Andrea Marzemin, 38 anni, Feltre (BL),  1.9.1961 – 4.7.1999


    Doveva essere un sabato qualunque quel 3 luglio 1999.
    Io sono partita la mattina per andare a lavorare, tu mi hai saluto scherzando, accompagnandomi alla porta come ti piaceva fare. Non lo sapevamo che erano gli ultimi sorrisi che ci saremmo scambiati.

   
“Vado a fare un giro in moto”, mi hai detto, “torno nel primo pomeriggio, così poi andiamo a vedere quella mostra”.
    E quel pomeriggio stavo annaffiando i gerani del nostro balcone quando è squillato il telefono  e una voce di uomo mi ha detto che eri ricoverato in gravi condizioni all’Ospedale di Treviso.
    “No, mio marito no” è stato quello che sono riuscita a dire, poi la corsa disperata, tanti visi stravolti intorno a me; e ti ho visto con un tubo in bocca per respirare, una macchina che teneva il tuo corpo in vita, gli occhi chiusi, le occhiaie viola.
    “Suo marito ha ricevuto un colpo pazzesco in testa” mi ha detto il medico, “pianga signora, pianga che le fa bene”.  Il tuo casco non è servito a niente, Andrea, quel ragazzo ha centrato in pieno con la moto la tua testa e ti ha ucciso.
    A distanza di un  anno la Procura non aveva ancora deciso sul rinvio a giudizio e nessuno mi ha spiegato perché io, tua moglie, sono stata avvisata dell’incidente dai Carabinieri con 5 ore di ritardo e perché, per un incidente mortale, i Carabinieri non hanno sequestrato le moto rendendo così impossibile una ricostruzione certa della dinamica dell’incidente, del punto d’impatto della tua testa con quella moto: sono violenze psichiche che nessuno potrà mai ripagare; poi, come spesso accade, nessuno ha visto.
     Da quel giorno d’inferno cerco di raggiungere, in nome tuo, la verità, ma mi scontro con un sistema di giustizia che non è fatto per dare Giustizia ai morti e ai loro superstiti. E in questo sistema ingiusto tu, come tanti altri, vieni ucciso ancora una volta dall’inettitudine, dalla leggerezza, dalla lentezza di chi in questa vita è rimasto.
     Il ricordo della tua voglia  di vivere, del tuo sorriso generoso, mi dà la forza di andare avanti, di non impazzire, di proseguire fino in fondo anche se forse non arriverò mai a sapere cosa è successo davvero quella mattina. Non mi arrenderò, Andrea, eri tu a dirmi "non bisogna mai arrendersi".  Tu, che tante volte hai dimostrato nella tua breve vita un profondo senso civico e la fede nella bontà degli altri uomini, sei stato trattato quasi alla stregua di un cane arrotato sulla strada. Ma mi consola pensare che il nostro è solo un discorso interrotto.
                                                   Luciana Tazzer Marzemin  *

*responsabile dell’Associazione per la provincia di Belluno   

associazione italiana familiari e vittime della strada