegno di legge C-1885 presentato dall’Associazione, per non essere più costretti a dover subire una giustizia del genere come quella espressa nella sentenza di Torino.

 

 

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