associazione italiana familiari e vittime della strada - onlus

Diario :  18 0ttobre 2002 -  5 novembre 2002

 

18 ottobre 2002

 

Stamattina ho finalmente visto M., dopo tanto tempo che non la sentivo e non la vedevo. Suo figlio è morto qualche mese prima di Federica e ci siamo viste poche volte da allora e, comunque, mai dopo la  morte di mai figlia. E’ ancora molto restia a parlare dell’accaduto e degli effetti che ha avuto sulla sua vita e sulla sua famiglia. Non riesce ancora ad affrontare l’argomento con nessuno, ma penso che inizi a sentire un forte bisogno di parlarne a qualcuno. In queste circostanze, spesso una persona al di fuori della famiglia, potrebbe essere l’elemento stimolante al dialogo, perché meno coinvolta emotivamente.

Le ho parlato del mio pensiero iniziale, il gruppo di auto-aiuto, idea che in questi giorni sento più forte che mai, e lei, pur non essendone entusiasta e dubitando della validità dell’iniziativa, mi ha proposto di trovarci una sera per parlarne. Ho visto e sentito il suo sforzo di parlarne con me, e io credo di averla anche un po’ forzata in questo, ma avrei voluto veramente aiutarla. So che è difficile: come si può davvero dare aiuto a una persona angosciata, piena di dolore, quando anche noi ne siamo impregnati? Come posso pensare di avere questa capacità? Sarebbe troppo supporre questo; non credo di esserne capace, ma penso che sia sufficiente certe volte, provarci. Quando sono in dubbio su una cosa o un comportamento penso sempre: " Se qualcuno facesse così con me, ne sarei contrariata, o accetterei con gioia?" Ho verificato che, con questa domanda, riesco a chiarirmi molte perplessità sugli impulsi che nascono all’improvviso. Ho anche deciso che non mi tirerò indietro dal fare quello che mi suggerisce il mio cuore.

Quando sono rientrata, ripensando a come era stato il nostro colloquio, ho provato molta soddisfazione; il rapporto con gli altri mi dà sempre tanto conforto e aiuto e mi fa capire che sto meglio quando mi interesso delle altre persone.

 

20 ottobre 2002

 

Il corso per diventare volontaria AGEOP mi ha lasciato spossata nella mente, e anche nel fisico. Sono stati due giorni molto intensi, pieni di nozioni, anche mediche e scientifiche, ed è stato anche un bombardamento psicologico di sentimenti forti ed emozioni logoranti. Ho pensato che fosse perché io mi sento già indebolita da questo ultimo anno e da quello che ci ha portato, ma poi ho parlato con altre persone ed ho sentito commenti simili. Credo che dipenda, comunque dalla sensibilità individuale e anche dal momento particolare che ognuno di noi sta vivendo. Infatti, mentre ascoltavo le spiegazioni dei medici e del personale del reparto, pensavo che anche Federica aveva seguito lo stesso corso e la rivedevo entusiasta dell’Associazione e dell’impegno che le veniva richiesto. Ho vissuto le due giornate del corso con molta emozione, pensando a tutte queste cose e a lei ed alla determinazione con cui si impegnava nelle cose che l’appassionavano.

Pur così stanca, mi sento molto serena e, persino, forte e in grado di fare quello che mi sarà richiesto nel modo migliore. Ho acquisito, in questi mesi, maggior sicurezza in me stessa e nelle mie capacità di affrontare situazioni psicologicamente più delicate. Il Natale scorso, ho fatto la raccolta giochi per l’associazione, e mi sarebbe stato impossibile pensare di avere un contatto più diretto con le persone che l’Ageop assiste, perché non avrei retto a grandi sollecitazioni psichiche, sentendomi io stessa molto insicura e frastornata. Adesso, invece, mi sento molto più equilibrata e so che posso fare qualcosa per gli altri, senza nuocere a me stessa.

Non sarà facile, perché ogni dolore potrebbe richiamare il mio, ma credo che la soddisfazione di essere utile a qualcuno che soffre, ci aiuti a riscattarci dalle nostre sofferenze. Mi sono interrogata a lungo sull’opportunità di seguire questa scelta, perché non vorrei mai fare una cosa solo perché la faceva Federica e voglio prendermi un impegno solo quando so che posso mantenerlo.

In questo fine settimana ho anche ricevuto tanti messaggi di persone che hanno letto le prime pagine del mio "libro" e si sono ritrovate in quello che ho scritto. Tutte queste testimonianze mi aiutano molto, in questa operazione di dare e ricevere, che spesso si accompagna al dolore e all’amore. Credo che si possa parlare più apertamente, con una persona che ha condiviso con te emozioni e dolore. Forse, senti di essere più compresa e, nello stesso tempo, cerchi una corrispondenza di sentimenti, che serve a rassicurarti e ti fa pensare di non essere sola. La solitudine di cui parlo non è mai una solitudine vera, perché siamo sempre circondati da persone che ci amano e ci dimostrano il loro affetto. E’ piuttosto una sensazione mentale, che nasce proprio dalla condizione che stiamo vivendo, e che ci fa desiderare di avere sempre nuovi contatti con altre persone.

 

Ottobre

 

Colori di tardive rose,

foglie rosse e gialle,

in un ravvivare del cielo,

altrimenti grigio e opaco,

preambolo d’inverno.

Con occhi spalancati sulla luce,

sento l’aria fredda e umida

schiaffeggiarmi il viso.

All’improvviso spariscono i colori

e mi ritrovo sola con la nebbia.

 

30 ottobre 2002

 

Sto ricevendo tante nuove e-mail da persone che hanno letto le mie pagine sul sito dell’Associazione. Sono felicissima, anche se quasi tutte mi fanno piangere; ognuno di loro ha una storia da raccontare e quella storia assomiglia così tanto alla nostra. E’ tremendo, quanto dolore!

Penso anche che, queste persone esistono e sono vere e hanno bisogno, come me, di verificare la concretezza di una nuova vita e della veridicità dei loro sentimenti. Ho la percezione di avere fatto una cosa giusta, scrivendo questo libro, così come mi è venuto in mente quasi un anno fa, anche se in quel momento poteva sembrare un’idea pazzesca. Sembra ancora un’idea pazzesca. Le pochissime persone cui l’ho detto, mi domandano sempre, come prima reazione: "Ma come ti è venuta un’idea simile?"

Dai primi giorni, nella mia testa, ha frullato questa idea: sentivo di voler parlare ad altre persone che vivevano la nostra stessa dolorosa esperienza, per confrontarmi e capire, e il metodo più immediato per arrivare a molte persone, mi è sembrato scrivere. Nello stesso tempo, ho pensato che leggere l’esperienza altrui e confrontarla con la propria poteva essere di sprone, per proseguire questo difficile cammino. Ho sempre pensato, comunque, che il mio fosse un ‘messaggio’ di speranza. Penso di poter dire, adesso, di avere avuto una specie di intuizione, perché pochissimi giorni dopo la morte di Federica, non potevo essere certa di cosa sarebbe accaduto, ma ho sentito che sarei arrivata qui.

Oggi sento di aver fatto una cosa giusta, perché ho la forte sensazione che le parole che ho scritto sono state capite, riconosciute e ne sono lieta. Percepire l’intima essenza di qualcuno che soffre e che vuole parlare con te e mandarti una parola di conforto, e si identifica con quello che tu provi pensando: "Anch’io provo quello che provi tu." " Questa cosa l’ho fatta anch’io." mi riempie il cuore e mi fa stare un po’ meglio.

 

31 ottobre 2002

 

A pochi giorni dalla scadenza, che mi ero prefissata il cinque novembre dell’anno scorso, al mio inizio di questa scrittura, mi sento come un’atleta che sta per tagliare un traguardo. Questo obiettivo, da me considerato come molto importante e simbolico, è un punto di arrivo ma, nello stesso tempo, anche un punto di partenza.

Forse ogni arrivo è una nuova partenza; man mano si raggiunge una meta, ce ne poniamo subito un’altra. Mi sento molto diversa da quando ho iniziato a scrivere e ne ho la prova tangibile quando mi rileggo in quelle che erano le prime pagine da me scritte. Leggendole mi sento come mi sono sentita allora e, guardandomi con gli occhi che ho oggi, sono soddisfatta di ciò che ho fatto.

Credo anche che, nelle condizioni in cui ero, qualsiasi piccolo progresso venga giudicato come molto buono, perché si arriva in un punto in cui è veramente difficile pensare di poter di nuovo fare qualcosa, qualsiasi cosa. In quei momenti l’unico obiettivo che riesci a porti è: sopravvivere.

Poco dopo, però, senti che sopravvivere non è la cosa più ambiziosa che tu possa desiderare e allora vuoi fare qualche cosa, anche se solo una piccola cosa.

Non lo sai ancora, ma hai già iniziato a vivere.

Stai vivendo di nuovo e ancora non ne sei consapevole.

Ogni tanto, però, arrivano dei piccoli lampi di luce e tu senti di nuovo qualcosa.

Così, senza accorgertene, a un certo punto ti trovi di nuovo a fare qualcosa di creativo, a desiderare di fare qualcosa per gli altri. Non solo, ma quando ci provi scopri che ce la fai; hai ancora tanto da dare alle altre persone e, anche se credevi di non poterlo più fare, scopri che l’unica cosa che non puoi, è dare qualcosa proprio a quella persona che non c’è più. Ma gli altri ci sono ancora tutti. E, sorprendentemente, hanno bisogno di te!

Eccomi qui, allora, a rispondere a lettere di persone che non conosco, ma che mi sono tragicamente vicine, unite dal medesimo dolore. Eccomi che lavoro, creando qualcosa per le mie nipoti, oppure che discuto con un’amica della sua tesi o, ancora, che aiuto un’altra amica in qualche sua attività. Infine, eccomi volontaria dell’Ageop.

L’ho citata per ultima solo perché, in ordine di tempo, è una delle ultime cose che ho portato avanti. La considero, però, un’attività molto importante perché credo che sia fondamentale fare veramente qualcosa per gli altri, per le persone che stanno soffrendo. Solo così si può uscire dalla propria sofferenza e capire quanto gli altri possono ancora donarti e cosa puoi ancora fare tu.

 

VOLO

 

Sto provando a volare,

me l’ha insegnato un amico.

Lasciar correre i sogni,

inseguirli fino ad acchiapparli,

non lasciarli sciogliere sotto di me.

Finalmente mi aggrappo,

mi lascio trascinare,

credo di non essere più lì.

Improvvisamente ho tutto,

oppure niente.

 

5 novembre 2002

 

Questo è il giorno che, un anno fa, rivestiva per me tanta importanza; il simbolo di una tappa essenziale. Cosa credevo dovesse accadere in questo anno? E cosa è veramente accaduto?

Se mi guardo indietro – cosa che non manco di fare continuamente – mi rivedo, ci rivedo, come eravamo e sento quello che sentivo in quei momenti. Il cinque novembre dell’anno scorso credevo che avrei avuto davanti un periodo brutto e ancora non sapevo quanto.

Guardando indietro adesso, vedo tante cose e capisco meglio tutto. Nonostante questo, ancora non credo che sia tutto vero, in certi momenti mi sembra impossibile e dico ancora: "Perché! Perché a Federica! Non è possibile che sia veramente morta!"

Ma so che è vero. Lo sento in ogni momento della giornata, con ogni pezzettino di me stessa e del mio cuore, e so che lo sentirò per tutti gli anni che ancora starò qui, ma ho capito che non è una penitenza, non ho niente da scontare e, comunque, niente di così grave da giustificare tutto questo. Sto cercando di permettere a me stessa di vivere; di lasciare da parte ogni segnale di senso di colpa, che insorge spontaneamente quando faccio qualcosa che interpreto come un sintomo di oblio.

E’ giusto che concediamo qualcosa anche a noi stessi, non solo agli altri. Troppo facile sarebbe continuare a punirsi, privandosi di qualcosa che ci dà piacere, solo perché questo ci fa credere che potremmo dimenticare i nostri figli. Bisogna accettare il fatto che noi siamo ancora vivi e dimenticarci del senso di colpa, per non essere morti al posto dei nostri cari. Altrimenti moriremmo anche noi insieme a loro.

Credo che questo traguardo di un anno, sia molto importante e persino consolante; vedere che siamo qui e abbiamo migliorato il nostro grado di serenità, oltre a tante piccole cose che servono per la quotidianità, mi aiuta e mi rende consapevole che è possibile per noi vivere, anche se non la vita di prima.

Tante cose che ho pensato i primi mesi adesso non le credo più così vere come le sentivo allora. So che non è tutto così categorico, come pensavo; certi elementi si attenuano con il passare del tempo, forse quelli secondari che facevano da corollario al nostro dolore, e credo che dobbiamo imparare ad accettarlo. Tuttavia quando rileggo quello che ho scritto i primi mesi, sento come era giusto, rivedo me stessa convinta fino in fondo di quello che dicevo, sicura che non c’era altra verità all’infuori di quella.

Sono convinta che questa sia una grande dimostrazione di come si evolve il dolore e di come la sofferenza cambi in continuazione. Non sto assolutamente dicendo che il dolore si annulli con il passare del tempo e che sia possibile che ci abbandoni, ma è naturale che si smussino certi angoli e che, perciò, la nostra percezione ne venga condizionata.

Certi aspetti si addolciscono, lo choc iniziale si attenua fino a scomparire, intuiamo che certe cose non sono importanti e riusciamo ad accantonarle come parte non integrante del nostro dolore. Quando capiamo che l’unica cosa che veramente non possiamo eliminare è questa sofferenza sorda, questo peso che ci portiamo appresso, allora ciò diventa una parte di noi, ma non noi.

Questa cosa non è noi! Non dobbiamo permetterle di avere il sopravvento su tutto il resto, sulla persona meravigliosa che ancora possiamo essere. Durante quest’anno appena trascorso ho avuto l’opportunità di conoscere tante persone. Qualcuna di loro mi ha trovato delle qualità e quando mi mostrava il suo apprezzamento, pensavo: " Se tu mi avessi conosciuto prima! Allora sì che ero una persona meravigliosa!". Mi ascoltavo pensare questo e ne ero convinta, poi mi sono detta: "Cosa mi impedisce di essere una persona meravigliosa, se davvero lo desidero?" A quel punto ho capito quanto ci possiamo fare condizionare da questi eventi, come diventi naturale perdere ogni desiderio, ogni stimolo, anche quelli positivi.

Diventa molto facile, allora, lasciarsi andare e non provare neanche a fare nulla di buono, diventando così una persona che non ci piace molto e che, perciò, consideriamo sempre meno. Facilissimo, poi, giustificare il tutto con la disgrazia accaduta e il dolore che abbiamo dovuto sopportare. Forse, ad un certo punto, ho avuto l’idea di pensare questo e di lasciare perdere tutto. Per che cosa vale la pena di darsi da fare, se non c’è più quella persona così speciale, per cui avremmo fatto tutto?

Ho creduto veramente che non ci fosse più bisogno di me e ho pensato che non potevo più fare niente di importante, o di utile. Poi succede che qualcuno ti chiede di fare una cosa per lui; qualcuno ti allunga la mano per attraversare la strada, un altro ti telefona per raccontarti una cosa bella che gli è successa e un amico ha bisogno che tu lo ascolti.

Cominciando di nuovo ad ascoltare gli altri, scopri che sono infinite le possibilità che ognuno di noi ha, per fare qualcosa, per sentirsi bene e, anche un po’ diventare quella persona meravigliosa. Aiutando gli altri si aiuta prima di tutto sé stessi.

Ma prima ancora, è molto interessante scoprire che per qualcuno – quanti sono? – tu puoi essere ancora una persona importante.

Allora ti rendi conto che, quel giorno, è morta la mamma di Federica, ma è ancora viva la moglie di Giuliano, la figlia di Laura, la zia di tanti nipoti da riempire un calendario, e l’amica di così tante persone da far impallidire il vocabolario.

Scavando poi in profondità, potresti anche scoprire che anche la mamma di Federica è ancora con te e non ti ha mai lasciato.

Allora scopri che sei ancora qui, eri solo uscita un attimo da te stessa, per non sentire tutto quello che eri costretta a subire.

Ti sei ritrovata e, con molta attenzione e amore per te stessa, forse non ti perderai più.

*******

 

Le pagine del mio 'libro', dovrebbero terminare proprio qui, al 5 novembre 2002, come avevo pensato fin dall'inizio. Un anno esatto di giorni difficili da superare e da aggirare. Dopo queste pagine, c'è la parte delle conclusioni e poi il mio lavoro sarà terminato. Ma non la mia presenza qui. Quella proseguirà con lettere, scambi di emozioni e sentimenti, mescolati con le persone che siamo diventati. 

Le lettere che ho ricevuto in questi mesi, hanno consolidato la mia convinzione di non aver sbagliato a scrivere e mi hanno confermato l'interesse che mi auguravo di trovare. Penso anche che Internet non sia ancora uno strumento usato da tutti e perciò, immagino che un libro 'vero' possa essere letto da molte più persone. Il mio progetto è ancora quello di pubblicare questo mio libro e destinare il ricavato della vendita alla Associazione Italiana Familiari e Vittime della strada e ad altre associazioni cui sono molto legata. 

 Continua

 

Se desiderate comunicare con me, inviare Vostre riflessioni, suggerimenti, pensieri che desiderate condividere, potete indirizzare le Vostre e-mail a f.morena@tiscali.it


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