Il
danno biologico come parametro per il danno morale
avv. Vittorio Amedeo MARINELLI, Vicepresidente CODACONS, Roma
Essere oggi tra Voi è, nel contempo, sia
motivo di soddisfazione che d’imbarazzo. Imbarazzo non perché
non sia un “tecnico” della materia. Oggi m’invitate a
trattare un tema tecnico e credo di avere la competenza
specifica sul tema, se non altro perché ho una laurea in
giurisprudenza, un corso in perfezionamento in diritto della
responsabilità civile ed ho un’abilitazione di Stato e svolgo
l’attività d’avvocato. Il problema è che oggi Voi non
invitate il “tecnico” ma l’ideologo, Vicepresidente del
CODACONS. Per tale motivo, Vi devo subito dire che personalmente
sono in perfetta sintonia con Voi.
Voi parlate di punto unico
nazionale: Vi posso dire che ho insistito nel CNCU, il CONSIGLIO
NAZIONALE DEI CONSUMATORI E UTENTI, non si sa quanto affinché
si determinasse questo sulla base, se non del punteggio
nazionale più alto, perlomeno sui valori di Milano. Voi parlate
di risarcimento effettivo del danno ai più stretti congiunti
della vittima nel caso di morte oppure quando date un fattivo
contributo con la Vostra proposta concernente la quantificazione
del danno morale in rapporto al danno biologico: con le
precisazioni di dopo, sono d’accordo e faccio mie le Vs.
giuste e sacrosante richieste.
Purtroppo però Vi devo anche dire
che oggi le Associazioni dei Consumatori, compresa quella di cui
sono il Vicepresidente e legale rappresentante, non sono
d’accordo con Voi. Se volete, Vi posso anche prendere in giro.
Siamo ospitati in una sede parlamentare frequentata da politici
ed io credo che questi ultimi siano maestri in quest’attività,
prendere in giro le persone. Ma non mi sembra giusto,
soprattutto in considerazione che ognuno di Voi è portare di un
dolore, di un vuoto, di una sofferenza che merita rispetto e
considerazione e non prese in giro. Vi devo purtroppo quindi
spiegare l’attuale situazione e dirVi che il Vostro immane
sforzo corre il fattivo rischio di essere inutile, visto che
oggi addirittura le Associazioni dei consumatori, non si sa per
quali motivi, se in buona fede, se raggirate, per ignoranza e
quanto altro, appoggiano ed approvano il progetto MARZANO di
riforma della RCA. Poi, più che MARZANO, è il progetto che
l’ANIA, l’Associazione delle Assicurazioni, ha dettato al
Ministro. L’aspetto più grave di tale scriteriato progetto,
è in concreto una norma che, di fatto, mira all’eliminazione
della figura dell’Avvocato in conformità a un’equazione
tanto semplice quanto deprecabile: meno diritti, meno esborsi.
Oggi si parla di danno biologico,
di danno alla salute ed all’esistenza umana, proprio grazie
all’Avvocatura, che ha elaborato richieste di giustizia che
sono state fatte poi proprie dalla Magistratura più nobile ed
attenta, non al portafoglio delle Compagnie d’Assicurazioni,
come fa oggi il Ministro, ma al desiderio di giustizia di chi ha
subito un danno che, come nel Vostro caso, cambia
drammaticamente la stessa esistenza, lo stesso senso della vita.
Mi si permetta anche una
considerazione di carattere economico, visto che quando si parla
di Società non parliamo di confraternite religiose. Negli Stati
Uniti, dai quali assimiliamo solo il peggio, assistiamo ad un
sempre più deciso maturare della coscienza assicurativa e a
risarcimenti esemplari. In America il padre di famiglia
all’inizio dell’anno spende non si sa quanti milioni per
assicurare pressoché tutto l’assicurabile ed è per questo
certo che il danneggiato avrà poi giustizia fattiva perché avrà,
nella Compagnia di Assicurazioni, un soggetto solvibile. Non
solo solvibile, ma anche consapevole del valore dell’umana
sofferenza. Basti pensare al miliardo e cinquecento milioni
offerti transattivamente dall’ambasciatore americano ai
familiari di ogni vittima del Cermis.
Contemporaneamente, noi, o meglio, le assicurazioni
italiane, riducono i risarcimenti - basti pensare alle proposte,
che poi non sono neanche le peggiori, per le vittime del
disastro e della criminalità di Linate - affossando questo
maturare della coscienza assicurativa che porterebbe poi
paradossalmente proprio a maggiori utili. Abbiamo quindi locali
e pubblici esercizi non assicurati per la responsabilità
civile, cani feroci che sbranano bambini ugualmente non
assicurati, tubature del gas vetuste e impianti vari non
mallevati e così via discorrendo.
Personalmente, quindi, sono in
disaccordo con tale progetto e con la posizione anche della mia
Associazione, la cui Presidenza dovrà rispondere agli Associati
ed ai consumatori delle proprie ragioni, che personalmente non
riesco a scorgere come valide. Perché gli avvocati difendono i
diritti e mirano a reintegrare la sfera patrimoniale del
danneggiato. Che poi guadagnino mi sembra una cosa, oltre che
inevitabile, neanche ingiusta, visto che si diventa avvocato non
svegliandosi la mattina ma al termine di un corso di studi, dopo
una pesante pratica ed un esame di Stato.
Non è giusto, invece, che il
danneggiato debba decurtare dal suo risarcimento le spese
necessarie per avere questa reintegrazione patrimoniale. Per
fare un esempio, che rende più di tante parole, in futuro il
ragazzo quindicenne trascinato dal pirata della strada per
qualche chilometro, un recente fatto di cronaca dell’ormai
quotidiano bollettino di guerra, dovrà decurtare dal suo
risarcimento le spese necessarie
per le indagini svolte da un investigatore, quelle concernenti
l’assistenza legale e l’assistenza resagli da un medico
legale. Un altro regalo alle compagnie che fino ad oggi,
giustamente, dovevano farsi carico di tali spese. Sorge inoltre
legittima la domanda di quanti danneggiati rinunceranno
all’assistenza legale per mettersi nelle grinfie di soggetti
che hanno in passato solo lucrato sulle spalle dell’Italia e
continuano a farlo nel presente. Basti pensare al D.L. 28 marzo
2000 n. 70, che abbatteva ad ottocentomila lire il valore del
punto del danno biologico, passando per la famigerata Legge 5
marzo 2001 n. 57 fino ad arrivare al possibile regalo che Vi ho
accennato e che forse troveremo confermato nella finanziaria.
E’ grazie a questi continui
regali fatti dai vari Governi, tutti con interessi nel settore
che andavano a disciplinare, che abbiamo i 7000 miliardi di
risparmio per i minori risarcimenti per il danno biologico, ma
nessuno dei punti veramente importanti del protocollo approvati:
tanto per fare qualche esempio i termini prescrizionali in
materia assicurativa, rimasti i medesimi di un anno e di due
anni rispetto a quelli di dieci e cinque validi per tutti gli
altri rapporti; la riparazione obbligatoria presso le
carrozzerie e i meccanici delle assicurazioni senza più la
scelta dell’artigiano di fiducia da parte del danneggiato e
con la futura sparizione di tali figure; le vergognose
conciliazioni valide solo per le cause di competenza dei giudici
di pace – che durano mediamente sette mesi o poco più come in
Austria – e non per le cause in tribunale che durano anche
sette anni.
Si parla poi dell’offerta materiale anche per il danno
fisico dimenticando che sono tante e poi tante le eccezioni che
le Compagnie possono sollevare, al punto tale che la norma perde
la sua apparente portata innovativa. Intanto l’ISVAP, un ente
inutile e scandaloso nella sua gestione, dopo non essersi
accorto che le Compagnie facevano cartello tra loro anziché
farsi la concorrenza, a Saint Vincent ultima l’alleanza con
l’ANIA che invece dovrebbe controllare e punire e,
all’unisono con quest’ultima dopo le sciocchezze dei dati
dei sinistri italiani confutati anche dall’ACI, rilancia
quanto detto dalla controllata confermando che la causa dei
costi delle polizze sono le spese giudiziarie.
Permettetemi di dire che, di fronte
all’impunità pressoché assoluta di cui gode oggi il crimine
al volante, visto che dopo l’omicidio l’unica preoccupazione
dell’enfant terribile che ha fatto strage d’insetti e di
bipedi umani è cercare un’altra concessionaria o un’altra
finanziaria che finanzi
l’acquisto della nuova macchina, le polizze semmai costano
pure troppo poco. Chi sta di fronte a Voi, tra tutelare il
danneggiante e il danneggiato, si schiera con questo ultimo e
con il suo desiderio di giustizia.
Poi, cosa ancor più preoccupante,
questo Governo sta sempre più potenziando gli strumenti in
favore dell’avvocatura penalista che, per definizione, difende
i delinquenti. Nel contempo, toglie sempre più potere
all’avvocatura che difende i diritti. Insomma, libertà di
fare quello che pare e piace, con unico limite la forza
economica, come peraltro hanno fatto e continuano a fare le
assicurazioni in perfetto accordo.
Permettetemi ancora di dire che la
ricetta per risolvere il problema del costo delle polizze,
l’avevamo già offerta anche al Governo precedente come a
quello attuale. Era l’apertura dei mercati ad altri operatori,
oltre che banche e poste, in particolare alle Compagnie
straniere. Noi pensiamo che gli italiani abbiano diritto a
servizi, compresi quelli assicurativi, europei e che la cosa
migliore che le compagnie italiane possano fare sia fallire o
mettersi in liquidazione, che poi è uguale, cioé levarsi di
mezzo e lasciare il campo libero a chi sa fare il suo lavoro.
Passiamo al tecnico. Il soggetto
del mio intervento è il danno biologico come parametro per il
risarcimento del danno morale. Siamo quindi nell’ambito della
problematica riguardante il danno risarcibile. Mi viene subito
in mente un’osservazione pertinente che leggevo prima di
venire tra voi e si riallaccia a quanto prima detto, su “Danno
e responsabilità” edita dall’IPSOA, a firma di Roberto
CASO. Lo studioso, riallacciandosi ad esperienze di diritto
comparato, riportava il motto per il quale “uccidere
è più conveniente che ferire”. Da tale osservazione
rilevava che era in atto tutta una riconsiderazione del valore
dell’esistenza umana e dell’umana sofferenza. Sul punto, è
indicativo lo scrupolo che emerge tra le righe della umanamente
bella sentenza della Corte di Cassazione Civile, Sezione III, 2
aprile 2001, n. 4609. In questa, de
iure condendo, in altre parole secondo una legge ancora da
emanare, ci si pone il problema del come risolvere situazioni
oggettivamente ingiuste con gli strumenti a disposizione
dell’interprete. Si trattava di un caso terribile, un ragazzo
quindicenne che attendeva lucidamente per quattro ore, informato
dai medici di ciò, lo spengersi della propria esistenza, in
seguito ad un incidente stradale. Peccato che tale sensibilità,
a prescindere che si è dovuti arrivare in Cassazione, si
scontra con le dinamiche legislative in atto a proposito del
sistematico abbattimento dei valori risarcitori…
Esaminando l’ingegneria del
nostro ordinamento giuridico, il danno risarcibile può essere
patrimoniale e non patrimoniale. Con il primo termine
s’intendono le conseguenze patrimoniali dirette ed immediate
susseguenti all’evento, alla condotta o all’omissione.
Questa ultima è equiparata alla prima: quando si ha il dovere
giuridico di impedire qualcosa e non lo si adempie, si è
perseguiti come se invece si fosse attuato la condotta. Per
esempio, il ministro delle infrastrutture potrebbe teoricamente
essere incriminato per strage perché avrebbe il dovere
giuridico di impedire le stesse, magari impedendo
l’omologazione di macchine superanti la velocità massima
consentita. Invece l’attuale ministro non solo non fa nulla
per impedire le stragi ma addirittura si appresta ad innalzare i
limiti di velocità portandoli a 150 Km/h sulle autostrade. Come
se poi oggi qualcuno rispettasse i limiti esistenti e ci fosse
perciò bisogno del via libera del Ministro.
Il danno patrimoniale si compone
del danno emergente e del lucro cessante. Il caso classico di
scuola è quello del taxi costretto alla sosta forzata in
seguito ad un incidente stradale. Oltre al danno evidente
relativo alle parti meccaniche e di carrozzeria danneggiate, che
è il danno emergente e che può essere quantificato fin da
subito abbastanza agevolmente nel suo esatto ammontare, vi sarà
inoltre la cessazione dell’attività lavorativa e dei relativi
guadagni per un certo periodo di tempo. Questo mancato introito
costituisce il lucro cessante. Tale nocumento, se non può
essere esattamente specificato nel suo ammontare, in sede
giudiziaria può essere liquidato dal Giudice in via equitativa.
Un potere, quello equitativo, che consente di risolvere tutto un
insieme di problemi. Questi che abbiamo visto fino ad ora sono
danni immediati e diretti. Avremo però anche altri tipi di
danno che sono chiamati riflessi
e sono collegati all’evento sempre secondo un processo detto
di regolarità causale. Per fare un esempio, i danni che hanno,
o che subiscono, soggetti diversi dall’immediato danneggiato:
pensiamo al danno che subisce una famiglia in seguito al danno
di un prossimo congiunto con lei convivente e siamo di fronte a
un danno riflesso.
Tale prospettarsi di voci di danno
ci permette di introdurre il danno non patrimoniale. Diciamo
subito che nel nostro sistema la risarcibilità di tale danno è
del tutto eccezionale in quanto la relativa norma, l’art. 2059
del Codice civile, prevede che il danno non patrimoniale può
essere risarcito solo quando
nel fatto illecito siano astrattamente ravvisabili gli estremi
del reato. Possiamo parlare, in questo caso, di una tipizzazione
dell’illecito. Questo comporta uno sforzo interpretativo
notevole da parte della dottrina, per tentare di aggirare la
norma. La quale, poi, ha diversi profili d’incostituzionalità
e dovrebbe, a parere dell’esponente, essere pertanto censurata
al massimo livello. Cosa vuol dire “sforzo interpretativo”?
Semplicemente che anziché accertare che una certa legge è
scritta male e che dovrebbe essere migliorata con una nuova
legge, il de iure condendo di prima, si lascia il compito all’interprete di
ampliare la sfera d’azione e d’applicabilità della stessa.
Con risultati spesso deludenti. Nel caso in esame, abbiamo la
dottrina che parla di un ampliamento in negativo, che starebbe
significare che sono considerati e sono da risarcire tutti quei
danni diversi dal danno patrimoniale, danno all’onore, alla
riservatezza, all’immagine, ecc.. La giurisprudenza, invece,
ossia l’insieme dei magistrati e delle loro decisioni, limita
il danno non patrimoniale al solo danno morale, il tema della
nostra discussione. Per danno morale s’intende quello
concernente qualunque perturbamento che si concreti in dolore,
patema d’animo, pregiudizio alla serenità domestica, ansie e
dolore psichico, fino ad arrivare al vero e proprio dolore
fisico a carico di un soggetto, provocato sempre dal
comportamento ingiusto altrui, il “qualunque fatto, doloso e colposo”.
La cosa, poi, in questa dicotomia
che ricorda un po’ quell’altra assurdità che è nel diritto
amministrativo la distinzione tra diritto soggettivo e interesse
legittimo, diventa ancora più complicata quando si parla di
danno biologico giacché ancora non si è capito bene cosa
dovrebbe essere questo, se un danno patrimoniale o un danno non
patrimoniale. E i punti di contatto tra il danno morale e il
danno biologico sono evidenti, concernendo il primo l’integrità
psico-fisica e il secondo lo star bene psichico. Si pensi alle
prima citate ansie e dolore fisico, che possono essere viste
come patologie che si somatizzano e divengono pertanto un danno
psichico e come tale anche danno biologico, oltre che morale.
Ora il problema dell’accoglimento
e della legittimazione nel nostro ordinamento del danno
biologico sembrerebbe essere stato risolto dalla Legge prima
accennata – la n. 57 del 5 marzo 2001,
che ha fatto propria la definizion/e fatta dalla
giurisprudenza in un’opera ventennale e perraltro, visto
quanto viene liquidato oggi con la scelta di fatto dei valori
monetari di Roma, in maniera pessima.
Ma prima di questa scadente legge,
quindi appena ieri, il danno biologico era il frutto del diritto
vivente, ossia della sensibilità dei magistrati più attenti
– o forse, meglio, degli avvocati che elaboravano teorie poi
fatte proprie dai giudici - che si rendevano conto che
esistevano delle situazioni ingiuste, quali quelle riguardanti
il danno alla salute psico-fisica in sé e per sé considerata a
prescindere dalle conseguenze economiche e reddittuali del
soggetto, e si ponevano conseguentemente il problema di
risarcire questo tipo di danno. Perché il problema che bisogna
affrontare è la difficoltà insita nel dare una misurazione
precisa a ciò che, per definizione, sfugge,
per così dire, ontologicamente ad una valutazione
monetaria.
Come si tenta di risolvere il
problema? Nel 1983 la Suprema Corte stabilisce che la
liquidazione deve essere fatta con riferimento al turbamento
determinatosi entro la psiche del soggetto. E già iniziano i
problemi, perché lo star bene psichico non è lo stesso nei
vari soggetti. Si pensi ad un caso limite ai confini della
salute mentale: il masochismo. E’ di tutta evidenza che nei
soggetti affetti da tale perversione, il dolore non è fonte di
sofferenza ma addirittura di piacere. Quindi sarebbe necessario
eseguire un esame caso per caso, tenendo presente le condizioni
soggettive del danneggiato, e basarsi su queste per l’esatta
quantificazione e traduzione in termini monetari. E, in effetti,
questa sembrerebbe la soluzione più giusta. Sennonché si
verifica in questo caso, pensando ad un diverso modello come
quello da Voi proposto, quello che avviene a proposito della
democrazia o del libero mercato in economia: teoricamente non
sono i sistemi migliori, esistendo il modello pianificato,
l’aristocrazia e quanto altro, ma poi, nella pratica, sono
quelli che danno i migliori risultati. Ed infatti questo potere
equitativo dato al giudice, come indicato dalla Cassazione, ha
comportato, sia nel caso del risarcimento del danno biologico
sia nel caso della liquidazione del danno morale, delle forti
sperequazioni non solo tra regione e regione ma anche,
all’interno della stessa regione, tra provincia e provincia e
tra magistrato e magistrato all’interno dello stesso
tribunale.
Principi astratti, quali quelli
riguardanti la correlazione tra entità soggettiva del danno ed
equivalente economico oppure auspici, quali quelli che queste
somme non fossero somme simboliche o simulacri di risarcimento,
si sono scontrati con la realtà dei fatti, ed ognuno dei
presenti, con la propria esperienza, potrebbe qui testimoniarlo.
Da questo punto di vista il principio adottato normalmente dai
pratici del diritto e da Voi fatto proprio, ossia quello della
determinazione del danno morale in rapporto al danno biologico,
può essere ritenuto il criterio più praticabile.
Voi lo chiedete limitatamente a
quanto riguarda la Vostra triste esperienza ma potrebbe essere
tradotto in termini legali cogenti e reso valido per ogni
situazione di attentato al diritto alla salute. Che peraltro
sarebbe anche ovvio, poiché ad un maggiore danno biologico
corrisponde necessariamente maggiore sofferenza.
Sono necessarie però delle
considerazioni e degli aggiustamenti. Diciamo che non si può
che concordare con quell’autorevole dottrina che parla di una
zona grigia a metà strada tra danno biologico e danno morale
che si distingue da questi: il danno esistenziale. Faccio subito
un esempio che dà l’idea di com’è necessario non limitare
la possibile risarcibilità di un interesse, in ogni caso
giuridicamente tutelabile, al solo danno biologico. Nel caso di
perdita del futuro nascituro, l’aborto, occasionato da un
fatto illecito, non abbiamo tecnicamente un danno biologico a
meno che non si abbia una perdita della capacità procreativa od
una somatizzazione, a livello di danno psichico, dell’evidente
sofferenza che una donna subisce in questo tragico evento.
Infatti, una donna potrebbe rimanere in seguito in stato
interessante. Come può essere liquidata allora questa voce?
La futura legislazione dovrà
andare oltre e non limitarsi a questa prima conquista. Con
queste avvertenze, ossia che è necessario non tipizzare
nell’immediato ma creare una sorta di mix in uno col potere
equitativo del Giudice, il progetto di legge predisposto
dall’Associazione Vittime dalla strada e presentato alla
Camera dei Deputati dall’on. Filippo MISURACA va fatto proprio
da ogni persona e associazione che si definisce, oltre che di
buon senso, portatrice d’istanze di giustizia. Si codifichi
pertanto generalmente quello che avviene quotidianamente
estendendolo anche alle esperienze più traumatiche, come quelle
purtroppo da Voi subite.
Mi piace terminare facendo mie le
parole di altri oratori ben più brillanti del sottoscritto,
ossia che la giustizia e il rispetto dell’esistenza umana
devono essere il parametro di liquidazione e di risarcimento
d’ogni danno all’essere vivente.
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